Prima passi della class action nelle aule giudiziarie italiane: esperienza nazionale a confronto con quella degli ordinamenti comunitari e nord americani.
· Introduzione
Il nostro sistema giuridico è basato sull'iniziativa del singolo soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, che si rivolge al sistema giudiziario per ottenere "giustizia". Il provvedimento emanato dall'organo giurisdizionale adito ha pertanto efficacia solo per quei soggetti che si sono costituiti parti processuali( o per i loro eredi o aventi causa ai sensi dell’art. 2909 c.c.) .
Questo meccanismo appare corretto e soddisfacente quando la richiesta di giustizia è specifica e riguarda una situazione particolare e cioè quella di chi agisce.
Esistono però dei casi in cui la vicenda di un soggetto è pressoché identica a quella di molti altri.
Gli esempi sono molteplici.
Un prodotto che esce difettato da un'industria e danneggia i compratori e gli altri soggetti che con esso entrano in relazione. Il fatto è lo stesso e il responsabile anche: sono diversi i danneggiati.
E così potremmo arrivare a fatti molto noti come i casi dei bond argentini, di quelli Parmalat e Cirio: vi è una pluralità di danneggiati, un unico fatto originario del danno ed un unico responsabile.
In queste ipotesi l'azione del singolo incontra diverse difficoltà quali il costo della causa che per il danneggiato è rilevante fino ad intervenire sul rapporto costo-beneficio, la certezza della sproporzione di forze con l'avversario, il rischio della soccombenza con il relativo costo esorbitante per il singolo.
Come vedremo in molti casi i singoli danneggiati si sono per così dire consorziati, hanno cioè fatto una causa comune ma il principio è sempre lo stesso. Anche in questa ipotesi ogni soggetto vale per il suo caso specifico e, ancora una volta la decisione resa dall'ordinamento sulla causa "multipla" vale solo per coloro che vi hanno partecipato. Occorre dunque una procedura che dia la possibilità prima di tutto di svolgere richieste collettive e che sia efficace anche per coloro che, trovandosi nella stessa condizione di quelli che hanno partecipato alla causa ne sono, per vari motivi, rimasti fuori. Una tale figura procedurale, per motivi storici legati alla discendenza diretta del nostro diritto da quello romano (di tipo individualistico), non poteva che nascere in un altro sistema avente altre radici, come il sistema giuridico anglosassone. La procedura in parola è stata denominata class action o azione collettiva ossia di tutte quelle persone (classe) che si trovano nelle stesse condizioni.
Anche l’ordinamento processuale civilistico italiano aveva necessità – come quelli di molti Stati europei, fra poco sinteticamente illustrati – di uno strumento che consentisse ad alcuni soggetti di agire in giudizio( diventando “parte” di esso) non solo per tutelare propri interessi ma anche quelli di soggetti titolari di posizioni giuridiche soggettive omogenee, che però non partecipano al processo: la sentenza che sarà emanata opererà, pertanto, non solo nei confronti delle parti processuali vere e proprie, ma anche nei confronti di tutti coloro che, seppur estranei alla causa, ne siano completamente coinvolti nei propri diritti e/o interessi(c.d. interessi diffusi).
La normativa nazionale sulla class action, di cui parleremo più innanzi, fornisce una risposta a tale istanza di giustizia, parimenti agli ordinamenti giuridici della maggior parte dei Paesi europei e in maniera, almeno in parte, dissimile a quello statunitense, canadese, brasiliano, australiano e britannico.
Nei Paesi in cui la legge sulle azioni collettive è operante, svariate sono le situazioni che vengono portate all'attenzione dei giudici con lo strumento della class action. Ad esempio una broker ha iniziato avanti il Tribunale di S. Francisco una class action nei confronti della Morgan Stanley per discriminazione sessuale[1]. L’esito favorevole dell’azione è stato esteso anche alle altre broker che si trovano nella stessa condizione di discriminazione da parte della Morgan Stanley.
Microsoft sta subendo in questo stesso periodo una class action da parte di acquirenti dei suoi pacchetti software con l'accusa di pratiche monopolistiche[2].
Apple dal canto suo sta subendo diverse class action per la pubblicità ingannevole degli iPod sulla durata delle batterie in concomitanza allo stesso lasso di tempo della garanzia il cui periodo, contrattualmente stabilito, non sarebbe rispettato, nonché per aver venduto computer usati come nuovi[3].
Per non parlare della causa collettiva intentata alla Burger King dai dipendenti e dagli ex dipendenti che si sono visti fare delle trattenute indebite sulle buste paga[4].
Questa breve panoramica ci illustra da un lato la frequenza della pratica della class action e, dall'altro, ci fa toccare con mano quanto essa potrebbe essere applicata per gli stessi identici motivi anche nel nostro ordinamento.
