sabato 23 febbraio 2019

ALESSIA GIULIMONDI: "LETTERA A NONNO"


Mi manca l’idea che tu sia ancora qui su questa terra. Mi manca sapere che sei qui, a una fermata metro da casa, a meno di un chilometro a piedi. Mi manca chiederti di stringermi i pantaloni e aggiungere fori alla cintura. Mi manca il fischio dell’apparecchio acustico nell’abbracciarti e quando ti schiarisci la voce e si sente dall’altra stanza. Mi manca sapere che stai silenzioso a capotavola e non dici niente non perché non capisci, ma perché non senti bene. Mi manca vederti salutare in fondo alle scale quando te ne vai e come sorridi quando vedi le nipoti tutte insieme. Mi mancano già i viaggi e saperti a Chiauci d’estate, dove saresti rimasto anche tutto l’inverno.
Hai lasciato buchi sulle mie magliette e un vestito ancora da finire. Hai lasciato a casa discorsi importanti e poi l’ospedale ti ha mangiato le parole.
Non sono sicura di ricordare l’ultima frase che mi hai rivolto, ma gli occhi sì: mi ricordo l’ultimo sguardo. E ricordo questo sorriso di cui tutti parlano, quello che ora è rimasto dentro le fotografie. Il vuoto si è annidato negli angoli e fra le pareti, eppure mi appare solo temporaneo, come se dovessi rientrare da un momento all’altro, come se, quando dormo nel letto con nonna, tu sia solo andato a dormire da Pasquale. E se studio in cucina, nella mia mente tu stai solo guardando la TV con le cuffie. È facile pensare che se non ci sei è solo perché non ti sento, solo perché hai sempre fatto poco rumore nel camminare, solo perché devi ancora arrivare per il pranzo. È automatico credere che se non sei venuto ad aprirmi la porta all’ingresso è perché sei andato in bagno o stai apparecchiando la tavola in soggiorno. Non riesco a non convincermi che tu sia solo in un’altra stanza, una che non possiamo vedere, un’estensione della casa, una protesi del cuore. Non posso pensare che tu non stia ancora mangiando con noi, che non ci prepari più il caffè, che non passeggi la sera di Natale. Aspetto sempre un attimo prima di chiudere la porta quando nonna sale a casa, come se tu fossi ancora giù e, più lento, stessi salendo le scale dietro a lei. E anche in quei momenti penso che tu sia solo rimasto a casa ad ascoltare la musica. Non avevo mai riflettuto su quanto certe abitudini siano dure a mandar via, su quanto la tua assenza assomigli a un breve intoppo passeggero, dove tu non ci sei ma solo per il momento. Questo mi fa credere che forse davvero la morte non è niente, è solo un altro punto di vista, una differente prospettiva. Sei solo passato in quell’altra stanza, ma, in effetti, sei rimasto sempre qui, in silenzio come facevi prima, a camminare con noi senza troppe parole.
E se fa male quando non ci sei è per tutto il bene che hai fatto quando c’eri; se ci rimangono i buchi in mano è perché sei sempre stato lì a ricucirli tutti quando noi non riuscivamo a farlo; se restano sul tavolo i vestiti incompleti è perché portiamo tutti gli altri addosso: i segni di una vita che si è cucita a mano la propria eredità, i segni che indicano che sei rimasto qui anche se te ne sei andato. Sei rimasto nelle giacche e nei ditali, negli spilli sulle maniche e l’ago e il filo. Sei rimasto dove sei sempre stato e noi adesso sappiamo dove aggrapparci quando il tuo odore sembra sfumare via dalle cose.
Questi oggetti e questo amore sono la tua eternità, perché se fa male quando non ci sei è per tutto il bene che hai fatto quando c’eri.
Alessia Giulimondi


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