“Il maestro” di Andrea Di Stefano è un film forzatamente drammatico che parte certamente
da uno spunto interessante, per essere però strutturato e sviluppato in modo scarsamente
appagante per un pubblico esigente, specie se un attore del livello di Pierfrancesco Favino - che ricopre le
vesti della figura cardine della storia, Raul Gatti - non riesce a dare un
valore aggiunto alla pellicola.
Raul
Gatti è una vecchia gloria del tennis caduto in disgrazia dopo l’abuso di
droghe, alcol e donne.
Felice
Milella è un tredicenne (Tiziano Menichelli)
a cui il padre Pietro (Giovanni Ludeno)
ha fatto credere di essere un potenziale campione del tennis, imponendo alla
moglie e all’altra figlia sacrifici immotivati.
Raul
diviene il maestro di Felice, due mondi inconciliabili per età, origini
familiari e modo di concepire la vita.
Il
racconto rotea intorno all’idea che il fallimento faccia parte della vita e vada
accettato, comprendendo i propri limiti e l’inutilità del perseguimento di
sogni che non hanno alcun aggancio con la realtà.
Ribadisco:
l’idea è senza dubbio buona ma il Regista avrebbe dovuto costruirla in maniera
diversa, anche perché lo stesso Favino
ne esce svilito nella propria indubbia bravura.
Fabrizio Giulimondi
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