Mai come con la disciplina delle class action gli Stati Uniti d’America si sono resi antesignani, promotori e protagonisti nel mondo del diritto.
· Esperienze presso ordinamenti stranieri.
a) Stati Uniti d’America[5]. L’azione collettiva - che secondo il Prof. Yezell[6] vede come suoi precursori nel medioevo i groups of litigation - attraverso le Equity Rule 48 (del 1833) e la revisione della Federal Rules of Civile Procedure (1966) che ha sensibilmente riformulato la Rule 23, entra nel sistema Nord Americano.
Il particolare sistema dell’opt-out che la caratterizza e che rende la pronuncia vincolante anche per gli assenti appartenenti alla medesima classe - qualora non palesino apertamente la loro contrarietà - ha sicuramente risentito degli anni in cui fu redatta la legge, anni di contestazioni e di movimenti dei diritti civili, anni in cui si iniziava a maturare una coscienza collettiva su temi comuni come l’ambiente e il consumo, in contrasto con una concezione più marcatamente individualista.
La class action, infatti, permette un più ampio potere transattivo, l’abbattimento dei costi di giustizia e delle spese legali (particolarmente consistenti negli Stati Uniti) e lo snellimento dei procedimenti uniformandoli nel contenuto.
L’esperimento dell’azione in parola si attiva nella seguente maniera.
Un soggetto (lead rappresentative), che solitamente è tra quelli che ha subito il danno più rilevante, chiede al giudice di essere autorizzato ad agire per sé ed in rappresentanza di altri, vi è quindi la fase precertificativa e certificativa che verifica la sussistenza di determinati requisiti:
1) La numerosity: la classe presenta un così elevato numero di membri da determinare problemi allo svolgimento del giudizio;
2) La commonality: la comunanza di fatto e di diritto delle questioni soggettive;
3) La tipically: le domande e le eccezioni svolte dal rappresentante devono essere tipiche della classe;
4) L’adequacy of representation: la garanzia di tutela del rappresentante nei confronti degli interessi della classe.
Questa fase è strettamente collegata con l’estensione degli effetti della sentenza a tutti i soggetti che rientrano nella definizione prevista di classe in quanto certificativa di equità, adeguatezza e ragionevolezza.
Chi non intende avvalersi degli effetti estensivi può azionare l’ opt out right chiamandosi fuori dall’automatismo processuale che coinvolge la sua classe e accedendo, se del caso, ai ricorsi individuali.
Il giudice decide anche per la class action quando le questioni comuni alla classe prevalgano su quelle dei membri e quando l’azione separata di questioni individuali può portare a giudicati difformi.
Il contesto nel quale si è sviluppato lo strumento della class action è quello del private enforcment, cioè lo sviluppo privatistico dei mercati finanziari dai quali la normativa ha mutuato termini come opt-in oppure opt-out.
L’impostazione della legge, quindi, differenzia anche i ruoli sociali delle parti coinvolte al processo: il lead plantiff (attore principale) assume il rischio della lite, mentre il giudice non è solo ricettore neutrale e passivo delle istanze delle parti, ma assume preminente funzione di gestione paramanageriale. Si potrebbe dire, quindi, che la struttura della class action è un frutto della mentalità competitiva e commerciale che prevale al di là dell’Oceano e che può avvalersi del carattere imprenditoriale della professione legale, dove gli studi di grandi dimensioni sono in grado di affrontare i rischi economici connesse alle indagini spesso complesse e costose indirizzate a valutare le opportunità di promozione del giudizio (non per nulla si parla correntemente di legal industry per denotare il lavoro degli avvocati).[7]
Attraverso la class action la parte danneggiata è incentivata a partecipare al procedimento in ragione della assenza di oneri, anche di natura economica, incluso quello di partecipare alle udienze o di presentare prove, a differenza delle cause di tipo ordinario che sono sottoposte al “necesasry party rule”, secondo cui solo chi ha partecipato al processo può subirne le conseguenze. Inoltre le spese di giustizia sono ridotte in quanto le pretese seriali saranno convogliate in un unico procedimento: ecco la cultura imprenditoriale venire incontro alle esigenze di economia processuale.
I requisiti e le condizioni per iniziare una class action negli U.S.A. e i risultati "pratici" effettivi per tutti i membri della classe che con essa si attingono li riscontriamo anche nelle legislazioni del Canada, dell’Australia, del Regno Unito e del Brasile[8].
b) Europa[9] Le azioni di gruppo guadagnano sempre maggiore popolarità in tutta Europa. La direttiva n. 98/27/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19-5-98 relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori nell’Unione Europea, stabilisce che enti legittimati, quali ad esempio associazioni dei consumatori o autorità pubbliche indipendenti, sono autorizzate ad agire in giudizio per conto di un gruppo di persone danneggiate dalla condotta del convenuto.
