Marco Tullio Giordana è uno
dei più capaci registi del cinema italiano politico -sociale e non possono non
essere ricordate pellicole quali “Pasolini un delitto italiano” (1995), “I
cento passi” (2000), “La meglio gioventù” (2003) e “Sanguepazzo” (2003), che
hanno attraversato un florilegio di tempi, spazi e tematiche, dai misteri
insoluti nostrani, alla mafia, ai sommovimenti post sessantottini, al
terrorismo, al fascismo e alla lotta partigiana.
Non
poteva Giordana non affrontare l’attuale
e molto discusso tema delle molestie sessuali ai danni delle donne, specie nei
luoghi di lavoro.
Il bel
film “Nome di donna” vede una
particolarmente brava Cristiana Capotondi
(nei panni della coraggiosa molestata Nina) e attori come Valerio Binasco e Bebo Storti
che riescono ottimamente nel loro intento di apparire luridamente invisi al
pubblico, il primo in veste di dirigente profittatore di umili sottoposte, il
secondo spregevole prete anch’egli con ruoli apicali nella casa di cura).
Il
film si fa vedere assestando qualche pugno allo stomaco allo spettatore, che
assiste basito allo sviluppo di una storia di ordinaria quotidianità per molte
donne.
È un
lavoro fatto di dettagli mimici e visivi cui bisogna prestare attenzione: l’espressione
dell’avvocato donna (Laura Marinoni) del
molestatore durante le udienze; il fazzoletto verde di marca leghista che in
modo sfuggevole esce dal taschino della giacca di un componente del consiglio
di amministrazione e che - stranamente –
è ben trattato al pari degli altri politici, pronti a costituirsi parte civile;
la permanente, corporea, tangibile, irritazione delle compagne di lavoro avverso
Nina, che vuole denunciare il vile e infame affronto subito. Quest’ultimo aspetto
è ben analizzato da Marco Tullio
Giordana: l’assenza di solidarietà fra donne, in particolar modo se una di loro
è vittima di abusi, è dato esperienziale ed empirico ben posto in evidenza nella
storia, provocando nella pancia dello spettatore più di un rigurgito acido.
L’atteggiamento
guardingo e titubante del compagno di Nina (Stefano
Scaldaletti) può apparire lontananza dai suoi problemi o menefreghismo, ma,
in realtà, non è altro che una forma di protezione dallo strepitus fori giudiziario, dai mass media e dal tritacarne telematico.
Film
intelligente, ben confezionato e altrettanto recitato che andrebbe visto in
primo luogo dalle ragazze, per indurle ad avere un maggiore spirito di corpo.
Fabrizio Giulimondi
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