venerdì 6 dicembre 2013

"LE RAGIONI DEL SANGUE" DI TOM WOLFE (MONDADORI)

Le ragioni del sangue
Ho letto centinaia di libri ma lo stile letterario in cui mi sono imbattuto leggendo Le ragioni del sangue” di Tom Wolfe (Mondadori), acclamato Autore nel 1987 de “Il falò delle vanità”, non l’ho riscontrato da nessuna altra parte.

La trama non primeggia per originalità  ma può  entusiasmare  e convincere  il lettore.

Quartiere di Hialeah, Città di Miami, Florida, Stati Uniti.

Entro un crogiuolo di etnie e culture, fra le quali quella cubana risulta maggioritaria rispetto agli americanos , ai latini (haitiani e appartenenti ad  altre comunità centro e sud americane) e ai los negros (afroamericani), si muovono  i personaggi,  le loro azioni, le loro vicissitudini, la loro sensualità.

Un giro miliardario di quadri falsificati.

Nestor, un poliziotto cubano che per aver arrestato la fuga da Cuba  verso la libertà di un immigrato clandestino, dopo avergli salvato con maestria  la vita, viene sprezzantemente allontanato dalla sua gente.

La fidanzata di Nestor, vulcanicamente bella,  vuole andare via dalla misera zona dove abita e passa dal letto dello psichiatra – degenerato come i facoltosi clienti che dovrebbe aiutare ma che mantiene, invece, intenzionalmente in trappola per continuare ad attingere dalle loro casse, sfruttandone le altolocate conoscenze – alle lenzuola di un malavitoso tycoon russo, per poi voler  tornare fra le braccia dell’ex fiancee, unica persona che le voleva bene e che le farà trovare la porta serada.

Il direttore di una importante testata giornalistica locale che, in ragione di una moglie che tiene molto alla posizione di privilegio economico e sociale acquisita dal marito, è costretto a  chiudere gli occhi dinanzi ad alcuni poderosi accadimenti.

Un comandante della polizia che si è stufato di fare finta di niente e sfida il sindaco,  pur rischiando di mettersi  contro la consorte.

Indubbiamente le donne in questo lavoro non sono ben dipinte dallo Scrittore: Magdalena, fidanzata di Nestor, è una ignorante semi analfabeta che tende solamente ad “accalappiare” un uomo ricco e il più possibile ai vertici nella scala sociale, comportandosi da prostituta e facendosi trattare da tale.

Le mogli del comandante della polizia e del direttore del giornale sono descritte, senza troppi riguardi, come degli ostacoli, per ovvie ragioni di salvaguardia dello status  di agio in cui versano, alle nobili attitudini dei rispettivi mariti a svolgere le proprie professioni con rigore ed onore.

Invero, non si può certo negare che Tom Wolfe  rappresenti con scarsa bonarietà una tipologia di signore  presenti, non in forma minoritaria, nella nostra società, rese  ridicole e spregevoli all’occhio dei lettori di entrambi i sessi da  una ironia degna di Terenzio e Plauto.

Ciò che senza ombra di dubbio fa giganteggiare “Le ragioni del sangue”  è lo stile adoperato, il quale può pacificamente essere sussunto nella letteratura di  genere futurista e, a tratti, cubista.

Il futurismo di stampo marinettiano si manifesta  nel continuo ripetere più volte i verbi nella forma infinita nel tracciato dello stesso periodo (“escogitare escogitare escogitare escogitare architettare architettare architettare”), nella assenza , a sprazzi, della punteggiatura,  oltre   nell’accompagnare la scrittura con il sonoro, che attiva una trasformazione genetica del  romanzo in un “romanzo-teatro” e in un “romanzo – film”.

I dialoghi sono recitati con il sottofondo dei rumori e dei suoni che l’uomo produce con le proprie movenze e da cui è circondato e immerso. L’inseguimento con il motoscafo e il fitto scambio di battute  che ne consegue è interpolato dallo sbattere dello scafo della imbarcazione con i flutti del mare (“ciaff ciaff”).

E poi il “boing boing boing boing” del pallone  da basket, il frastuono di una discoteca  BUM-unngh dum BUM- unngh dum BUM- unngh dum”,  i calci e i pugni  in una zuffa “TUMF!POF!UUHHGGG”, i gemiti orgasmici dell’atto amoroso “unhh, ahhh ahhh, ooom-muh, ennngh ohhhhunh”, il ritmo irregolare e metallico di un brano musicale ”tin tin…clang clang clang…tin…clang…tin tin clang”.

