sabato 28 dicembre 2013

"IL BORDO VERTIGINOSO DELLE COSE" DI GIANRICO CAROFIGLIO

Il Bordo Vertiginoso delle CoseSiamo giunti alla fine del 2013 e  il libro di fine d’anno che Vi propongo è l’ultima fatica del magistrato -  scrittore, già parlamentare nazionale del Partito Democratico nella legislatura 2008 – 2013,  Gianrico CarofiglioIl bordo vertiginoso delle cose” (Rizzoli). Questa Rubrica ha già recensito un’opera di Carofiglio, “Il silenzio dell’onda” (Rizzoli), finalista del Premio Strega 2012, e di lui avevo letto in precedenza  “Ragionevoli dubbi” (Sellerio), che vede il ritorno come protagonista dell’avvocato Guarnieri.
Carofiglio ha uno stile scorrevolissimo, piacevole ed immediato,  tanto che “Il bordo vertiginoso delle cose” lo si legge in un battibaleno. Nei suoi scritti sono visibilmente presenti tracce della sua professione magistratuale (ad eccezione proprio  del romanzo in commento), con continui riferimenti ad attività e terminologie di natura  poliziesca e giudiziaria, oltre del suo animo di sinistra, con persistenti richiami  all’antifascismo e  alla violenza dei “neri”. Tale passione ideologica si rintraccia anche in questo libro, unitamente ad un coraggioso richiamo di verità alla brutalità cieca e pericolosa dell’altro fronte, incarnata da uno dei due coprotagonisti, Salvatore, inserito nella galassia extraparlamentare comunista della metà degli anni settanta, dedito all’odio contro i c.d. fascisti, sempre  pronto a ferirli  ed a ammazzarli.
Il bordo vertiginoso delle cose” a livello figurativo è paragonabile all’arte del pittore statunitense  Jackson Pollock, uno dei principali esponenti della corrente artistica dell’espressionismo astratto, a partire dal titolo, che riprende  un  verso di Robert Browning “A noi preme soltanto il bordo vertiginoso delle cose”, per passare al potpourri  e mixage dotto, erudito, colto, raffinato ed intelligente, di riferimenti filosofici e  letterari. Vi sono stralci di lezioni sui massimi pensatori greci dell’antichità  da Platone ad Aristotele, evidenziando le concezioni dei  sofisti come Protagora, Gorgia e  Antifonte, lucidamente  esposti dalla seconda protagonista, Celeste, la supplente di filosofia di cui Enrico si innamorerà e che cambierà in lui l’approccio con la scuola (“Era la sua capacità di trattare gli argomenti partendo da spunti inattesi per giungere a conclusioni sorprendenti, che la rendeva ancora più bella di quanto non fosse in realtà. Nei suoi discorsi c’era una grazia vertiginosa a e una capacità di evocazione delle intelligenze, dalle quali era impossibile non restare incantati”).
La colonna sonora  della narrazione è costituita dai brani dei grandi cantautori italiani e stranieri dell’epoca, da Francesco de Gregori a Neil Young,  e la stessa individuazione cronologica è compiuta non direttamente ma attraverso richiami cinematografici, come al film del 1977 di Woody Allean Io ed Annie.
Il protagonista, un po’ patetico, un po’ melodrammatico, un po’ simpatico,  è Enrico. Nutro il motivato sospetto che le vicende che lo vedono coinvolto abbiano un qualche sapore autobiografico, a partire dal nome (Enrico-Gianrico), dall’ambientazione a Bari, località  natia di Carofiglio (la dovizia di particolari descrittivi e le molteplici citazioni di  strade e piazze appartengono più ad un afflato dell’anima che al mondo della toponomastica), nonché  al periodo storico della adolescenza scolastica di Enrico, risalente  proprio agli anni degli studi superiori dello Scrittore.
Enrico è un letterato di origini baresi che vive a Firenze. Dopo il grande successo della sua opera prima, ha il classico blocco dello scrittore. Vicissitudini personali aggravano la sua situazione: la perdita della madre e la fine del rapporto sentimentale con la ultradecennale convivente. Nasconde la propria  crisi mentendo a sé stesso e agli altri.
Legge sul giornale di una rapina a Bari finita con l’uccisione del rapinatore. Lascia Firenze per recarsi qualche giorno a Bari, anche se  non sarà affatto per qualche giorno.
Il rapinatore morto è Salvatore, suo compagno al primo liceo classico, già a quei tempi violento attivista politico di sinistra e “allenatore” in una palestra  clandestina, dove  si addestrano i picchiatori “compagni” ad aggredire o difendersi dagli aggressori “fasci”. Salvatore diventerà un terrorista rosso dedito alle rapine come strumenti di finanziamento delle attività eversive. In questa palestra viene cooptato anche Enrico, più interessato, però, all’insegnante, Celeste,  che sostituisce il titolare della cattedra in materie filosofiche. Le sue lezioni lo coinvolgono intellettivamente, ma, soprattutto, sensorialmente, portandolo ad un rapido innamoramento.
Il bordo vertiginoso delle cose” è racconto di occupazioni, autogestioni, cazzotti, calci, testate sul naso, risse, follia, odio fra fazioni che hanno portato la Repubblica nel baratro per lunghi anni. E’ ricordo  di un certo antifascismo fatto di spranghe e chiavi inglesi, molto simile a quel fascismo, simbolo di soprusi e di sangue,  che si voleva combattere. E’ viaggio fra  amori perduti e impossibili di uno studente per la professoressa, che poi il tempo potrebbe rendere possibile. E’ un amarcord dell’Autore per un passato, il suo, il nostro, vissuto da diverse barricate.
L’immersione di Enrico in quel tempo, in quella seconda metà degli anni settanta, la rentrèe al primo liceo classico dell’Istituto Orazio Flacco di Bari, le reminiscenze non più nebulose ma vivide di Celeste e Salvatore,  degli altri compagni di classe,  degli altri docenti, smuovono la fuliggine che si era addensata in lui: solo la ricerca di  Celeste per incontrarla di nuovo potrà far sì che il passato diventi presente e, nel presente, arrivi un nuova creazione letteraria.
Malinconia, sensazione  di irrimediabile fallimento e sconfitta,  pervadono  ogni singola riga, come una nebbiolina inconsistente ma fastidiosa. Verso la fine, lentamente ma inesorabilmente, si dissipa, scompare, intravedendosi prima soffusamente, poi più marcatamente, i raggi del sole, quei raggi di sole che traspaiono quando le nuvole  che si erano pericolosamente abbassate  su un viottolo di campagna finalmente si alzano.
L’Autore fa dire a Stefania, a cui  Enrico dette il suo primo bacio, scampata ad un tumore ai polmoni:” Allora pensavo alle cose che non avevo fatto, al tempo sprecato e venivo presa da una terribile malinconia. Contemplavo  la mia vita da quello che credevo fosse il mio letto di morte….( a cosa pensavi?) Al tempo sprecato…ai libri che non avevo letto, alle cose che non ero capace di dire alle persone cui avrei dovuto dirle…. Ai viaggi, alle passeggiate non fatte….pensavo a tutti i rischi che non avevo voluto correre.”.


Fabrizio Giulimondi

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