Finalmente
il cinema italiano narra la propria antichità non lasciandola in mano soltanto
ai registi americani.
Un
vaticinio di impero, un presagio di potenza, una profezia di gloria, una
leggenda che principia una Città che si imporrà alla Storia e ne comanderà le
sorti.
“Il primo Re” di Matteo Rovere, con due grandi interpreti, Alessio Lapice (Romolo) e Alessandro
Borghi (Remo), proietta lo spettatore verso il proprio passato, lo fa
tornare alle proprie radici, fondamenta di un lontano futuro. Rovere ha il grande merito di innalzare
il Mito ad estetica cineastica.
Immagini
di ampio respiro, fotografia eccelsa, scenografia nobile di una Terra che
intorno ad un fiume, il Tevere, si trasformerà da luogo sperduto nelle asperità
della boscaglia laziale nell’Urbe.
Nei combattimenti
corpo a corpo, violenti e brutali, si intravede l’auspicio di una potenza che
diverrà edilizia, architettura, urbanistica, arte millenaria, Legge.
Un
amore fra fratelli immenso, degno di ogni sacrificio, che dovrà accettare di andare
oltre gli umani confini al pari di quella civiltà che il volere degli Dei ha
affidato loro di costruire: uno doveva essere ammazzato dall’altro affinché
dalla terra imbevuta dal sangue fratricida nascesse Roma.
I
titoli di coda sono solo l’inizio e il pubblico vede scorrere dinanzi ai suoi
occhi la grandezza di un impero che da un piccolo lembo di terra si espanderà
per abbracciare tutta l’Europa, l’Africa settentrionale e l’Asia Minore.
Il
latino arcaico (con i sottotitoli) fuso nelle inquadrature, somiglianti a
blocchi pittorici per tinte e sospensione del tempo e dello spazio, produce un possente
ed empatico effetto artistico: certo apparente immobilismo è attesa di azione, di
battaglia, di guerra, sino ad una ineluttabile vittoria voluta dalle vestali,
indicata dal Destino.
753 A.C.
Con Roma si avvia la storia e Romolo, primo Re, pone il gladio a baluardo di entrambe.
Fabrizio Giulimondi
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