giovedì 28 febbraio 2019

"GREEN BOOK" di PETER FARRELLY: PREMIO OSCAR 2019 COME MIGLIOR FILM


Green Book” di Peter Farrelly, vincitore immeritato e “inspiegabile” del "Premio Oscar 2019 come Miglior Film", segue una narrazione scontata e esangue su temi triti e ritriti trattati da altri Autori con ben altro spessore artistico, valenza contenutistica e linguaggio interpretativo ed emozionale, come “7 anni schiavo”, “Amistad” e “The Butler. Un maggiordomo alla Casa Bianca”.
I “Quasi amici” sono l’uno all’opposto dell’altro (ovviamente): l’uno (Don Shirley, musicista realmente esistito e interpretato da Mahershala Ali)  siede su una poltrona dorata, fisica e metaforica, raffinato, colto, virtuoso pianista classico, nero e omosessuale  negli States degli  anni ’60; l’altro (Tony Lip, anch’egli vissuto veramente, il cui ruolo è ricoperto da Viggo Mortensen), italiano, inevitabilmente con la pancia, mangia-spaghetti, parlata siciliana alla “Il Padrino”  (sembra di sentir parlare Al Pacino), avvezzo alla corruzione e a menar le mani, rozzo.
L’impressione che si ha è che, mentre è esplicita (e giusta) la condanna all’atteggiamento razzistico nei confronti di Don Shirley, sembra che Tony Lip incarni, invece,  l’ autentica concezione che molti americani (incluso  Peter Farrelly) abbiano (tutt’ora) degli italiani, visto che nella prodiga produzione cinematografica statunitense l’idioma dei personaggi nostrani è cadenzato sempre dalla calata dialettale siciliana, ognuno di loro caratterizzato per la pochezza caratteriale e per la facilità al crimine, alla violenza e alla corruttela.
Il finale è noiosamente scontato, nonostante mi aspettassi uno scatto di orgoglio e di brio da parte del Regista. I due, nel giro di poche settimane, assorbiranno le parti migliori della personalità dell’altro: l’italiano passerà dallo gettare nel pattume i bicchieri dove hanno bevuto due persone nere a ritenerle (e meno male!) par sue (nel giro di poche settimane!), oltre ad imparere a scrivere appassionate lettere di amore alla moglie (la brava Linda Cardellini); Don Shirley, dal canto suo, scenderà dal piedistallo, mangerà anche lui pollo fritto e suonerà la musica” della sua gente”.
Green Book” è il regno dello stereotipo e del banale, di un becero pregiudizio mal raccontato, del linguaggio “politicamente corretto”, ridicolmente “politicamente corretto”, che tiranneggia se stesso a tal punto da riuscire a non rispettare nemmeno il gergo autentico degli anni del bieco odio razziale del “Profondo Sud” (secondo Voi usavano la locuzione “persone di colore” o “nigger”?): forse anche il grigiore assume un vigore estetico.
Ps: “Green Book” era l’osceno libello che riportava i locali, i ristoranti, gli alberghi e tutti i luoghi di divertimento, museali e di cultura che potevano essere frequentati dalla Black people
Fabrizio Giulimondi


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