DIRITTO ALL’OBLIO E DAMNATIO MEMORIAE: RECENTI INTERVENTI
GIURISPRUDENZIALI ITALIANI, DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLA COMMISSIONE EUROPEA.
Con la sentenza n. 5525/2012 del 5 aprile 2012 la Corte di Cassazione sez III civile
aggiunge un importante tassello al riconoscimento del diritto all'oblio, smentendo il Tribunale di Milano, sez IV, sentenza
del 24 febbraio 2010.
La decisione del Tribunale meneghino, per quanto non abbia
riconosciuto alle parti lese il diritto alla rimozione dei file e dei relativi allegati, nella parte motiva espone
argomentazioni di particolare interesse proprio riguardo il tema trattato: “Non esiste a parere di chi scrive, perlomeno fino ad
oggi, un obbligo di legge codificato che imponga agli ISP (Internet Services Provider, fornitore di servizi internet), un
controllo preventivo della innumerevole serie di dati che passano ogni secondo
nelle maglie dei gestori o proprietari dei siti web, e non appare possibile
ricavarlo aliunde superando d’un
balzo il divieto di analogia in malam
partem, cardine interpretativo della nostra cultura procedimentale
penale……tuttavia questo procedimento penale costituisce, a parere di chi
scrive, un importante segnale di avvicinamento ad una zona di pericolo per quel
che concerne la responsabilità penale dei webmasters:
non vi è dubbio che la travolgente velocità del progresso tecnico in materia consentirà (prima o poi) di
“controllare” in modo sempre più stringente ed attento il caricamento dei dati
da parte del sito web, e l’esistenza
di filtri preventivi sempre più raffinati obbligherà ad una maggiore
responsabilità chi si troverà ad operare in presenza degli stessi; in questo
caso la costruzione della responsabilità penale (colposa o dolosa che sia) per
omesso controllo avrà un gioco più facile di quanto non sia stato nel momento
attuale.”
Posizione opposta lo stesso Ufficio giudiziario l’ha
assunta con la decisione del 24 marzo 2011 (parzialmente riformata dalla pronunzia della
Corte di Appello di Milano del 21 dicembre 2012, depositata il 27 febbraio 2013, interamente riportata a piè di pagina) con la quale ha disposto la cancellazione del
sito e/o delle pagine web diffamatorie per il soggetto querelante, ordinando la
loro rimozione a Google, responsabile di aver consentito un collegamento
automatico fra il nominativo del
querelante (che ne ha avuto un permanente nocumento alla reputazione di non
poco momento) e fatti giudiziari a lui correlati oramai vetusti, in quanto superati dal lungo tempo trascorso, oltre
dall’esito processuale a lui favorevole.
Conferente un passaggio della motivazione:” ….A tale
proposito non si può condividere la tesi di google secondo la quale la
suggestione iniziale sarebbe comunque subito eliminata dalla lettura dei
contenuti inoffensivi del materiale
raccolto all’interno della ricerca stessa. Infatti tali contenuti non
sono immediatamente visualizzabili dall’utente, che deve digitare le parole del
suggerimento per “entrare” nel relativo
contenuto e leggerlo. Per essere indotto a ciò, all’evidenza, egli deve essere
mosso da un qualche interesse specifico – in assenza del quale gli resta solo l’originaria ed immediata impressione
negativa ingenerata dall’abbinamento di parole…..La ritenuta valenza
diffamatoria dell’associazione di parole che riguarda il reclamato è
innegabilmente foriera di danni al suo onore, alla sua persona ed alla sua
professionalità. Negare- come fa Google – che una condotta diffamatoria non
generi nella persona offesa un danno quantomeno nella sua persona significa
negare la realtà dei fatti ed i riscontri della comune esperienza. La
potenzialità lesiva della condotta addebitata (ndr a Google) - suscettibile, per la sua peculiare natura e
per le modalità con cui viene realizzata, di ingravescenza con il passare del
tempo stante la notoria frequenza e diffusione dell’impiego del motore di
ricerca Google – giustifica il legittimo accoglimento …….” .
