domenica 9 febbraio 2020

"IL DIRITTO DI OPPORSI" di DESTIN DANIEL CRETTON


Alla corposa produzione cinematografica sulla questione razziale negli Stati Uniti, in merito al sistema giudiziario americano che porta alla condanna molti neri solo per il colore della pelle e relativa alla pena di morte e alla “vecchia scintillante” che uccide crudelmente colpevoli e innocenti (1 su 9), in questi giorni si è aggiunto un ulteriore tassello cineastico: “Il diritto di opporsi” (che riprende il titolo “Il diritto di contare” di Theodore Melfi) di Destin Daniel Cretton.
La storia lascia sgomenti anche perché è ambientata nell’Alabama (storicamente razzista) fra il 1987 e il 1992, quindi in tempi relativamente recenti.
La trama è vera e narra di un giovane black uscito da Harvard, Bryan Stevenson - con una inevitabile brillante carriera dinanzi - che, invece, impegna il proprio tempo – con tutti i rischi del caso – ad aiutare legalmente i disperati gettati nel braccio della morte anche solo per ragioni lombrosiane.
La battaglia dell’avvocato Stevenson (l’abilissimo Michael B. Jordan) nelle aule di (in)giustizia a stelle e strisce per dimostrare la palese innocenza di Walter McMillian, interpretato dal grande Jamie Foxx (ve lo ricordate protagonista in “Django Unchained” di Quentin Tarantino?), fa alzare abbondantemente le transaminasi allo spettatore.
L’approccio filmico del regista ricorda “Amistad” di Steven Spielberg quando i coprotagonisti siedono dinanzi alla Corte Suprema dell’Alabama e “Dead Man Walking” di Tim Robbins nello sviluppo scenico del tragitto dalla cella al luogo della esecuzione, senza tralasciare “Selma – la strada per la liberta” di Ava DuVernay e “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh.
Pellicola didattica e didascalica, “Il diritto di opporsi entra nella sanguinolenta carne viva della (persistente) tragedia della discriminazione negli States senza sbavature né eccessi: il garbo va a braccetto con la “banalità del Male”.
Fabrizio Giulimondi


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