Altresì, il Libro verde sui ricorsi collettivi dei consumatori del 27 novembre 2008[10] prevede la nascita di una class action nei paesi sprovvisti, il potenziamento delle legislazioni in quegli Stati che sono già intervenuti in subiecta materia - come di qui a poco si riferirà - e la cooperazione tra Stati al fine di estendere tale strumento oltre i confini nazionali, a mo’ di preludio ad una class action europea)[11].
Il discrimen fra diritto europeo( eccetto quello britannico) e quello nord – americano è già evidente: mentre quest’ultimo vede lo strumento della class action adoperato per tutelare veri e propri interessi diffusi( ossia omogenei fra di loro e afferenti una gran mole di persone non legate da alcun vincolo associativo), quello del vecchio continente lo considera prevalentemente in relazione alla protezione dei c.d. interessi collettivi, ossia correlati ad un determinato soggetto organizzato( associazione, comitato, etc.).
L’intervento legislativo italiano del 2009 – di cui parleremo estesamente nel proseguo – è stato l’ultimo di tempo fra quelli compiuti in seno agli ordinamenti giuridici europei in tema di class action.
Leggi analoghe in altri Paesi dell'Unione Europea hanno introdotto delle norme riconducibili e assimilabili alla class action.
E' avvenuto in Olanda nel 1994, in Portogallo nel 1995, in Inghilterra e Galles nel 2000, in Spagna nel 2001 e in Svezia nel 2002.
Quanto alla Francia, nel 1992, sono state introdotte alcune norme specifiche che autorizzano le associazioni dei consumatori, in seguito al ricevimento di un mandato, ad agire in nome di molteplici loro appartenenti che hanno subito un danno avente la medesima origine (action en representation conjointe del codice di consumo).
Un recente progetto di legge[12] si è ispirato all'introduzione di una variante rispetto ad altre leggi analoghe in altri Stati. Esso prevede che, dopo una prima delibazione della magistratura sulla proponibilità dell'azione collettiva proposta da un'associazione di consumatori, ogni persona interessata possa singolarmente adire l'autorità giudiziaria chiedendo di poter far valere la decisione di principio ottenuta dall'associazione( avvicinandosi sensibilmente al sistema anglosassone).
In Germania[13], nel luglio 2005, è stata introdotta una normativa specifica relativa alle clausole contrattuali del mercato finanziario che ha aumentato la tutela dei risparmiatori.
Questa legge introduce forme di risarcimento per danni subiti dal risparmiatore per inesatte, ingannevoli, omesse informazioni o comunicazioni sui mercati dei capitali e sul rispetto delle normative, relative alle offerte d'acquisto e alla vendita di azioni. Il riferimento è ai prospetti informativi, ai bilanci di esercizi e a quelli consolidati, alle relazioni sviluppate nelle assemblee e a qualsiasi altra comunicazione che possa avere indotto il risparmiatore ad una infondata attesa di guadagno.
La normativa del 2005 prevede una sentenza che stabilisce il "principio di diritto", che sarà il riferimento per tutte le altre cause in subiecta materia.
Più nel dettaglio il risparmiatore che intende procedere contro l'emittente deve espressamente chiedere l'instaurazione di un "procedimento pilota". Per passare alla fase successiva è necessario che entro centoventi giorni siano presentate almeno altre dieci istanze uguali alla prima. In caso positivo, la Corte d'Appello competente sceglie l'attore della "causa pilota".
Durante lo svolgimento della "causa pilota" tutti gli altri procedimenti identici sono sospesi e saranno ripresi solo alla conclusione del primo, con l'obbligo di uniformarsi alla "sentenza pilota".
La proposta di “procedimento pilota” può essere promossa anche dall'emittente.
La norma in questione consente la riduzione dei costi di giustizia per i risparmiatori e la maggiore rapidità delle cause.
Tale normativa è stata verificata in questi cinque anni e, se i risultati risultassero positivi, sarà estesa ad altri comparti. In sostanza si tratta di una sperimentazione in quanto in ogni caso la legge, a meno di un risultato positivo e quindi della sua conferma ed eventuale estensione, cesserà di essere in vigore entro la fine del 2010.
Nel Regno Unito[14] tra gli anni '80 e '90 c'è stato il cosiddetto sistema di "legal Aid"che poneva a carico della finanza pubblica i costi dell'azione legale di tipo collettivo.
Tale contesto ha incentivato la promozione di una miriade di azioni collettive scarsamente giustificate.
Nel 2000 è stato introdotto il Group Litigation Order che consiste in un'ordinanza in cui viene regolata la trattazione di cause che presentano questioni comuni o connesse de facto o de iure.
