La
narrazione, la sceneggiatura e le tecniche per punteggiare il trascorrere del
tempo (gli scontri politici, la Caduta del Muro, Mani Pulite, l’avvento di
Berlusconi, le Torri Gemelle, scandiscono lo spazio temporale di svolgimento
dell’azione scenica) rientrano in un canovaccio oramai ampiamente sperimentato nei
film su amici che, perdendosi e ritrovandosi, vivono intensamente la propria e
la vita dell’altro, in una perenne intersezione di storie che divengono un unico quadro corale finale.
“Gli anni più belli” di un grande Gabriele Muccino è tutto questo, ma
rinvigorito da un pathos ben
avvertito dal pubblico che ne rimane avvinto e soggiogato. Dal 1982 ai giorni nostri
brani da Baglioni ai Simple Minds accompagnano un quartetto sinfonico attoriale
straordinario (Pierfrancesco Favino,
Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria), in un lungo,
emozionante, commovente e convincente racconto che parla di una amicizia
immersa nella bellezza di Roma e nella quotidiana drammaticità che la vita riserva
ad ognuno di noi, una drammaticità mai soverchiante, perché alla fine la foto del
capodanno vedrà sempre quegli stessi quattro ragazzi di quella lontana notte di
San Silvestro di quarant’ anni prima, tre ragazzi e una ragazza diversi e
eguali come allora.
Fabrizio Giulimondi
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