venerdì 15 febbraio 2013

"DJANGO UNCHAINED" DI QUENTIN TARANTINO


Django unchained”, un altro grande film di Quentin Tarantino, il mostro sacro del genere splatter di azione. Il regista americano riprende un cult del cinema western Django, la cui  prima e bella  trasposizione cinematografica fu realizzata in Italia da Sergio Corbucci nel 1966, lungo il  filone delle pellicole sui cow boy in salsa nostrana, di cui Sergio Leone fu l’indiscusso Maestro.
Le musiche dei film di Sergio Leone e d Sergio Corbucci sono presenti per tutta la durata della proiezione, prorompendo al suo termine  il brano che ha fatto da colonna sonora a “Lo chiamavano Trinità” e “Continuavano a chiamarlo Trinità”. Le stesse splendide scenografie texane e del Colorado rimandano la memoria ai  c.d. spaghetti western, anche se il tocco del regista Tarantino si fa notare negli  spruzzi di sangue, nel  materiale organico e celebrale che ad ogni colpo di revolver schizza  virulentemente fuori e, ancor di più, nelle  scene particolarmente “forti”.
L’ambientazione storica si aggira intorno al 1858, a tre anni dall’inizio della guerra civile americana (sulla quale mi sono soffermato durante il commento al film “Lincoln” di Steven Spielberg), mentre quella geografica vede coinvolti i panorami montuosi e desertici degli Stati schiavisti del Sud.
Django (interpretato da oscar da Jamie Foxx ), schiavo dalla pelle scura che, al pari dei “fratelli” che vivono la sua stessa condizione, conduce una esistenza zuppa di orrore, ferocia e brutalità, viene  furbescamente  liberato da un cacciatore di taglie, il dott. King Schultz, killer professionale veloce di pistola e di favella, che sin dall’inizio scatena nello spettatore una notevole simpatia. Django imparerà facilmente il “mestiere”, sotto la cui “copertura” provvederà a vendicarsi  degli schiavisti che avevano inflitto a lui e alla bella moglie qualsiasi tipo di crudeltà. Ogni volta che sarà usata la colt spappolando cuore, cervello, arti e “parti intime” delle belve sfruttatori di neri, non potrete che provarne un certo sollievo, se non addirittura piacere.
Lo splatter in queste occasioni appare  in tutta la sua “estetica”: in realtà il sangue che fuoriesce  a profusione dai corpi attinti dalle pallottole di Django e del dott. Schultz (mirabile Christoph Waltz!) è talmente esagerato e sfacciato da risultare ilare!
La moglie di Django, Broomhilda,  è ritrovata  asservita in maniera animalesca ad un feroce schiavista. Il volto angelico di Leonardo Dicaprio si trasforma nella faccia di una belva, che gode nel vedere due mandingo lottare in salotto in modo gladiatorio fino ad una  morte sanguinolenta, sino allo strappo degli occhi, non ultimo il maciullamento del cranio dell’uno a colpi del martello dell’altro. Il volto angelico di Leonardo Dicaprio si trasforma nella faccia di una belva, che gode nel far evirare i "negri" o tenerli, come imposto a Broomhilda, per giorni all’interno di  una gabbia costruita completamente con materiale ferroso sempre esposta al sole. Il luogo tirannicamente dominato dallo schiavista- Dicaprio, ove è narrata parte della storia e la coppia di cercatori di criminali  a pagamento danno il meglio di se,  è folle e infernale insieme. Si alternano – come se nulla fosse – violenza estrema e momenti di serena convivialità: singoli individui ridotti nella più miserrima schiavitù  sono destinatari prima della più brutale cattiveria e poi proiettati in scenari di natura  ludica,  festa o cena che sia. Truculenza e giocosità: la banalità del Male.
Gli ambienti da incubo e di vita di bianchi e servi si tingono  improvvisamente  della luce sinistra del  volto dello schiavo di casa più anziano -  mimeticamente interpretato da uno straordinario Samuel L. Jackson -  nel quale promiscuamente convivono ottusità, servilismo e malvagità. Jackson  riuscirà a farVi odiare il nigger -  stravagante alter ego di colore del padre - padrone (Dicaprio) -  assetato di metodi di tortura e di terrificanti metodologie di morte, ribelle e lamentoso, però,  quando  la moglie di Django viene tolta troppo presto per i suoi umori dalla gabbia di sofferenza, calore e ustione. Lo schiavo - patron, privo di qualsiasi pietà come il suo dominus,  è simile  ai kapò dei campi di concentramento e di sterminio nazisti,  spietati al pari dei carcerieri “ariani”.
Non si può non sottolineare la presa in giro alla Mel Brooks  di un gruppo di appartenenti ai cavalieri del Ku Klux Klan, che sono fermati nel loro sanguinario raid punitivo dalla assenza di una buona visuale causata da cappucci mal cuciti  dalla consorte di uno di loro: il tutto accompagnato a ritmo di rap.
Molto ma molto consigliato a tutti coloro che non hanno lo stomaco debole e amano quello che i cineasti ben acculturati da adesso in poi potrebbero definire il pulp-western.
Fabrizio Giulimondi

3 commenti:

  1. Detesto Tarantino.
    Penso che sia la persona più in malafede del cinema mondiale.
    Penso inoltre che, tutto il genere Splatter sia moralmente deviante e pericoloso nei confronti di una gioventù cui già, troppo, abbiamo minato la propensione alla Grandezza e all' Aristocrazia del Pensiero.

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  2. Evidentemente Rocco Cesareo ( a cui - mi risulta - è piaciuto molto il film del grande Tarantino) ed io siamo avversi alla Grandezza e all'Aristocrazia del Pensiero!

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  3. Non penso che Tu e Rocco amiate lo " Splatter" tout court, cui era rivolta la considerazione sulla corruzione delle menti. So per certo che amate l'Aristocrazia del Pensiero, altra ragione per cui non mi spiego come possiate amare l'opera di un essere volgare come Tarantino. Ma le debolezze dei grandi, quando sono di questa entità, ce li rendono più vicini . :-)

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