“Mentre
scruto l’immensità del paesaggio che mi accompagna nel mio andare, dico a me
stesso che sto rivedendo tre solitudini. Quella dei partigiani, dei fascisti
repubblicani e dei soldati di Hitler. Molti di loro, sempre da soli, sono finiti
sotto terra, in circostanze e luoghi che abbiamo dimenticato.
Se Bella Ciao ha un senso, non può essere
altro che un saluto a tante ombre che ci ricordano una verità spesso ignorata:
la guerra civile è una malattia mentale che obbliga tutti a combattere contro
se stessi.”.
Così
finisce l’ultimo libro di Giampaolo Pansa
“Bella Ciao, controstoria della
resistenza” (saggi Rizzoli).
Una
volta Marcello Veneziani mi disse che quello che racconta Pansa nei suoi lavori
sul periodo della resistenza (1943-1945) nel Centro-Nord dell’Italia, avrebbe
voluto narrarlo lui stesso. Non ha potuto mai farlo perché l’accoglienza da parte del pubblico e
dei critici sarebbe stata ancora più dura, aspra e intransigente rispetto a quella
scatenata contro Pansa dagli ortodossi della Resistenza, a cui non interessa la
ricerca storica ma solamente le “Verità” imposte a mo’ di dogmi religiosi su
quel buio periodo storico.
Bella Ciao è l’ultimo
di una lunga serie di studi e saggi scritti da Giampaolo Pansa a partire dal 2003 (Il sangue dei vinti, Prigionieri del silenzio, Sconosciuto 1945, La
grande bugia, i Guardiani della memoria, I tre inverni della paura, Il
revisionista, I vinti non dimenticano, I crimini ignorati della nostra guerra
civile, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti) sulle “ombre” e lo “scuro”
delle azioni dei partigiani comunisti, specie nel lasso di tempo a ridosso
della uccisione di Mussolini (28 aprile 1945) e nelle settimane successive. Le
vendette, gli stupri, le torture, i massacri immotivati contro civili inermi,
che alcun atto criminale avevano, direttamente o indirettamente, compiuto: semplici fascisti come la maggior parte del Popolo
italiano; persone che con la scusa della
“fascistità” venivano eliminate perché proprietari di case a cui non si voleva
pagare la “pigione” o restituire soldi precedentemente prestati; partigiani appartenenti
a brigate non comuniste (c.d. partigiani bianchi: cattolici, liberali, monarchici,
azionisti), come a Porzus, trucidati per non essersi voluti sottomettere al totalitarismo di Stalin e Tito.
Pagine
crude, impietose, pregne di orrore e sangue, che dimostrano con prove
documentali e testimoniali quanta violenza ingiustificata, al pari dei fascisti
e dei nazisti, è stata, a volte e, forse, spesso, specie nell’ultimo periodo, perpetrata
ai danni di inermi dalle formazioni
partigiane “rosse” della Garibaldi.
Se
revisionismo è tirare fuori dalla oscurità fatti realmente verificatesi e
metterli a conoscenza degli italiani, opera che ogni storico degno di questo
nome avrebbe il compito ed il dovere di compiere sempre, allora Giampaolo Pansa è un revisionista, nella
speranza che ne giungano altri.
Fabrizio Giulimondi
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