Ho
letto centinaia di libri ma lo stile letterario in cui mi sono imbattuto
leggendo “Le ragioni del sangue” di Tom Wolfe (Mondadori), acclamato Autore
nel 1987 de “Il falò delle vanità”,
non l’ho riscontrato da nessuna altra parte.
La
trama non primeggia per originalità ma
può entusiasmare e convincere il lettore.
Quartiere
di Hialeah, Città di Miami, Florida, Stati Uniti.
Entro
un crogiuolo di etnie e culture, fra le quali quella cubana risulta
maggioritaria rispetto agli americanos ,
ai latini (haitiani e appartenenti ad altre comunità centro e sud americane) e ai los negros (afroamericani), si muovono i personaggi,
le loro azioni, le loro vicissitudini, la loro sensualità.
Un
giro miliardario di quadri falsificati.
Nestor,
un poliziotto cubano che per aver arrestato la fuga da Cuba verso la libertà di un immigrato clandestino,
dopo avergli salvato con maestria la
vita, viene sprezzantemente allontanato dalla sua gente.
La fidanzata
di Nestor, vulcanicamente bella, vuole
andare via dalla misera zona dove abita e passa dal letto dello psichiatra –
degenerato come i facoltosi clienti che dovrebbe aiutare ma che mantiene, invece,
intenzionalmente in trappola per continuare ad attingere dalle loro casse,
sfruttandone le altolocate conoscenze – alle lenzuola di un malavitoso tycoon russo, per poi voler tornare fra le braccia dell’ex fiancee, unica persona che le voleva
bene e che le farà trovare la porta serada.
Il
direttore di una importante testata giornalistica locale che, in ragione di una
moglie che tiene molto alla posizione di privilegio economico e sociale acquisita
dal marito, è costretto a chiudere gli
occhi dinanzi ad alcuni poderosi accadimenti.
Un
comandante della polizia che si è stufato di fare finta di niente e sfida il sindaco,
pur rischiando di mettersi contro la consorte.
Indubbiamente
le donne in questo lavoro non sono ben dipinte dallo Scrittore: Magdalena, fidanzata
di Nestor, è una ignorante semi analfabeta che tende solamente ad “accalappiare”
un uomo ricco e il più possibile ai vertici nella scala sociale, comportandosi
da prostituta e facendosi trattare da tale.
Le
mogli del comandante della polizia e del direttore del giornale sono descritte,
senza troppi riguardi, come degli ostacoli, per ovvie ragioni di salvaguardia dello
status di agio in cui versano, alle nobili attitudini
dei rispettivi mariti a svolgere le proprie professioni con rigore ed onore.
Invero,
non si può certo negare che Tom Wolfe
rappresenti con scarsa bonarietà una tipologia di signore presenti, non in forma minoritaria, nella nostra
società, rese ridicole e spregevoli all’occhio dei lettori di entrambi i sessi da una ironia degna di
Terenzio e Plauto.
Ciò
che senza ombra di dubbio fa giganteggiare “Le ragioni del sangue” è lo
stile adoperato, il quale può pacificamente essere sussunto nella letteratura
di genere futurista e, a tratti, cubista.
Il
futurismo di stampo marinettiano si manifesta nel continuo ripetere più volte i verbi nella
forma infinita nel tracciato dello stesso periodo (“escogitare escogitare escogitare escogitare architettare architettare architettare”),
nella assenza , a sprazzi, della punteggiatura, oltre nell’accompagnare la scrittura con il sonoro,
che attiva una trasformazione genetica del romanzo in un “romanzo-teatro” e in un “romanzo
– film”.
I
dialoghi sono recitati con il sottofondo dei rumori e dei suoni che l’uomo produce
con le proprie movenze e da cui è circondato e immerso. L’inseguimento con il
motoscafo e il fitto scambio di battute che ne consegue è interpolato dallo sbattere
dello scafo della imbarcazione con i flutti del mare (“ciaff ciaff”).
E poi
il “boing boing boing boing” del
pallone da basket, il frastuono di una
discoteca “BUM-unngh dum BUM- unngh dum BUM- unngh dum”, i calci e i pugni in una zuffa “TUMF!POF!UUHHGGG”, i gemiti orgasmici dell’atto amoroso “unhh, ahhh ahhh, ooom-muh, ennngh ohhhhunh”,
il ritmo irregolare e metallico di un brano musicale ”tin tin…clang clang clang…tin…clang…tin tin clang”.
