giovedì 12 dicembre 2013

"MODIGLIANI, SOUTINE E GLI ARTISTI MALEDETTI" - FONDAZIONE ROMA MUSEO - PALAZZO CIPOLLA



La mostra “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti -  la collezione Netter”, allestita presso la  Fondazione Roma Museo – Palazzo Cipolla, dal 14 novembre 2013 al 6 aprile 2014, è imperdibile!
Gli artisti spagnoli, francesi ed italiani, le cui opere sono at an exhibition (Modigliani, Soutine, Utrillo, Suzanne Valadon,  Kisling, Henri Epstein, Henri Hayden, Maurice de Vlaminck, et alia),  abbracciano il periodo che va dalla fine del secolo XIX al prima metà del ‘900, sullo sfondo delle due guerre mondiali.
Realismo, impressionismo, cubismo,  sono le correnti pittoriche di cui i Maestri fanno parte, anche se può risultare riduttivo qualificarli unicamente  pittori, essendo anche poeti, scultori, filosofi, musicisti, ossia artisti completi, a tutto tondo.
Ho provato tutto quello che ho potuto – affermava Maurice de Vlaminck – affinché un dono di natura desse tutto quello che poteva dare. Ho voluto che mi si conoscesse tutto intero con le mie qualità e i miei difetti”.
Maurice de Vlaminck è il fondatore del fauvismo (“Io sono il fauvismo”), movimento culturale ascrivibile alle arti figurative, inserito nella tradizione impressionista francese, reso peculiare da accenti romantici e nordici, presenti con vigore in Munch.
Elementi che accomunano questi Autori sono l’assunzione massiva di vino e assenzio, fino al disfacimento del  fegato e dello stomaco, oltre una vita  bohemienne, dove  Montparnasse diviene il  proscenio in cui dipingere  e scambiarsi  idee, fra una bevuta e una assunzione di droghe.
Le sostanze stupefacenti facilitano la separazione fra la carne, le ossa e il prodotto che si materializza sulla tela. I problemi psichici di molti, l’abuso di alcool, patologie come l’epilessia in Utrillo, “curata” dalla nonna con il vino sin da bambino, esistenze devastate anche da rapporti incestuosi, determinano la necessità di vergare una linea di confine fra  carnalità,  corporeità   e  ciò che viene raffigurato sul quadro. Un bipolarismo mentale che porta ad estraniare la propria malattia dal quadro, il cui contenuto è alieno dalla follia del suo creatore, mostrando solamente pura realtà, aspetti concreti di essa, come case, pareti, tetti, giardini, chiese, scalini.  V’è una scissione fra il corpo e l’altro dal corpo, come in Carmelo Bene la recitazione esce da una bocca quasi rigida,  facente parte di un organismo  ingessato e statuario. Una  carne che esprime sofferenza , angoscia, degrado e psicosi,  mirabilmente mostrati senza reticenze  nelle trascinanti e meravigliose pitture di Chaim Soutine, la cui  ricerca di colori pastosi, accesi, vivi, fa da cartina di tornasole alla  sua crescente e incalzante malattia, in cui la mente  è tracimata sino alla distruzione finale.
La nudità dipinta da questi Artisti non è allegorica ma reale e fisica, sensuale e carnale,  nudità non di una prostituta ma della propria  madre, figlia,  moglie,  fidanzata, amante. E’ nudità afferente un estetismo antiborghese, in un’epoca in cui D’Annunzio, della Fiume da lui governata (1919-1921), ne fece un luogo di vagabondaggio di persone svestite.
La nudità in Herni Epstein  viene  chiazzata da macchie verdi che cospargono corpi ritraenti donne da lui veramente odiate o amate. Le pennellate verdognole che punteggiano il collo, i seni, le braccia e le gambe,  simboleggiano la spigolosità caratteriale delle modelle, tratteggiando così immagini che incarnano aspetti della loro personalità,  al pari dell’approccio piscologico con cui  Picasso affrontava gli aspetti interiori dei soggetti destinatari della propria azione pittorica.
I profili femminei  di Modigliani (1884-1920), le cui teste sono poggiate su lunghi colli affusolati, sono il cuore pulsante della mostra. Il collo è allungato a dismisura e i volti femminili possiedono  occhi privi di pupille. Le stesse figure che si allungano nel quadro non appaiono più centrali, ma perse nello spazio. I colli esageratamente e mostruosamente oblunghi e le cavità oculari prive del bulbo denotano l’incapacità di Modigliani a rappresentare l’essere femminile nella sua completezza, ad afferrare pienamente “l’in sé” dell’altra metà del cielo, non riuscendone  a tracciare i suoi elementi significativi, ossia il collo e gli occhi.
La posizione stessa della persona, donna o uomo che sia,  nell’arte di  questi  pittori, esce dalla concezione antropomorfica classica, e l’influsso dello stile giapponese ed orientale  è di supporto  tecnico  per estromettere  l’uomo dalla centralità del quadro, grazie alla  eliminazione della prospettiva: le signore, gli abiti che le coprono e l’arredamento da cui esse sono  circondate, sono incontrovertibilmente piatti, assolutamente  privi di una qualunque sorta di tridimensionalità.
Le forme sono costruite in Modigliani solo  con il  colore e non con  tratti di pennello che, caso mai, tracceranno  linee di contorno aggiuntive  solo in un secondo momento. Non si disegna più. I corpi si fondono negli ambienti e nello spazio.
La perfezione dei corpi si raggiunge con le luci e i colori: luci forti, abbaglianti, unitamente a colori brillanti,  danno vita a  “La spagnola”, straordinaria tela di Moise Kisling; in Henri Hayden le splendide tonalità di rosso, arancione e giallo,  irradiate  da fonti luminose che sembrano nascoste nelle stesse intelaiature, si cadenzano al ritmo di  note impossibili ad essere ascoltate da orecchio umano. La musicalità coloristica  esprime il tutt’uno espressivo di Hayden pittore e musicista.
Una ultima annotazione di  incoraggiamento a noi tutti.
Modigliani dipinge con una determinazione che sfiora l’eroismo o l’incoscienza, sino alla morte avvenuta a 36 anni, senza che alcuno acquisti i suoi lavori.  Solo dopo la sua scomparsa, avvenuta a Parigi il 24 gennaio 1920,  cominciarono ad essere venduti i suoi capolavori.
Fabrizio Giulimondi

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