“La parola è vita ed è ciò che distingue un
uomo da un grumo di creta”.
I libri sono un
insieme di parole.
Le parole sono vita
e sono libertà.
I libri sono vita e
sono libertà e sono i primi ad essere attaccati nei regimi dispotici.
Il film di Brian Percival “Storia di una ladra di libri”,
tratto dall’omonimo romanzo
dell’australiano Markus Zusak,
racconta, fra mestizia, tristezza, drammaticità (mai angoscia), delicata
affettuosità e lieve armonia, la vita
adolescenziale di una dodicenne tedesca, Liesel (la bravissima Sophie Nélisse) - adottata da una coppia sterile (il candido
padre interpretato da Geoffrey Rush e
la burbera madre, che nasconde un cuore gonfio di generosità, rappresentata da Emily Watson) - che sottrae i libri (intellettualità decadente) dalla furia annientatrice delle belve
naziste, lei che veste la camicia bruna, canta inni al Fuhrer , fa il saluto
romano e si innamora di un ragazzo giudeo nascosto nella cantina di casa sua.
La narrazione
compiuta dalla Morte è suggestiva e l’opera merita di andare al festival del
cinema di Locarno, pur riscontrandosi in essa errori marchiani e, direi,
imbarazzanti.
A Liesel viene
insegnata come lingua (prima e unica) l’inglese e siamo in Germania e,
segnatamente, a Stoccarda.
Dopo le scene che
raffigurano la terribile “notte dei cristalli” fra il 9 ed il 10 novembre 1938,
durante la quale furono frantumate le
vetrine dei negozi ebraici, percossi, arrestati e deportati i loro proprietari
insieme alle famiglie, l’immagine si sposta sull’”amichetto del cuore” di
Liesel, il fanciullo corridore provetto e infarcito, come tutti, di dottrina
nazionalsocialista, mentre si allena in uno stadio di atletica imitando, anche
nelle fattezze, il centometrista e saltatore con l’asta Jesse Owens,vincitore
di quattro medaglie d’oro alle olimpiadi di Berlino del 1-16 agosto 1936.
Di due l’una,
entrambe errate: o al ragazzino durante la corsa sovviene il ricordo di un evento svoltosi in un’altra città (siamo a
Stoccarda e le olimpiadi si sono svolte a Berlino), più di due anni prima (la scena presumibilmente è successiva agli accadimenti del novembre 1938, mentre le olimpiadi sono
dell’agosto 1936), in un periodo storico in cui le informazioni, scarsamente
pervasive sotto un aspetto
tecnologico, erano passate al setaccio di un personaggio come
Goebbels (ministro per la propaganda del Reich), specie se l’evento in questione
riguardava un atleta di colore americano la cui vittoria era risultata notoriamente indigesta ad Hitler e ai suo
gerarchi; oppure - ed è ancora più grave
– le olimpiadi vengono posticipate dalla prima metà del mese di agosto del 1936
a dopo la “notte dei cristalli” del 9-10 novembre 1938.
Il rimprovero del
padre al figlio che ha osato osannare durante la propria corsa Jesse Owens è di un
politicamente corretto che rasenta la ridicolaggine: ma secondo gli
sceneggiatori un nazista dava della “persona nera” o del “nero” ad Owens
trascorsi una decina di anni di indottrinamento razzistico totalizzante hitleriano?
Fabrizio Giulimondi
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