L’unione, la fusione  e la commistione  di suoni e parole rendono un tutt’uno la potenza espressiva. La percezione sonora  si trasforma in fonema e, quindi, in  comunicazione linguistica e, infine, in un  tratto di penna su un foglio, ossia verbum: “ting dong clangambulante”. L’aggettivazione sovrabbondante e musicale (“appariva lezioso, civettuolo, sofisticato, vistoso, addobbato”) che non si discosta da  certe imprese letterarie a sfondo gotico.

E ancora: il bruciore della vodka nell’esofago (“Ahhhhhhughh…eeeeeeeeuuughhh…ushnayyyyyyyyyyyanuck”), e l’ esprimersi  mentre si ride (“credereaahhhHAHAHAoh oh oh oh…di essere malatiaahHAHAoh oh oh oh!”).

 Le  illustrazioni ritmiche delle azioni eseguite con una moltitudine di sinonimi: “insultare apertamente le persone, umiliarle, fiaccarne lo spirito, rovinare la reputazione, farle piangere, singhiozzare, piagnucolare, frignare.”; la cadenza studiata  di sillabe e dittonghi che riprendono la metrica greca e latina, il trimetro giambico e l’esametro dattilo; l’utilizzo massivo, incessante e quasi ossessivo  della onomatopea, unitamente a suggestivi neologismi quali egoplasma (“impercettibile audiogorgogliante bla bla bla  e a un unico scroscio ua ua ua ua di risate, poi ancora blablablabla”), costruiscono una architettura linguistica ed emozionale  di rara originalità.

Non ultimo l’uso affascinante della figura retorica della acirologia, cioè  dell’impiego improprio di una locuzione (“tubercolotico colore blu del televisore”).

I suoni e  i rumori dell’uomo e in cui l’uomo è inzuppato  divengono vivi tramite la reiterata tecnica onomatopeica. La vita entra nel libro tramite esclamazioni, invocazioni ed interazioni. Le espressioni  onomatopeiche ed i neologismi, anche frutto di  fusioni fra suoni e segni,  fanno da mediatori e conduttori dal modo esterno, reale, al mondo scritto, fittizio. I personaggi si esprimono davvero al pari di come si esprimono i loro “colleghi” in carne ed ossa  nel  quotidiano.

Il cubismo nella poesia come nella prosa, parimenti a “Le ragioni del sangue”, in cui le interlocuzioni interiori, inglesi, spagnole, creole e francesi,  sono condensate e confinate all’interno di  una doppia linea parallela di puntini.  Vocaboli redatti in parte in corsivo e,  talune volte,  con caratteri differenti,  sfalsati  fra di loro  in un  sistema di organizzazione delle lettere, delle consonanti e delle vocali per nulla rispettoso della normale ed ordinata  stampa delle parole, vocaboli  sparpagliati asimmetricamente ma razionalmente, che tracciano disegni geometrici, mediante i quali all’idea sostanziata dalle parole si affiancano rappresentazioni che mutuano il linguaggio dalle arti raffigurative.

Alla comunicazione  futurista e cubista si aggiunge il realismo delle manifestazioni fonetiche dei personaggi,  che vedono la propria pronunzia strascinarsi come avviene nella vita vissuta, che moltiplica le vocali nelle parole, le quali, allungandosi a dismisura, sottolineano  e potenziano l’entusiasmo che esse hanno il compito di manifestare: il  davvero muta in daaaaverooooo; il no si trasforma in noooooooooooo; sul serio diventa suuulseeeriooo.

Le formule retoriche, lo stile letterario, le tecniche del linguaggio, le metodologie comunicative trasfuse da Wolfe nella sua opera,  fanno percepire subitaneamente al lettore in  una storia “scritta”  una piece  teatrale, fanno sentire nell’immediato in una narrazione  cartacea  un film proiettato sul grande schermo.

I dialoghi escono dall’inchiostro come le figure prorompono all’esterno da una pellicola a 3D, e Wolfe determina una metamorfosi del libro e del suo contenuto in  teatro e cinema e musica e pittura. Il lettore è coinvolto in tutti i suoi cinque sensi nell’atto di leggere: la lettura è a più dimensioni.

Wolfe ha avuto il tocco di genialità di far proprio il linguaggio dei comics,  elevandolo alla dignità di genere letterario, di letteratura con la L maiuscola.


Fabrizio Giulimondi

Nessun commento:

Posta un commento