Chi ha
letto “Sottomissione” sappia che “Serotonina”
(La nave di Teseo), l’ultima fatica
letteraria di Michel Houellebecq, è
di tutt’altra pasta.
“Dio è uno sceneggiatore mediocre … e più in
generale Dio è un mediocre, nella sua creazione non c’è niente che non abbia il
segno dell’approssimazione e dell’insuccesso, quando non quello della
cattiveria pura e semplice.”.
Tristezza,
morire di tristezza. Solitudine. Un tocco algido, quasi mortifero, che si inala
in tutta la narrazione. Una narrazione chiazzata da insistenti immagini
pornografiche, che ripercorrono tutto lo scibile delle perversioni sessuali,
dalla zoofilia alla pedofilia, percependo il lettore per tutto il tempo il fetore
del marchese De Sade. Non v’è empatia. Non v’è. I personaggi sono scrutati dal
di fuori; il di dentro si è perduto, è nascosto da qualche parte, è oggetto di inavvertite
ricerche.
Si
intravede una perenne, percettibilissima barriera fra il soggetto narrante e la
restante umanità, una umanità che non è null’altro che un clangore
insonorizzato di sottofondo che infastidisce la sempre meno latente sociopatia
del protagonista, incapace, assolutamente inabile ad autentiche relazioni
umane.
“Serotonina” è un
cupo inno alla disgregazione umana, un disfacimento morale e psicologico che
non può non travolgere quello fisico e organico: il colesterolo come segno tangibile
premonitore della catastrofe imminente.
Il
lirismo della inutilità dei rapporti sentimentali fra persone. Non sguardi. Non
parole. Non fisicità amorosa. Non più una Morte a Venezia ma la Morte di un individuo
che si nega nella sua corporeità per divenire ectoplasmatico, alieno da se stesso,
osceno deposito di cibo e alcol, oramai monadico ventriloquo.
Houellebecq è un
Moravia transalpino, nelle cui opere la “fica”
è baricentro e unità di misura di ogni condizione umana. Anche Thomas Mann,
Marcel Proust e quel “trombone” di Goethe sarebbero crollati miseramente dinnanzi
alla lolita di Nabokov.
L’attore
protagonista della storia non possiede l’animo nobile di Conan Doyle, ma quello
putrescente dell’ultimo tragico, orgiastico e coprofilo Pasolini, privato,
però, del puzzo di borgata ed impregnato del raffinato sentore dei quartieri
bene parigini.
Una
vita in eterno crepuscolo, vissuta in modo catacombale, decadente e maledetta
nel solco tracciato da Baudelaire e Verlaine. È la depressione assurta ad arte. “Serotonina” è
un racconto percorso lungo un vicolo apparentemente cieco, apparentemente
immerso in un buio denso, inossidabile, ove non filtra alcuna goccia di luce.
Apparentemente. Solo apparentemente.
In un inaspettato
momento, nello schiudersi del vicolo, ecco che si assiste ad un baluginio, ad
un lampo di luce, ad un raggio di sole che sembra avere contorni umani,
consistenza d’uomo, di un Uomo morto in croce, forse inspiegabilmente, per
questa umanità così mancante di se stessa.
Fabrizio Giulimondi
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