Nell'ordinanza vengono identificate le questioni che rendono comuni tali cause, viene istituito un registro in cui saranno iscritte le cause procedibili e, altresì, viene indicato il giudice che le tratterà.
Il magistrato può inoltre fissare la data entro la quale le cause devono essere iscritte nel registro e disporre che una o più delle cause iscritte varranno come test claims.
Ordinanze e sentenze relative a una o più questioni comuni, adottati nell'ambito di una causa iscritta al registro, sono vincolanti per le parti di tutte le altre cause già iscritte, o che verranno successivamente iscritte al registro, nella misura stabilita dal giudice. Non si tratta di una class action, bensì di un meccanismo flessibile che consente la trattazione congiunta di una pluralità di cause simili: determinate questioni di fatto o diritto comuni a più cause vengono trattate una sola volta, con effetto vincolante per le parti delle varie cause, con evidenti benefici in termini di economia processuale.
In Austria [15]si à giunti alla formulazione di un'azione collettiva per via giudiziaria: la Suprema Corte nel luglio 2005 ha riconosciuto che è conforme alla legge la prassi delle associazioni di consumatori di raccogliere le istanze di vari danneggiati e di promuovere l'azione contro uno stesso convenuto a condizione che le istanze siano sufficientemente simili in fatto ed in diritto.
· Class action in Italia[16]
Con l’ordinanza 27 maggio 2010, n. 29 la sezione I civile del tribunale di Torino ha emanato il primo provvedimento[17] relativo alla disciplina dell’azione di classe, introdotta nell’ordinamento dall’art. 49 legge 23 luglio 2009, n. 99 che ha sostituito l’art. 140 bis codice del consumo( decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 approvato dal Consiglio dei Ministri a seguito della delega conferita al Governo dall’art. 7 della legge 29 luglio 2003, n. 299), disposizione che già era stata inserita nell’articolato del codice del consumo dall’art. 2, commi dal 445 al 449, legge 24 dicembre 2007, n.244( legge finanziaria 2008).
Si tratta di una decisione di grande rilevanza, anche in considerazione dell’attesa destata negli operatori dall’istituto dell’azione collettiva risarcitoria a tutela di diritti individuali omogenei dei consumatori, la cui introduzione consegue a veementi sollecitazioni politiche, seppur il cennato testo normativo è entrato in vigore solamente il 1 gennaio 2010 in ragione della sua procrastinazione dal 2007 a seguito di reiterati decreti legge[18].
Prima di procedere ad una analisi di questa decisione giudiziaria è opportuno procedere ad una sintetica disamina del novello istituto.
La class action nazionale prevede la possibilità per consumatori e utenti singolarmente o in veste associativa di proporre una unica azione per la protezione dei diritti contrattuali di un gruppo di consumatori che abbiano la medesima posizione nei confronti di una impresa( anche gerente un servizio pubblico o di pubblica utilità), ossia: di identici diritti che a loro spettano come consumatori finali di un singolo prodotto nei confronti di un determinato produttore, indipendentemente dalla esistenza di un rapporto contrattuale; di identici diritti di ristoro del pregiudizio sofferto, quali consumatori ed utenti, a causa di pratiche commerciali scorrette e comportamenti anti-concorrenziali.
La procedura prevede una prima valutazione sull’accessibilità del ricorso – reclamabile in Corte di Appello – ed una seconda fase, che include la raccolta delle prove, che termina con la decisione in merito ai danni riconosciuti o ai criteri da applicare per la quantificazione degli stessi.
Alla base della class action, così come configurata dalla normativa italiana, v’è il sistema opt in: in ragione di ciò non può essere promossa più di una singola class action, rimanendo ferma però la possibilità della presentazione di azioni individuali in base alle norme ordinarie: la sentenza che definisce il giudizio di class action fa stato anche nei confronti degli aderenti.
La giurisdizione è incardinata dinanzi il tribunale ordinario civile.
L’art. 140 bis del codice del consumo non riconosce la possibilità di attivare le class action nei confronti della Pubblica Amministrazione.
Uno strumento di natura similare a quest’ultima specificamente previsto al fine di tutelare posizioni giuridiche soggettive attive nei confronti di strutture pubbliche, è stato recentemente introdotto dal decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198 in attuazione della legge delega ex art. 4 legge 4 marzo 2009, n.15 in materia di ricorso per l’efficienza delle Amministrazioni pubbliche e dei concessionari di pubblici servizi.
Tale normativa, entrata in vigore dal 15 gennaio 2010, ha inserito nel tessuto connettivo dell’ordinamento processual – amministrativistico la procedura speciale volta ad assicurare l’efficienza nella compagine della Pubblica Amministrazione nella sua multiforme articolazione e modalità di azione.
