giovedì 4 dicembre 2025

“IL LEONE CHE È AGNELLO: ALLA RICERCA DELLA VERITÀ CHE SALVA” (LUMEN CORDIUM) di GIOVANNI D'ERCOLE



In a time of universal deceit, telling the truth is a revolutionary act”. Questa frase erroneamente attribuita a George Orwell si addice a pennello alla nuova fatica letteraria del Vescovo Giovanni D’Ercole, “Il leone che è agnello: alla ricerca della verità che salva” (Lumen cordium).

Quid est Veritas? È la domanda che pone Pilato a Gesù.

Pilato è un governatore spietato, dalla crocifissione facile e dai metodi brutali, ma davanti al silenzio d quell’uomo massacrato si sente turbato, spaesato, spiazzato. Pilato percepisce l’innocenza del Cristo ma è terrorizzato dalla folla urlante.

Quid est Veritas?

Pilato è ognuno di noi, assomma in sé l’Umanità molto meglio di Giuda.

Don Giovanni D’Ercole scrive pagine memorabili su Pilato ed il silenzio del Messia. Il lettore sarà spinto a leggerle più volte per assaporarne il significato più segreto e intimo.

Pilato. Il silenzio di Cristo. Quid est Veritas? La mia verità è uguale alla tua? Esiste una sola verità o più verità? O nessuna verità? L’unica verità è nella assenza di verità?

Siamo nell’epoca in cui l’uomo è colpevole, è colpevole di esistere perché egli è la causa primaria dei danni al pianeta e degli orrori di cui la storia è testimone. La natura trasformata in ideologia ambientalista, ecologista e animalista. La scienza idolatrata come neo religione giacobina il cui autentico DNA è lo scientismo. Fare figli danneggia l’ambiente e toglie libertà all’uomo prometeico. L’uomo, dio di se stesso, si autodetermina nella propria essenza antropologica sostituendo alla realtà la percezione di essa.

Nella “Grande Narrazione” immaginata da Klaus Schwab, fondatore del World Economia Forum di Davos, si potrebbe trovare la chiave di lettura di molti accadimenti contemporanei.

Il cristianesimo è posto ai margini della vita politica e sociale probabilmente per colpa degli stessi cristiani, perennemente preoccupati di offendere la sensibilità altrui, specie quella islamica. Sui rapporti fra cristianesimo e islam mons. D’Ercole ci regala passaggi di grande intensità, passaggi irradiati dalla esperienza pastorale personale da lui vissuta in Marocco.

Si anela in Occidente ad una libertà senza argini, dall’aborto alla eutanasia, alla legalizzazione e liberalizzazione di droghe di ogni genere, alle unioni omosessuali e poliamorose, al divorzio sempre più celere, alla maternità surrogata, alla autodeterminazione sessuale di se stessi. Possiamo constatare un Occidente più felice e più pacifico?

Quid est Veritas?

Il terrore di morire nel periodo pandemico ha fatto dimenticare in un sol colpo a molti popoli questa sfrenata pulsione di libertà, facendogli accettare misure di particolare disumanità, a partire dall’abbandono degli anziani nelle RSA, crollati nella depressione e disperazione e fatti morire da soli: la libertà non serviva più, contava solo la salute.

Quid est Veritas? Est vir qui adest!

Una lettura agevole accompagnata da simbologie e allegorie, meditazioni di antichi e attuali grandi pensatori, da Aristotele a Pasolini.

Il cristianesimo messo ai margini perché di ostacolo alla libertà senza orizzonti: siamo più sereni ora?

Ecce homo … Io non trovo in lui colpa alcuna”. E poi Pilato lo ha mandato alla morte in croce.

Il saggio di Giovanni d’Ercole è una riflessione su interrogativi che ci poniamo anche quando sembra che non lo facciamo: “Siamo tutti riuniti sotto la domanda, divisi nelle nostre risposte” (E.E. Schmitt).

Consiglio vivamente la lettura di “Il leone che è agnello”, rara occasione di uscire per qualche ora dalla opprimente cappa in cui siamo immersi.

