"1917" di Sam Mendes rasenta il capolavoro. Tramite lunghi piani sequenza, riprese
quadrangolari, profondità di campo, cupi sonori e angoscianti e nascoste colonne
sonore che si materializzano nell'azione in cui è coinvolto il pubblico per la
presenza dell'effetto tridimensionale, il registra, nipote di uno dei due
protagonisti del film, forgia un'opera la cui tragicità blocca alla sedia la
platea che, posizionata accanto all'angolo prospettico della macchina da presa,
guarda i personaggi dal basso verso l'alto. Lo spettatore danza fra vedute di
ampio respiro d'Oltralpe, fotografie e immagini mozzafiato, pozze di morte,
cadaveri, ratti e putrefazione, proiezioni di trincee catacombali e claustrofobiche,
ove l'orrore è di casa in una guerra che ha visto più morti del Secondo
Conflitto Mondiale.
Mendes non cede mai alla
retorica e non indulge nell'eroismo dei caporali di Sua Maestà Britannica Blake
e Schofield, perché il loro eroismo è naturale e quasi ovvio in quanto dettato
dalla necessità di salvare la vita a 1600 commilitoni. Blake e Schofield sono
figure epiche che emergono dalla coralità di corpi disfatti e volti sfranti ma
mai disperati. L'eroicità delle loro gesta è sciolta nella quotidianità simile
ai tanti "militi ignoti" tritati nella scellerata macchina mossa
dalla Vecchia Ossuta e dall'Oscuro Signore che la guida.
Il
racconto, nella sua assoluta e implacabile drammaticità, veridicità e crudezza,
rimane asciutto senza esagerare mai, privo di sbavature narrative e di
esasperazione nei toni, sempre calibrato sul rispetto di ogni singolo soldato e
dell'esercito inglese, dal cui angolo esso si dipana.
Fabrizio
Giulimondi
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