Recensire
Giampaolo Pansa non è impresa da
poco. Pansa è una colonna portante
del giornalismo italiano. Indomito, mai asservito ad una parte politica, uomo
libero nel pensiero e nella ricerca storica, non è si mai piegato ai diktat
della storiografia ufficiale dei vincitori e ha rivolto il suo sguardo ai
vinti, al sangue sparso dai “Figli di Salò” e alle barbariche vendette partigiane
ai loro danni e ai danni delle loro madri, fidanzate e sorelle a guerra
conclusa, anche abbondantemente terminata.
Giampaolo Pansa è
sempre stato un “rompiscatole” e questo suo sentirsi tale lo ha voluto
imbrigliare nel titolo della sua ultima fatica letteraria, “Il rompiscatole. L’Italia raccontata da un
ragazzo del ’35”(Rizzoli).
La
sua adolescenza, l’amore per la sua terra e la sua famiglia, le prime avventure
sentimentali e sessuali, la passione per il giornalismo che lo proietterà verso
le più importanti testate italiane. Gli articoli, i libri, i romanzi, i saggi e
la voglia di narrare l’Italia mai raccontata, quella di coloro che avevano
combattuto “dalla parte sbagliata”, del fascismo, della Repubblica sociale
italiana. Pansa ricorda la becera,
violenta e ottusa propaganda della intelligentia
“progressista” contro di lui per aver osato parlare, da uomo di sinistra
quale era ed è, di una pagina della storia che doveva rimanere nascosta, perché poteva
rivelare che i santi non erano così santi e i diavoli non erano cosi diavoli.
“La regola giusta (per un giornalista ndr) è
di non occuparsi di quanto si occupano tutti…E’ la diversità che fa la
differenza….Raccontare le vendette sui fascisti che avevano perso la guerra era
un lavoro che nessun giornalista di sinistra considerava sensato o importante.
Si guardavano bene dall’affrontarlo. A renderli refrattari era la faziosità,
insieme al timore di rompere il tabù dell’antifascismo radicale”.
Lucido,
bello, coraggioso (come sempre, come al solito), emozionante, commovente, vero,
autentico.
Fabrizio Giulimondi
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