Fabrizio Giulimondi

domenica 30 novembre 2025

“IL REATO DI PENSARE. OLTRE IL CONFORMISMO, ESERCIZI DI LIBERTÀ” di PAOLO CREPET (MONDADORI)



Occorre sapersi conquistare le cose belle, altrimenti diventiamo collezionisti di mediocrità o, peggio, scartiamo le difficoltà per codardia. Ogni bellezza, senza eccezione alcuna, trasuda fatica.”

Il reato di pensare. Oltre il conformismo, esercizi di libertà” di Paolo Crepet (Mondadori) è una sinfonia della creatività divisa in trentacinque partiture; un arpeggio armonico di idee e riflessioni; una profonda boccata di ossigeno per disinquinare cervelli all’ammasso, menti intossicate dal conformismo, dal Politically Correct e dal Wokimso, intelletti offuscati da una densa cappa orwelliana imposta dal Pensiero Unico.

Il reato di pensare” è un mosaico di parole e immagini, è letteratura espressionista con al centro la riconquista dell’intelligenza, della ricerca di risposte e dell’analisi delle verità sull’obnubilamento e l’imbarbarimento delle coscienze. Saggio scorrevole e di grande interesse, “Il reato di pensare” si apre a qualunque mente, basta che abbia il vivo desiderio di percepire la complessità delle dinamiche del mondo.

Paolo Crepet indica la riscoperta della fatica come metodo di salvazione, rifuggendo la scorciatoia della “comodità” causa della perdita della capacità di pensare da parte di molti, forse troppi: “Anche il pensare porta con sé una forma di dolore, perché è faticoso per antonomasia”.

Pensare, tornare a pensare, tornare alla durezza del pensiero, autentica chiave di lettura del libro e chiave di volta delle nostre esistenze: ”Come ha detto Jorge Luis Borges, ‘non c’è piacere più complesso del pensiero’“.

Riappropriamoci dell’essere discutibili e avversiamo l’indiscutibilità: “Se c’è una cosa che apprezzo in una persona è che sia discutibile, nel senso che faccia discutere per le idee che propone … Che vi siano così pochi uomini e donne discutibili per molti è un sollievo, per me è il segno di un declino culturale”.

La nuova ideologia globalizzante e totalizzante vuole rimuovere dall’essere umano, sin dalla sua infanzia, la possibilità dell’inciampo, tenendolo ogni individuo lontano da ogni rischio di “disallineamento”, qualificando razzista, omofoba o sessista qualsiasi idea non rientrante nel modello costruito dal Grande Fratello. Il nuovo e unico comandamento è una reductio ad unitatem dell’azione cerebrale in modo che nessuno incorra in una presunta sofferenza, così che tutti possano vivere in una grigia mediocrità di massa. La nuova “felicità” è raggiungibile con il semplice inserimento di parole scorrette nel novello “Indice” post-moderno: l’abrogazione delle parole conduce automaticamente e fatalmente l’abolizione dei pensieri pericolosi.

Forse questo è l’obiettivo finale: depotenziare le immagini, le parole, il pensiero”.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 24 novembre 2025

"LA VEDOVA" di JOHN GRISHAM (MONDADORI)

 


John Grisham ha tirato fuori dalla sua fantasmagorica mente artistica un altro impedibile giallo letterario, “La vedova” (Mondadori), che si ascrive indubitabilmente nella grande tradizione della letteratura statunitense.

Il selciato della narrazione è costituito dalla procedura penale a stelle e strisce e certamente i giuristi ne saranno affascinati.

Di grande interesse i costanti richiami ai precedenti giurisprudenziali ma il lettore sarà colpito per come l’Autore affronti con schiettezza la drammaticità degli errori giudiziari e l’illegittimità di non poche detenzioni penitenziarie.

