Il
cinema italiano in questi mesi sta tirando fuori il meglio di sé.
“Lo chiamavano Jeeg Robot” del
bravissimo regista Gabriele Mainetti
è un film talmente denso, complesso, articolato, surreale e pregno di
suggestioni, da far trovare in difficoltà chiunque voglia scriverne.
Da
Pasolini a Tarantino a Gō Nagai,
da Accattone a Non essere cattivo a Suburra
ai manga della metà degli anni ’70 Jeeg
Robot, passando per la Marvel, la superba, densa, implacabile pellicola di Mainetti tutto centrifuga, tutto trita e
tutto prende, fra realtà cruda e nuda e
mondo del fantastico.
Un
miserabile “banditello” della periferia romana (Claudio Santamaria) che si pasce di yogurt e di porno, in una Roma
bella nella intensità della sua luce e obnubilata da bombe camorriste (che richiamano l’estate
romana del 1993), può scoprirsi a sua insaputa un super eroe. Sì, un super eroe,
ma non di quelli machisti all’”americana”,
ma un super eroe che ha bisogno dello
sguardo incantevole e del dolce sorriso di una ragazza “non più in sé”(Ilenia Pastorelli) per comprendere che
gli altri servono, che una vita senza gli altri è una vita abbruttita e che gli
altri hanno bisogno di lui e solo grazie a lui possono salvarsi.
Lo
scontro finale con il malvagio (il sempiterno “cattivo” Luca Marinelli) appartiene ad una epica normalità e il suo set è lo Stadio Olimpico.
Una
interpretazione magistrale di attori che catturano lo spettatore e lo legano
alla poltrona al ritmo di Anna Oxa, Nada, Loredana Bertè…………eeee……….Jeeg Robot
d’Acciaio.
Emozioni.
Drammaticità. Violenza. Brutalità. L’improvviso affacciarsi di momenti di
comicità. Tenerezza. Presa di coscienza. Sentimento. Amore. Sacrificio. Ora ha
veramente capito chi lui sia.
Corri
super-delinquente! Corri Jeeg! Ora hai capito chi sei. La ggente è lì fuori e ha bisogno di te. Ti sta aspettando.
Imperdibile!
Fabrizio Giulimondi
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