Dopo l’immane
successo di “Patria”, vincitore del Premio Strega europeo edizione 2018, Fernando Aramburu si conferma un grande
interprete della narrativa iberica con l’ultima sua fatica letteraria “Anni lenti” (Guanda).
Anni ’60,
dove tutto è lento sotto la dittatura franchista e lo scontro fra Spagna e
indipendentismo basco si fa terrorismo e si fa ETA.
I temi
di “Patria” si ritrovano in questo romanzo in modo più assopito, meno
virulento. La “questione” umana è sviluppata con uno stile morbido, color pastello,
lasciando l’Autore nelle retrovie le lotte politiche e le azioni e reazioni di
guerriglia, accennandole soffusamente come un barlume di luce profusa da una vecchia
abat-jour di prima della guerra civile.
L’artifizio
artistico rotea intorno al dialogo fra la voce narrante e lo stesso Aramburu è aiutato a costruire una nuova
storia che ha come baricentro il candore rurale di un ragazzino introiettato
in una dimensione dell’anima che ne cambierà alla lunga lo spirito, ma non per
molto. Lo Scrittore è molto attento a che le passioni, i rancori e gli odi
politici e le divisioni partitiche non prendano il sopravvento sui personaggi,
i cui mutamenti non sono mai così marcati, mai così dirompenti, rimanendo
ognuno di loro sempre se stesso, introspettivamente inalterato dalle prime
battute al crepuscolo della storia.
La
delicatezza è la cifra narrativa di “Anni
lenti” che racconta una Umanità che non si fa “metarmofosizzare” da alcuna
vicenda della vita: la sgradevolezza non è mai tale e, alla fine dei conti,
nulla inficerà l’intima bontà dell’uomo. Al rancore e alla turpitudine non è
permesso di penetrare troppo nelle donne e negli uomini che fuoriescono dalle
pagine, e anche i profili delle personalità più vistosamente negativi in realtà
sono guardati con occhi bonari e sornioni: Maripuy si avvicina a quei contorni
di suocera delineati da Goldoni e, prima, da Plauto e Terenzio; la “leggerezza”
di sua figlia Mari Nieves è vista con comprensione e suo padre - marito di
Maripuy - , zio Vincente, nel suo succube silenzio, che tutto appare accettare
e di tutto disinteressarsi, mostra una inaspettata nobiltà d’animo; il piccolo
narratore possiede i lineamenti di un eroe, un eroe di tutti i giorni, come i
grossolani, rozzi e maleodoranti Chacho e Julen, nascosti possessori di un
coraggio salvifico. Nessuno è cattivo, nessuno malvagio, tutti tratteggiati con
un lieve tocco chiaro-scuro di matita.
Con
Zafon Aramburu condivide,
contrastandola, la Spagna di Franco prediligendo, però, appoggiare sullo sfondo
torture e tirannide, volendo, invece, incidere sulla carta in modo tridimensionale
l’interiorità di esseri autenticamente umani, dai cui volti traspare una luce
che gli eventi non potranno in alcun modo oscurare.
Fabrizio Giulimondi
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