Sanità, aule giudiziarie e galera sono il tessuto connettivo delle vicende che sconvolgono l’esistenza di Simon, un mediocre avvocato civilista, dedito soprattutto al diritto testamentario e fallimentare, padre di tre figli che adora, con un matrimonio collassato alle spalle e una certa qual attrazione per il gioco d’azzardo.

Grisham adopera uno stile morbido, scorrevole e chiaro, capace di spiegare didascalicamente tutti i passaggi che portano uno sventurato alla condanna all’ergastolo o alla pena di morte.

La magistratura giudicante - terza ed equidistante dalla Accusa e dalla Difesa, entrambi avvocati – dall’Autore è vista con maggiore benevolenza rispetto alla figura del procuratore, innamorato delle proprie tesi colpevoliste, anche quando le prove portano a ben altri verdetti.

Biscotti allo zenzero e tallio, una vecchietta tanto adorabile, hacker, un sociopatico in penombra e i meccanismi, talora oscuri e putridi, del mondo forense nella sonnolenta provincia degli States.

Che spreco. Di tempo, di danaro, di emozioni, di vita. Quanta sofferenza inutile. Ci sarebbe stato tanto da dire, però mancava l’energia per farlo”.

Fabrizio Giulimondi

martedì 18 novembre 2025

"IL MAESTRO" di ANDREA DI STEFANO

 


Il maestro” di Andrea Di Stefano è un film forzatamente drammatico che parte certamente da uno spunto interessante, per essere però strutturato e sviluppato in modo scarsamente appagante per un pubblico esigente, specie se un attore del livello di Pierfrancesco Favino - che ricopre le vesti della figura cardine della storia, Raul Gatti - non riesce a dare un valore aggiunto alla pellicola.

Raul Gatti è una vecchia gloria del tennis caduto in disgrazia dopo l’abuso di droghe, alcol e donne.

Felice Milella è un tredicenne (Tiziano Menichelli) a cui il padre Pietro (Giovanni Ludeno) ha fatto credere di essere un potenziale campione del tennis, imponendo alla moglie e all’altra figlia sacrifici immotivati.

Raul diviene il maestro di Felice, due mondi inconciliabili per età, origini familiari e modo di concepire la vita.

Il racconto rotea intorno all’idea che il fallimento faccia parte della vita e vada accettato, comprendendo i propri limiti e l’inutilità del perseguimento di sogni che non hanno alcun aggancio con la realtà.

Ribadisco: l’idea è senza dubbio buona ma il Regista avrebbe dovuto costruirla in maniera diversa, anche perché lo stesso Favino ne esce svilito nella propria indubbia bravura.

Fabrizio Giulimondi



"LA BUGIA DELL'ORCHIDEA" di DONATO CARRISI (LONGANESI)

 


Quella donna aveva un segreto. E il suo segreto è il movente della strage … Non esistono persone senza segreti … Quei segreti finiranno in una tomba insieme a chi li custodisce”.

L’ultimo romanzo thriller del grande Donato CarrisiLa bugia dell’orchidea” (Longanesi) è geniale, semplicemente geniale.

Nazareth. Casolare rosso. Campagna. Fuga dalla città e terre da coltivare. Una famiglia composta da padre, madre e tre figli di 11 anni, 7 anni e 14 mesi.

Lui sgozza gli altri quattro. Non ci sono dubbi, è stato lui, anche perché è zuppo di sangue non suo e confessa.

Questo è quello che dice la cronaca giudiziaria.

Una lettera anonima e una foto che rivela molto, come nel lavoro “Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson.

Un profumo dolciastro, fruttato. Lettino e seggiolone. Affresco del buio come i cacciatori del buio. Solletico della creatività.

Sovrapposizione fra realtà e immaginazione, fra fantasia e accaduto realmente, fra Oltretomba e mondo: è più reale l’irreale o è più irreale il reale?

X. Che cosa è questa X?

Paretur ad periculum.

Le dimensioni del polpastrello facevano pensare a una mano piccola”.

Una scrittura diretta, implacabile, ritmata da vicende sempre più avvincenti e misteriche.