Questa particolare tipologia di class action può essere promossa da singoli individui e da associazioni con il presupposto che si sia verificata ad opera di un provvedimento, di un atto amministrativo, di un comportamento o di una omissione della Pubblica Amministrazione o di un concessionario di un pubblico servizio una lesione diretta, concreta ed attuale degli interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori derivante: 1) dalla violazione di termini perentori; 2) dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non avanti contenuto normativo da emanarsi tassativamente entro e non oltre una data fissata da una legge o da un regolamento; 3) dalla violazione degli obblighi contenti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi o economici.
La domanda deve essere in un primo momento notificata agli uffici amministrativi competenti, in modo da consentire loro l’adozione delle misure necessarie.
Solamente trascorsi novanta giorni dalla notifica, nel caso in cui nulla fosse compiuto, o fossero adottati provvedimenti rispondenti in maniera parziale alle istanze degli utenti del servizio pubblico, questi ultimi potranno accedere alla giurisdizione di natura esclusiva e di merito ( ai sensi dell’art. 4, comma 2, lettera l), n.2, legge delega 4 marzo 2009, n.15: “ il nuovo giudizio è devoluto alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudice amministrativo[19]”) del Tribunale Amministrativo Regionale territorialmente competente, il quale però non potrà adottare decisioni aventi ad oggetto il risarcimento dei danni, per il cui riconoscimento e determinazione dovranno essere esperiti i rimedi giudiziari ordinari.
A differenza della class action regolata dall’art. 140 bis codice di consumo, la esclusione della possibilità di condannare da parte della Autorità giudiziaria amministrativa al risarcimento dei danni la struttura pubblica o il concessionario di un pubblico servizio è dovuta alla diversa finalità sottesa a questa nuova azione giurisdizionale la quale tende, anziché a fornire tutela a una situazione giuridica attiva (come avviene nella class action ex art. 140 bis c.d.c. che consente al tribunale civile di stabilire una condanna di natura risarcitoria – o alternativamente di natura restitutoria - reintegrativa dell’interesse giuridicamente rilevante leso di cui i singoli consumatori ed utenti sono titolari), a ripristinare il corretto svolgimento della funzione pubblica o la corretta erogazione di un servizio pubblico e, pertanto, a realizzare compiutamente l’interesse pubblico generale.
Mentre l’azione di classe a mente della disposizione del codice di consumo fornisce una protezione diretta ad una posizione giuridica sia che essa abbia la veste del diritto soggettivo( assoluto o relativo) o quello dell’interesse legittimo( oramai considerato esistente anche nell’ambito giusprivatistico), la class action avverso la Pubblica Amministrazione o un Concessionario di pubblico sevizio è funzionalizzata primariamente ad apportare migliorie alle loro attività, sia che esse si formalizzino con modalità provvedimentali che con modalità negoziali, per il tramite del controllo della corretta applicazione dei principi di economicità ed efficienza da parte della Pubblica Amministrazione: solamente in via mediata e indiretta può determinarsi una tutela di situazioni soggettive, che non si esaurisce in quelle aventi natura di interessi legittimi collettivi( se fanno capo a corpi sociali organizzati) o interessi legittimi diffusi(id est relativi a una massa magmatica di soggetti - in alcun modo organizzata - autonomi fra di loro ma con un contenuto sostanziale eguale o omogeneo), ma che attiene anche a poste attive lese da azioni amministrative legittime ma non conformi ai cennati standard normativamente determinati.
Tale diversità di funzione della class action a mente del d.lgs. 198/2009[20] rispetto a quella prevista dall’art. 140 bis c.d.c. dipende dalla diversa concezione di Pubblica Amministrazione che viene configurata dalla legge delega ( c.d. Brunetta ) 4 marzo 2009, n.15, id est come Amministrazione di risultato, sostantivizzazione del principio costituzionale del buon andamento ai sensi dell’art. 97 della Costituzione. Lo stesso potere conferito al giudice amministrativo è molto più ampio di quello ordinariamente esercitato in sede di giurisdizione di merito, potendo il T.A.R. sindacare sulle scelte“ aziendali” della pubblica Amministrazione e dei Concessionari di pubblici servizi in maniera “talmente penetrante quasi da snaturarne la funzione giurisdizionale così come tradizionalmente intesa”[21].
· Ordinanza del tribunale di Torino
Premesso ciò, possiamo procede ad una attenta valutazione dell’ordinanza del tribunale di Torino[22].
La pronuncia 29/2010 verte sull’ammissibilità dell’esercizio dell’azione da parte del consumatore di sevizi bancari, ai fini del risarcimento del danno prodotto dall’inserimento di una clausola nulla nella regolamentazione del rapporto di conto corrente, nonché dalla sua eventuale applicazione. Il giudice procede nel contraddittorio delle parti ad un approfondito esame del merito, concludendo che all’attore la clausola non era mai stata applicata e, di conseguenza, difettasse il suo interesse ad agire.
