Dopo
decenni di produzioni su piccolo e grande schermo, animate e recitate, musical
e teatrali, è arrivato nelle sale cinematografiche "Aladdin" di Guy Ritchie,
pellicola molto piacevole e sprizzante.
Colpisce
la prevalenza del linguaggio coreografico, ritmico, musicale, canoro, danzante
e coloristico proprio del cinema di Bollywood su quello classico di Hollywood.
Le
tinte purpuree ed accese, le scene di massa di ballerini coperti di vestigia sgargianti e l'esplosione di balli trascinati
da sonorità arabo-persiane costituiscono lo splendido tocco artistico che
punteggia la trama di una storia immersa nell'affascinante mondo di un antico e
perduto Oriente.
L'occhieggio
alla modernità irrompe scoppiettante con un sempre carismatico ed eclettico Will Smith (il Jinn, il Genio della
Lampada) che nel "fare l'attore" torna ai suoi primi amori: il canto
e il ballo.
La
bellezza della principessa Jasmine (Naomi
Scott) toglie il fiato, accompagnata alle doti di simpatia, agilità e
furbizia di Aladino (Mena Massoud). Anche
l'Italia c'è nella voce del doppiatore del sultano padre di Jasmine:
nientepopodimenoche Gigi Proietti.
La
tradizione favolistica e disneyana intinge in un delicato e gradevole
romanticismo. Modernità e antichità a braccetto formano un prodotto da
consigliare a qualsiasi generazione.
Fabrizio Giulimondi
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