Ciò che esiste non sempre è visibile: esiste più l’invisibile del visibile. L’essere umano è un antro nel quale convivono il celestiale ed il luciferino.

Uno stratagemma artistico superlativo.

Salvati.

2005.2015.2025. Dieci anni. Dieci anni. La Famiglia C., Alfredo F, la scrittrice dai multiformi nomi e Bratska Vŭlk: “La malvagità è un batterio che prolifera nella muffa dell’odio e nel rancore stagnante e la cui contagiosità passa attraverso il racconto di certe storie”.

Gli scrittori vedono cose che gli altri non riescono a vedere”.

Fabrizio Giulimondi

sabato 15 novembre 2025

“L’OROLOGIAIO DI BREST” di MAURIZIO DE GIOVANNI (FELTRINELLI)

 


Tredici maggio 1984, ore 11. La vita di Vera cambierà del tutto. La vita di Andrea è già cambiata del tutto ma lo scoprirà solo dopo molti anni.

Lei è la figlia dell’assassinato. Lui il figlio dell’assassino.

L’ultima fatica letteraria di Maurizio de GiovanniL’orologiaio di Brest” (Feltrinelli) impedisce al lettore di interrompere la lettura anche solo per un attimo, perché la trama è come il sofisticato ingranaggio di un orologio pregiato.

Nulla, ma proprio nulla è come appare.

I coup de théâtre si avvinghiano l’uno all’altro in continuazione.

Il 1° febbraio 1985 si avvia la Dottrina Mitterrand.

I personaggi non lo sanno ma le loro esistenze sono legate inscindibilmente l’una all’altra.

Vera e Andrea e Flavia e Maddalena e Bea ed un importantissimo ecclesiastico a capo di una misteriosa Entità immaginifica come quelle di Dan Brown e Carlo-ragazzo dai lunghi capelli e Marcello e Bruno e Marco e Contini.

Nulla, ma proprio nulla è come appare.

La carica narrativa, al pari dell’incedere stilistico e del ritmo emotivo, non abbandonano mai il romanzo.

Siete sicuri di essere quello che dite di essere?

Fabrizio Giulimondi

"ANNA" di e con MONICA GUERRITORE



Film intenso, struggente, malinconico, commovente, a tinte variegate, “Anna”, di e con Monica Guerritore, ripercorre a macchie di leopardo la vita della immensa Anna Magnani, magnificamente interpretata da Monica Guerritore.

Più che la narrazione esistenziale della Magnani, la pellicola racconta le emozioni, i sentimenti, il volto, le “rughe”, gli sguardi della grande attrice romana. Il suo Popolo era quello di Roma: lo stagnaro, il netturbino, il vetturino, il pizzardone, la prostituta, il bottegaio, il fruttivendolo. Sono costoro che le teneva compagnia la notte, lei nottambula incallita. Erano coloro che la vedevano girovagare per le strade vuote, silenziose e incantevoli della Roma degli anni ’40, ’50 e ’60, loro che stavano sotto la finestra di Nannarella mentre moriva.

Palma d’oro a Cannes nel 1946 con “Roma città aperta” di Roberto Rossellini, per il quale provò per tutta la vita una inestinguibile fiamma di amore, un amore tragico e intramontabile.

Premio Oscar nel 1956 per “La rosa tatuata” di Tennessee Williams, che non le portò fortuna.

Una figura drammatica, sofferente, con un figlio poliomielitico lasciato spesso solo in una clinica di lusso.

Anna, sempre insoddisfatta e in contrasto con se stessa, i produttori e i registi.

Romana sanguigna e verace, la Magnani ha incarnato la vera Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini.

Fellini, De Sica, Totò, Carlo Ponti, Moravia, Montanelli, la rinuncia a “La ciociara”, il più fervido mondo culturale e cinematografico italiano.

Poi, il teatro con Zeffirelli e la sua Medea, che incarnava scenicamente il profondo e incessante dolore interiore della Magnani e, con Medea, la morte.

Una parte di Anna Magnani ve la porterete a casa.

Fabrizio Giulimondi