John
Grisham ha tirato fuori dalla sua fantasmagorica mente artistica un
altro impedibile giallo letterario, “La
vedova” (Mondadori), che si
ascrive indubitabilmente nella grande tradizione della letteratura statunitense.
Il selciato della narrazione è
costituito dalla procedura penale a stelle e strisce e certamente i giuristi ne
saranno affascinati.
Di grande interesse i costanti
richiami ai precedenti giurisprudenziali ma il lettore sarà colpito per come l’Autore
affronti con schiettezza la drammaticità degli errori giudiziari e l’illegittimità
di non poche detenzioni penitenziarie.
Sanità, aule giudiziarie e
galera sono il tessuto connettivo delle vicende che sconvolgono l’esistenza di
Simon, un mediocre avvocato civilista, dedito soprattutto al diritto
testamentario e fallimentare, padre di tre figli che adora, con un matrimonio collassato
alle spalle e una certa qual attrazione per il gioco d’azzardo.
Grisham
adopera uno stile morbido, scorrevole e chiaro, capace di spiegare didascalicamente
tutti i passaggi che portano uno sventurato alla condanna all’ergastolo o alla
pena di morte.
La magistratura giudicante - terza
ed equidistante dalla Accusa e dalla Difesa, entrambi avvocati – dall’Autore è
vista con maggiore benevolenza rispetto alla figura del procuratore, innamorato
delle proprie tesi colpevoliste, anche quando le prove portano a ben altri verdetti.
Biscotti allo zenzero e
tallio, una vecchietta tanto adorabile, hacker,
un sociopatico in penombra e i meccanismi, talora oscuri e putridi, del mondo
forense nella sonnolenta provincia degli States.
“Che spreco. Di tempo, di danaro, di emozioni, di vita. Quanta
sofferenza inutile. Ci sarebbe stato tanto da dire, però mancava l’energia per
farlo”.
Fabrizio
Giulimondi
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