Passiamo alla
sentenza della Cassazione 5525/ 2012 che ha iniziato a configurare in seno alla complessa intelaiatura dei
diritti – vecchi e novelli – quello dell’individuo all’oblio, ossia ad essere “dimenticato” nelle proprie vicende
personali, incluse quelle giudiziarie, dalla opinione pubblica e dai numerosi-
e sempre più invasivi, specie con l’avvento della telematica - strumenti massmediatici.
Il caso esaminato dai giudici della Suprema Corte è un
classico: un esponente politico di un piccolo comune lombardo viene arrestato per
corruzione nel lontano 1993 - notizia
andata subitaneamente e pomposamente su tutte le cronache provinciali - per poi essere – come capita purtroppo troppo
spesso! - prosciolto. Ebbene, il protagonista della vicenda portata alla
attenzione della Cassazione lamenta che, ancora dopo molti anni, attraverso una normale
ricerca in rete, la notizia del suo arresto appare online senza alcun riferimento al successivo epilogo positivo della
vicenda processuale.
Nello specifico il ricorrente lamenta la violazione degli
artt. 2, 7, 11, 99, 102, 150, 152 del d.lgs. 196/2003, oltre degli artt. 3, 5,
7 del Codice di deontologia e buona condotta per i trattamenti di dati
personali per scopi storici.
In particolare, secondo la Corte l'interessato, alla
luce di quanto previsto dall'art. 11 del Codice per la protezione dei dati
personali, ha diritto a che l’informazione oggetto di trattamento risponda ai
criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza allo scopo, esattezza e
coerenza con la sua attuale ed effettiva identità personale o morale (c.d.
principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza). E’, pertanto, a lui attribuito il diritto di conoscere in ogni
momento il possessore dei suoi dati personali e come li adopera, nonché di
opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della
raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la
trasformazione, il blocco, oppure la rettificazione, l’aggiornamento e/o
l’integrazione (art. 7, d.lgs 163/2006).
Sempre secondo la
Corte "se l’interesse pubblico sotteso al diritto
all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale
alla riservatezza, al soggetto cui i dati appartengono è correlativamente
attribuito il diritto all’oblio e
cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il
trascorrere del tempo risultano ormai dimenticate o ignote alla generalità dei
consociati". Solo se un fatto di cronaca assume rilevanza quale fatto
storico, ciò può giustificare la permanenza del dato, ma mediante la conservazione
in archivi diversi (es.: archivio storico) rispetto a quello in cui esso è stato originariamente
collocato.
Al fine, quindi, di tutelare l'identità sociale del soggetto cui afferisce
la notizia di cronaca, bisogna garantire al medesimo l’aggiornamento della
stessa notizia e, cioè, il collegamento
ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l’evoluzione della
vicenda, che possano completare o addirittura sovvertire il quadro sorto a seguito della notizia
originaria.
Naturalmente, secondo la Corte , questi principi vanno applicati anche
avuto riferimento ad Internet ed alle sue specifiche peculiarità. Come è noto
le notizie presenti in rete non sono organizzate come in un archivio, ma sono
presenti in maniera diffusa e caotica. Il motore di ricerca si pone come un
mero intermediario telematico, che offre un sistema automatico di reperimento
di dati e informazioni attraverso “parole chiave”.
Proprio in considerazioni delle caratteristiche del mondo
virtuale in cui si sostanzia internet
non si pone, in questo caso, un problema di pubblicazione o di ripubblicazione
dell’informazione, quanto di permanenza della medesima nella memoria della rete
e, a monte, nell’archivio del titolare del sito “sorgente”: i dati immessi nel sistema internauta attraverso
il giornale online debbono comunque
risultare esatti ed aggiornati (dal sito “sorgente”), in relazione alla
finalità del loro trattamento.