Su questa premessa si dichiara pertanto inammissibile l’azione di classe, nonostante le conclusioni in senso contrario del pubblico ministero (la cui presenza è obbligatoria solo nella fase della ammissibilità dell’azione ai sensi dell’art. 140 bis comma 5 codice di consumo[23]).
L’ordinanza in esame, adottata al termine dell’udienza c.d. “di filtro”, pur dovendosi ritenere inidonea alla produzione di effetti di giudicato sostanziale( tranne che con riferimento alla statuizione sulle spese), assume però carattere definitivo del procedimento così avviato e dunque merita speciale attenzione.
Come si è in precedenza posto all’attenzione del lettore negli Stati Uniti d’America si esclude che l’apparenza di fondatezza della domanda costituisca condizione di ammissibilità della class action; altrettanto si è evidenziato che in vari Paesi europei non esiste alcun “filtro” preliminare.
In Italia si è già dichiarato costituzionalmente illegittimo condizionare l’accesso alla giurisdizione al fumus boni iuris della domanda: la giurisprudenza della Corte Costituzionale – primariamente la sentenza 10 febbraio 2006, n.50[24] - in materia di condizionamento della giurisdizione ha sancito la irrazionalità di siffatti “filtri”: l’ammissibilità o meno di uno strumento cautelare, provvisorio, di urgenza ovvero di una vera e propria azione giudiziaria può essere ammessa nel rispetto dei principi della Carta Costituzionale solamente se la valutazione dell’organo giudicante si limiti ad una generica valutazione sulla sussistenza degli elementi minimali per la adozione del provvedimento, nel caso di specie di ammissibilità dell’ azione di classe.
L’art. 140 bis codice dei consumi subordina l’ammissione dell’azione di classe alla non manifesta infondatezza della domanda e si presta, dunque, unicamente ad impedire l’esame del merito di domande platealmente infondate, contrariamente all’esame del merito effettuato invece dal tribunale di Torino in via preliminare. Qualora persista una simile linea interpretativa dei tribunali – ad avviso di chi scrive, confortato da autorevole Dottrina[25] - è probabile che tale quaestio sarà portata alla attenzione della Corte Costituzionale
Altra questione di non poco momento affrontata dall’ordinanza del tribunale di Torino si sostanzia nella esclusione della assunzione della qualità di “parte” dei soggetti c.d. aderenti (ma non partecipanti al giudizio), non potendo essi pertanto impugnare la decisione in quanto privi di poteri di impulso processuale.
Negli Stati Uniti, ove si adotta il sistema del recesso (c.d. opt out) - in talune ipotesi addirittura impedito - i componenti passivi del gruppo possono risultare tali senza aver compiuto alcun atto processuale, sicché si è teorizzato che “parte” in giudizio possa considerarsi la classe nel suo complesso.
Solamente nella ipotesi in cui un soggetto dichiari esplicitamente in sede giudiziaria o stragiudiziaria di non voler fruire in alcun modo della causa nel rispetto della normativa sulla class action e, quindi, della decisone che al termine di essa sarà emanata, si renderà operativa la clausola dell’opt out e, conseguentemente, il soggetto recedente avrà la facoltà di adoperare gli ordinari mezzi processuali civilistici “di natura individuale” .
Tale impostazione non è invece praticabile in Italia, dove si è adottato il sistema della adesione (c.d. opt in): il componente del gruppo si assoggetta agli effetti degli atti di impulso del proponente per effetto di una propria manifestazione di volontà esplicitamente e formalmente diretta all’ufficio giudiziario di portata inequivocabilmente processuale, altro non essendo che una modalità semplificata di proposizione di una domanda giudiziale.
La legge 99/2009 ha confermato tale impostazione, disponendo esplicitamente che l’atto di adesione debba contenere l’enunciazione dei fatti costitutivi della pretesa, oltre che gli aderenti si avvalgano dell’azione di classe senza il ministero del difensore.
E’ opportuno precisare che, ai fini della pronuncia sul merito, la circostanza che l’aderente non sia tenuto a compiere ulteriori atti di impulso, potendosi avvalere a tale fine degli effetti di quelli posti in essere dal proponente, non esclude affatto la sua qualità di “parte”: è la stessa ratio, la stessa natura, le stesse peculiarità che sottendono il processo in parola che rendono fatalmente il soggetto aderente ma non proponente “parte processuale” a tutti gli effetti.
Alla luce di quanto sopra riportato dalla legislazione italiana e da quella statunitense, britannica, australiana e canadese( e sulla stessa linea quella brasiliana) in parte qua, appare di palmare evidenza una marcata differenza fra la class action così come delineata nell’ordinamento giuridico italiano e la class action di stampo anglosassone.
