sabato 1 marzo 2014

"BELLA CIAO, CONTROSTORIA DELLA RESISTENZA" DI GIAMPAOLO PANSA

“Mentre scruto l’immensità del paesaggio che mi accompagna nel mio andare, dico a me stesso che sto rivedendo tre solitudini. Quella dei partigiani, dei fascisti repubblicani e dei soldati di Hitler. Molti di loro, sempre da soli, sono finiti sotto terra, in circostanze e luoghi che abbiamo dimenticato.
Se Bella Ciao ha un senso, non può essere altro che un saluto a tante ombre che ci ricordano una verità spesso ignorata: la guerra civile è una malattia mentale che obbliga tutti a combattere contro se stessi.”.
Così finisce l’ultimo libro di Giampaolo PansaBella Ciao, controstoria della resistenza” (saggi Rizzoli).
Una volta Marcello Veneziani mi disse che quello che racconta Pansa nei suoi lavori sul periodo della resistenza (1943-1945) nel Centro-Nord dell’Italia, avrebbe voluto narrarlo lui stesso. Non ha potuto mai farlo  perché l’accoglienza da parte del pubblico e dei critici sarebbe stata ancora più dura,  aspra e intransigente rispetto a quella scatenata contro Pansa dagli ortodossi della Resistenza, a cui non interessa la ricerca storica ma solamente le “Verità” imposte a mo’ di dogmi religiosi su quel buio periodo storico.
Bella Ciao è l’ultimo di una lunga serie di studi e saggi scritti da Giampaolo Pansa a partire dal 2003 (Il sangue dei vinti, Prigionieri del silenzio, Sconosciuto 1945, La grande bugia, i Guardiani della memoria, I tre inverni della paura, Il revisionista, I vinti non dimenticano, I crimini ignorati della nostra guerra civile, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti) sulle “ombre” e lo “scuro” delle azioni dei partigiani comunisti, specie nel lasso di tempo a ridosso della uccisione di Mussolini (28 aprile 1945) e nelle settimane successive. Le vendette, gli stupri, le torture, i massacri immotivati contro civili inermi, che alcun atto criminale avevano, direttamente o indirettamente,  compiuto:  semplici fascisti come la maggior parte del Popolo italiano;  persone che con la scusa della “fascistità” venivano eliminate perché proprietari di case a cui non si voleva pagare la “pigione” o restituire soldi precedentemente prestati; partigiani appartenenti a brigate non comuniste (c.d. partigiani bianchi: cattolici, liberali, monarchici, azionisti), come a Porzus, trucidati per non essersi voluti  sottomettere al totalitarismo di Stalin e Tito.
Pagine crude, impietose, pregne di orrore e sangue, che dimostrano con prove documentali e testimoniali quanta violenza ingiustificata, al pari dei fascisti e dei nazisti, è stata, a volte e, forse, spesso, specie nell’ultimo periodo, perpetrata ai danni di inermi  dalle formazioni partigiane “rosse” della Garibaldi.
Se revisionismo è tirare fuori dalla oscurità fatti realmente verificatesi e metterli a conoscenza degli italiani, opera che ogni storico degno di questo nome avrebbe il compito ed il dovere di compiere sempre, allora Giampaolo Pansa è un revisionista, nella speranza che ne giungano altri.


Fabrizio Giulimondi

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