sabato 19 gennaio 2019

“SEROTONINA" di MICHEL HOUELLEBECQ (LA NAVE DI TESEO)



Chi ha letto “Sottomissione” sappia che “Serotonina” (La nave di Teseo), l’ultima fatica letteraria di Michel Houellebecq, è di tutt’altra pasta.
Dio è uno sceneggiatore mediocre … e più in generale Dio è un mediocre, nella sua creazione non c’è niente che non abbia il segno dell’approssimazione e dell’insuccesso, quando non quello della cattiveria pura e semplice.”.
Tristezza, morire di tristezza. Solitudine. Un tocco algido, quasi mortifero, che si inala in tutta la narrazione. Una narrazione chiazzata da insistenti immagini pornografiche, che ripercorrono tutto lo scibile delle perversioni sessuali, dalla zoofilia alla pedofilia, percependo il lettore per tutto il tempo il fetore del marchese De Sade. Non v’è empatia. Non v’è. I personaggi sono scrutati dal di fuori; il di dentro si è perduto, è nascosto da qualche parte, è oggetto di inavvertite ricerche.
Si intravede una perenne, percettibilissima barriera fra il soggetto narrante e la restante umanità, una umanità che non è null’altro che un clangore insonorizzato di sottofondo che infastidisce la sempre meno latente sociopatia del protagonista, incapace, assolutamente inabile ad autentiche relazioni umane.
“Serotonina” è un cupo inno alla disgregazione umana, un disfacimento morale e psicologico che non può non travolgere quello fisico e organico: il colesterolo come segno tangibile premonitore della catastrofe imminente.
Il lirismo della inutilità dei rapporti sentimentali fra persone. Non sguardi. Non parole. Non fisicità amorosa. Non più una Morte a Venezia ma la Morte di un individuo che si nega nella sua corporeità per divenire ectoplasmatico, alieno da se stesso, osceno deposito di cibo e alcol, oramai monadico ventriloquo.
Houellebecq è un Moravia transalpino, nelle cui opere la “fica” è baricentro e unità di misura di ogni condizione umana. Anche Thomas Mann, Marcel Proust e quel “trombone” di Goethe sarebbero crollati miseramente dinnanzi alla lolita di Nabokov.
L’attore protagonista della storia non possiede l’animo nobile di Conan Doyle, ma quello putrescente dell’ultimo tragico, orgiastico e coprofilo Pasolini, privato, però, del puzzo di borgata ed impregnato del raffinato sentore dei quartieri bene parigini.
Una vita in eterno crepuscolo, vissuta in modo catacombale, decadente e maledetta nel solco tracciato da Baudelaire e Verlaine. È la depressione assurta ad arte. “Serotonina” è un racconto percorso lungo un vicolo apparentemente cieco, apparentemente immerso in un buio denso, inossidabile, ove non filtra alcuna goccia di luce. Apparentemente. Solo apparentemente.
In un inaspettato momento, nello schiudersi del vicolo, ecco che si assiste ad un baluginio, ad un lampo di luce, ad un raggio di sole che sembra avere contorni umani, consistenza d’uomo, di un Uomo morto in croce, forse inspiegabilmente, per questa umanità così mancante di se stessa.
Fabrizio Giulimondi

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