L’unione,
la fusione e la commistione di suoni e parole rendono un tutt’uno la
potenza espressiva. La percezione sonora si trasforma in fonema e, quindi, in comunicazione linguistica e, infine, in un tratto di penna su un foglio, ossia verbum: “ting dong clangambulante”. L’aggettivazione
sovrabbondante e musicale (“appariva
lezioso, civettuolo, sofisticato, vistoso, addobbato”) che non si discosta
da certe imprese letterarie a sfondo
gotico.
E
ancora: il bruciore della vodka nell’esofago (“Ahhhhhhughh…eeeeeeeeuuughhh…ushnayyyyyyyyyyyanuck”), e l’ esprimersi
mentre si ride (“credereaahhhHAHAHAoh oh oh oh…di essere malatiaahHAHAoh oh oh oh!”).
Le illustrazioni ritmiche delle azioni eseguite
con una moltitudine di sinonimi: “insultare
apertamente le persone, umiliarle, fiaccarne lo spirito, rovinare la
reputazione, farle piangere, singhiozzare, piagnucolare, frignare.”; la
cadenza studiata di sillabe e dittonghi che
riprendono la metrica greca e latina, il trimetro giambico e l’esametro
dattilo; l’utilizzo massivo, incessante e quasi ossessivo della onomatopea, unitamente a suggestivi
neologismi quali egoplasma (“impercettibile audiogorgogliante bla bla bla
e a un unico scroscio ua ua ua ua di
risate, poi ancora blablablabla”), costruiscono una architettura
linguistica ed emozionale di rara
originalità.
Non
ultimo l’uso affascinante della figura retorica della acirologia, cioè dell’impiego improprio di una locuzione (“tubercolotico colore blu del televisore”).
I
suoni e i rumori dell’uomo e in cui l’uomo
è inzuppato divengono vivi tramite la
reiterata tecnica onomatopeica. La vita entra nel libro tramite esclamazioni,
invocazioni ed interazioni. Le espressioni onomatopeiche ed i neologismi, anche frutto di
fusioni fra suoni e segni, fanno da mediatori e conduttori dal modo
esterno, reale, al mondo scritto, fittizio. I personaggi si esprimono davvero
al pari di come si esprimono i loro “colleghi” in carne ed ossa nel quotidiano.
Il
cubismo nella poesia come nella prosa, parimenti a “Le ragioni del sangue”, in cui le interlocuzioni interiori,
inglesi, spagnole, creole e francesi, sono condensate e confinate all’interno di una doppia linea parallela di puntini. Vocaboli redatti in parte in corsivo e, talune volte, con caratteri differenti, sfalsati fra di loro in un
sistema di organizzazione delle lettere, delle consonanti e delle vocali
per nulla rispettoso della normale ed ordinata
stampa delle parole, vocaboli sparpagliati asimmetricamente ma razionalmente,
che tracciano disegni geometrici, mediante i quali all’idea sostanziata dalle
parole si affiancano rappresentazioni che mutuano il linguaggio dalle arti
raffigurative.
Alla
comunicazione futurista e cubista si
aggiunge il realismo delle manifestazioni fonetiche dei personaggi, che vedono la propria pronunzia strascinarsi come
avviene nella vita vissuta, che moltiplica le vocali nelle parole, le quali,
allungandosi a dismisura, sottolineano e
potenziano l’entusiasmo che esse hanno il compito di manifestare: il davvero muta in daaaaverooooo; il no si trasforma in noooooooooooo; sul serio diventa suuulseeeriooo.
Le
formule retoriche, lo stile letterario, le tecniche del linguaggio, le metodologie
comunicative trasfuse da Wolfe nella
sua opera, fanno percepire subitaneamente
al lettore in una storia “scritta” una piece
teatrale, fanno sentire nell’immediato
in una narrazione cartacea un film proiettato sul grande schermo.
I
dialoghi escono dall’inchiostro come le figure prorompono all’esterno da una
pellicola a 3D, e Wolfe determina
una metamorfosi del libro e del suo contenuto in teatro e cinema e musica e pittura. Il lettore
è coinvolto in tutti i suoi cinque sensi nell’atto di leggere: la lettura è a
più dimensioni.
Wolfe ha avuto il tocco di
genialità di far proprio il linguaggio dei comics,
elevandolo alla dignità di genere
letterario, di letteratura con la L maiuscola.
Fabrizio Giulimondi
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