“Florence” è
uno straordinario film di Stephen Frears,
florilegio attoreo di ultraterrene capacità interpretative e mimiche di tre
personalità del mondo cinematografico anglo-americano: Meryl Streep, Hugh Grant e Simon Helberg. Opera biografica che
accentra l’attenzione sull’ultimo anno di vita (1944) della più famosa
cantante-stonata newyorkese Florence Foster Jenkins, “Florence” pare essere la riproduzione su grande schermo delle
bellissime parole di Sartre rinvenibili in “Che cosa è la letteratura?”, che
qui mutuiamo, parafrasiamo ed integriamo. La parola Florence può rimembrare un fiore, ma anche la meravigliosa città
italiana modellata dalla famiglia medicea, ma non da ultimo il nome di una
donna un tempo molto amata dal filosofo esistenzialista, ma può anche far balzare
alla memoria il volto di una cantante i cui vocalizzi, virtuosismi, acuti,
infarciti dalle più urticanti stonature, l’hanno resa grande anche dinanzi al
pubblico della Accademy Hall; la mente corre ad una signora il cui amore per la
melodia le ha consentito di vivere una lunga
e gioiosa vita nonostante l’incipiente sifilide.
E’
un film in cui l’armoniosa sinergia fra amore (di un marito commovente),
musica, canto e nobiltà d’animo conforma la corporeità e la vocalità di un trio
di attori, tra i quali si alterna la grandiosità dell’uno sopravanzata da
quella dell’altro, per essere scansata dal terzo e poi nuovamente raggiunta dal
primo, per continuare ancora e ancora in una girandola di acrobazie espressive
e recitative.
Verso
certa nomination agli Oscar 2017.
Fabrizio Giulimondi
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