· Conclusioni
Il decreto legislativo 198/2009 abbisogna ancora per la sua “reale” entrata in vigore della emanazione dei regolamenti attuativi previsti dalla norma transitoria (art. 7), mentre l’art. 140 bis codice dei consumi muove i suoi primi timidi passi nella sua attuazione nelle aule giudiziarie. Importante sarà vedere come si utilizzerà lo strumento della udienza di “filtro” per la ammissibilità della class action: se si seguiranno le orme tracciate dal tribunale di Torino – presumibilmente contrastanti con i dettami costituzionali – l’ambito di applicazione della disposizione sarà sensibilmente ristretta, a danno di consumatori e utenti, svuotando nei fatti la sua forza innovatrice; se l’indirizzo invece che sarà seguito dalla magistratura avrà un maggiore respiro europeo, la possibilità di rendere giustiziabili gli interessi diffusi ( oltre quelli collettivi) potrà finalmente vedere concrete occasioni di realizzazione[26].
[1] Conclusasi con la transazione della Morgan Stanley con la Securities and Exchange Commission nel 2005: la Corte Suprema ha approvato la transazione il 4 febbraio 2005( in Luciana Iaccarino, “Common law e competitività del mercato U.S.A.: due casi all’esame della Corte Suprema”, Luiss Guido Calvi, Dipartimento di Scienze giuridiche – Centro di ricerche per il diritto di impresa, 2007, in www.luiss.it
[2] In www.aduc.it
[3] Presentata il 28 luglio 2010 dinanzi la United States District Court per il distretto del Maryland.
[4]Castenada v. Burger King dinanzi la California Federal Court in www.burgerkingclassaction.net
[5] P.Fava., "Class actions all'italiana: Paese che vai, usanza che trovi, l'esperienza dei principali ordinamenti giuridici stranieri e le proposte, in Corriere Giuridico 3/2004; E. Bellini. “Class actions e mercato finanziario: l’esperienza nordamericana”, in Danno e responsabilità”, n. 8-9, 2005, p. 817.
[6] Stephen C. Yeazell,” From Medieval Group Litigation to the Modern Class Action” (New Haven: Yale University Press, 1987)
[7] S. Chiarloni, “ Per la chiarezza di idee in materia di tutele collettive dei consumatori”, in Riv. Dir. Proc., 2007, 567, 570.
[8] M.Boato, P.Piastoia, S.Pucci “Class Action nel mondo e nuova legge italiana. Azione collettiva dei consumatori”, ed. Ecoistituto del Veneto, 2008
[9] G.Alpa – G.Capilli “Lezioni di diritto privato europeo”, Padova, 2007; “Consumatori fra pubblicità, prezzi e prodotto reale”, Atti del premio Vincenzo Dona, Milano, 2009.
[10] Com(2008)794.
[11] Dal paragrafo 21 del Libro verde: “A livello europeo, strumenti giuridici in grado di favorire la soluzione dei ricorsi di massa transfrontalieri dovranno essere attuati in un futuro prossimo o entrare in vigore fra breve. La direttiva sulla mediazione n.31 deve essere attuata entro il 2011 e la Commissione riferirà in merito nel 2016.”
[12] V. Panzironi, “Le proposte di legge francesi sull’azione collettiva risarcitoria presentata all’Assemblee Nazionale e al Senat”, 2006, Luiss Guido Calvi, Dipartimento di Scienze giuridiche – Centro di ricerche per il diritto di impresa, in www.luiss.it
[13] C. Iurilli ,” Taluni aspetti della nuova legge italiana sul risparmio: il conflitto di interesse. la mancata introduzione della ‘class action’ e la nuova legge tedesca sull’azione di classe in materia di tutela del risparmio”, in Studium Iuris, n. 9, 2005, p. 983.
[14] F. Basciu “Le class action nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America”, 2010, in www.luiss.it
[15] P..Fava., "Class actions all'italiana: Paese che vai, usanza che trovi, l'esperienza dei principali ordinamenti giuridici stranieri e le proposte.” cit.
[16] A. Carrata, “Dall'azione collettiva inibitoria a tutela di consumatori ed utenti all'azione collettiva risarcitoria: i nodi irrisolti delle proposte di legge in discussione”, in Giur. it., 2005, p. 662; G.Ponzanelli., “Class actions”, tutela dei fumatori e circolazione dei modelli giuridici”, in Foro it., 1995, IV, p. 305; G.Ponzanelli.,” Alcuni profili del risarcimento del danno nel contenzioso di massa”, in Riv. dir. civ., n. 3/2006, p. 327;F. Tedioli (Dicembre 2000). “Class action all'italiana atto secondo: un cantiere ancora aperto”,.in Obbligazioni e Contratti (12): 998 – 1007; Fava P., "L'importabilità delle class actions in Italia", in Contratto e Impresa 1/2004.
