“Felices los amados y los amantes y los que pueden
prescindir del amor. Felices los felices” (“Felici gli amati e gli
amanti e coloro che possono fare a meno dell’amore. Felici i felici”). Da questi
versi, estrapolati dal libro di poesie di Jorge Luis Borges “Frammenti
di un vangelo apocrifo”, la celeberrima scrittrice parigina di origini
iraniano-ungheresi Yasmina Reza ha
tratto il titolo del suo ultimo capolavoro “Felici i felici” ("Heureux les heureux") (Adelphi editore),
prezioso racconto sulla vacuità, la profondità e le asprezze dell’amore.
Poche
ore di lettura per immergersi nella bellezza della tristezza e della malinconia
degli affetti, in quell’attimo dorato ed irripetibile dell’innamoramento e nel
protrarsi lento e consunto del sentimento quotidiano, che sembra, sembra, aver
macerato l’antica passione, ma che la morte proverà che così non è.
“A che punto quel passato si sia dissolto e
volatilizzato. Due persone vivono fianco a fianco e ogni giorno la loro
immaginazione si allontana in modo sempre più definitivo. Le donne, nel loro
intimo, si costruiscono palazzi incantati. Tu sei lì dentro da qualche parte
mummificato ma non lo sai”.
Ventuno
storie che raccontano i misteri del voler bene all’altro di ventuno personaggi
che girano intorno alla famiglia Toscano, Robert, Odile e i due figli: i loro genitori, suoceri,
cognati, generi, nuore,
amici e amanti.
Caratteri
marcati e pennellate decise descrivono
le donne e gli uomini, tutti egualmente protagonisti,
di questo piccolo trattato su ciò che muove e distrugge l’umanità e che è
ontologicamente coessenziale all’essere umano, che con esso nasce e con esso muore: l’amore.
Yasmina Reza non
si sottrae ad una critica pungente ed aspra di certi lati femminili, non indulgendo a commiserazioni che trova
fuori luogo e, soprattutto, fuori dalla verità che deve essere sempre la stella
polare di uno scrittore che si propone di incunearsi fra le pieghe nascoste
dell’anima: ” Le donne soccombono al
fascino degli uomini terribili – urla dentro di sé Jeannette Blot - perché gli
uomini terribili si presentano mascherati come a un ballo”. Anche Hélène
Barnèche è incastrata in questo perverso e subdolo meccanismo: fra il marito
dolce e premuroso e l’uomo dominatore, sprezzante e violento, opta fatalmente
per il secondo, ossia per il proprio annientamento.
Anche
il rapporto omosessuale è fugacemente preso in considerazione, ma nel brandello
di storia esso è trattato come mero sfogo sessuale, prezzolato, mercenario,
putrido.
Le
origini culturali e religiose ebraiche della Autrice trapelano in maniera
garbata in molti passaggi della narrazione, non con l’irruenza che
contraddistingue Alessandro Piperno, nelle cui opere letterarie (di indubbia valenza
e bellezza) traspare un senso di sdegno e di fastidio per usanze e costumi
giudaici.
E’
una lettura quella di “Felici i felici”
che non potrà non sollevare conflitti interiori e, soprattutto, non potrà non subire
un duplice e diametralmente opposto approccio emotivo, critico e valutativo, da parte delle due metà del
cielo.
Una
certezza v’è ed è indiscutibile: leggetelo!
Fabrizio Giulimondi
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