[17] Due sono le class action presentate negli uffici giudiziari italiani e ancora non decise: al tribunale di Roma il Codacons ha depositato una class action contro l’Unicredit: l’azione poggia sulle rilevazioni dell’Antitrust, secondo le quali le banche avrebbero compensato l’eliminazione della commissione di massimo scoperto introducendo nuove e più costose commissioni a carico degli utenti; la seconda è stata presentata avanti il tribunale di Milano sempre dal Codacons avverso la Voden medical instruments, ideatrice e distributrice del test” Ego test flu”, che permetterebbe la rilevazione, fai da te, dell’influenza A e B: un test, secondo i tecnici, del Ministero della Salute, che avrebbe una scarsa sensibilità, con rischi di incorrere in falsi negativi. Alcune farmacie ne hanno, fra l’altro, rifiutato la commercializzazione.
[18] Una prima proroga al 1° gennaio 2009 è stata disposta dalla “manovra finanziaria estiva” ( legge 133/2008 di conversione del decreto legge 112/2008), sulla base della necessità di individuare e mettere a punto strumenti normativi adatti ad estendere la tutela risarcitoria offerta dall’azione collettiva anche nei confronti della pubblica amministrazione. Tale termine è stato successivamente differito al 1° luglio 2009 dal “decreto-legge milleproroghe” ( decreto legge 207/2008, convertito dalla legge 14/2009; un’ulteriore proroga al 1° gennaio 2010 è stata disposta dal decreto legge 78/2009, convertito dalla legge 102/2009).
[19] “Sebbene questa previsione non sia stata ribadita apertamente anche dal legislatore delegato – come sostiene G.Finocchiaro, in “Il nuovo strumento diventerà operativo solo dopo l’emanazione dei decreti attuativi”, Guida al Diritto, n.5 del 30 gennaio 2010, p.43 – non può non credersi che il giudice amministrativo sia investito del potere di sindacare nel merito l’operato delle parti intimate.”.
[20] che riveste comunque una carattere residuale rispetto a quella introdotta nel Codice di Consumo, nonché in relazione all’opera di regolazione e di controllo avviata dalla Autorità preposta a un determinato settore in forza di un procedimento amministrativo volto ad accertare condotte ritenute censurabile poste in essere dalla Pubblica Amministrazione ovvero da un Concessionario di un pubblico servizio.
[21] G.Finocchiaro “Class action: con il rimedio “superindividuale” i magistrati entrano nelle scelte organizzative”, in “Guida al Diritto”, n. 43 del 31 ottobre 2009, p. 18.
[22] Tribunale di Torino, sezione I civile, ordinanza 27 maggio 2010, n.29, Presidente e relatore Panziani; Rienzi, rappresentato dal Codacons, contro Intesa San Paolo s.p.a. in”Guida al Diritto”, n. 27 del 3 luglio 2010, pagg. 18-26
[23] Pertanto è aggiunta una ulteriore ipotesi di presenza obbligatoria del Pubblico Ministero nel processo civile a quelle già previste dall’ 70 c.p.c.
[24] in “il Foro italiano”, 2006, I, 996.
[25] A.Giussani” La deliberazione sulla fondatezza della domanda genera un aumento dei costi ingiustificabile” in”Guida al Diritto”, n. 27 del 3 luglio 2010, pagg. 18-26; A.Giussani” La prima ?uscita? della class action all’italiana soffocata da meccanismi preclusivi penalizzanti” in”Guida al Diritto”, n. 27 del 3 luglio 2010, pagg. 16-17.
[26] Sino ad ora la giurisprudenza amministrativa ha considerato tutelabili solamente gli interessi c.d. collettivi. La pronunzia del Consiglio di Stato, sez. VI, 11 luglio 2008, n.3507 – esemplificativa a tale riguardo - nella parte finale della parte motiva afferma:” La concentrazione dell’interesse diffuso in interesse collettivo si realizza proprio attraverso l’individuazione di soggetti qualificati, e quindi di organismi collettivi, che agiscono istituzionalmente e statutariamente per la sua tutela, e che di conseguenza, proprio per la particolarità del fine che perseguono, emergono dalla collettività indifferenziata e si fanno portatori delle istanze del gruppo sociale di cui sono esponenziali. Quindi, dall’interesse diffuso, in cui ciascun membro del gruppo, che fruisce del bene di uso collettivo è titolare di un interesse omogeneo rispetto a quello facente capo agli altri, si passa all’interesse collettivo, in cui emerge una organizzazione che agisce a tutela di quell’interesse e che diviene come tale portatrice di una posizione soggettiva giuridicamente rilevante che la legittima ad impugnare provvedimenti amministrativi o ad opporsi a comportamenti della P.A. che siano lesivi della posizione giuridica protetta.”.
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