Nel caso di specie, è obbligatorio per il giornale online che ha inserito la notizia della
traduzione in vinculis del soggetto,
di informare i propri lettori (che potenzialmente sono tutti gli abitanti del
globo), che quest’ultimo è stato poi assolto dalle imputazioni a lui ascritte.
Questo compito di aggiornamento spetta al titolare del
sito e non al motore di ricerca.
Da un punto di vista tecnico, sostiene la Corte , è necessaria una
misura che consenta l’effettiva fruizione della notizia aggiornata, non essendo
sufficiente la mera generica possibilità di rinvenire all’interno del «mare di
internet» ulteriori notizie concernenti il caso di specie: è cogente la predisposizione di un sistema idoneo a
segnalare la sussistenza di un ulteriore
sviluppo della notizia rispetto a quella “madre”, specie se favorevole al
protagonista di essa.
In caso di disaccordo tra le parti, spetta allora al
giudice del merito individuare ed indicare le modalità da adottarsi in concreto
per il conseguimento delle indicate finalità da parte del titolare
dell’archivio.
Ancora: le notizie presenti negli archivi storici online dei giornali sono da ritenersi –
spesso - parziali perché non riportano
gli ulteriori sviluppi dei fatti, e pertanto vanno aggiornate. La Corte impone così l’obbligo
per gli editori di aggiornare gli archivi online
delle notizie pubblicate: “le testate online dovranno
dotare i loro archivi di un sistema idoneo a segnalare (nel corpo o nel margine) la sussistenza di
un seguito o di uno sviluppo della notizia e quale esso sia stato…..
consentendone il rapido e agevole accesso da parte degli utenti ai fini del
relativo e adeguato approfondimento”.
Nel
tentativo di bilanciare
l’interesse collettivo, garantito dal diritto di cronaca, con l’interesse
individuale, tutelato dal diritto alla riservatezza e dal diritto all’oblio,
la Corte ha
quindi stabilito che gli articoli archiviati debbano essere correlati dai
relativi aggiornamenti. La decisione tutela non solo il diritto all’identità
personale e morale della persona coinvolta nei fatti, ma anche il diritto del
cittadino utente a ricevere una corretta e completa informazione. La sentenza
della Cassazione attribuisce, dunque, un nuovo valore al
diritto all’oblio, sussumendolo all’interno dei confini dei principi stessi
del diritto di cronaca.
Nessuna
attribuzione di responsabilità è invece stata riconosciuta dalla Corte di
Cassazione ai motori di ricerca, ancora una volta definiti come “meri
intermediari”.
Giungiamo
al più recente intervento giurisprudenziale in
subiecta materia.
Il giudice monocratico del Tribunale di Chieti,
sez.dist. di Ortona, del 20 gennaio 2011, ha condannato un
quotidiano online abruzzese alla
cancellazione dell’articolo diffamatorio
oggetto della causa.
Finalmente
prevale il diritto della “Persona”, della sua reputazione, della sua immagine e
del suo onore, sul diritto di cronaca
giornalistica, sì tutelato dalla Costituzione all’art.21, ma non prevalente
(così come comincia a stagliarsi nelle pieghe della giurisprudenza di merito e
di legittimità), sui diritti del quisque
de populo e delle variegate espressioni
della sua personalità, così come previsto e tutelato dall’art. 2 della Carta
Costituzionale, dalle numerosissime diposizioni dei Trattati internazionali (a
partire dall’art. 8 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo - oltre da una copiosissima giurisprudenza
nazionale – di merito, di legittimità e costituzionale - e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Si delinea
in maniera più nitido il diritto all’oblio sulla damnatio memoriae di romanistica memoria,
diritto all’oblio di cui si discute non solo nelle aule giudiziarie italiane ma
anche nelle Istituzioni comunitarie,
come di qui a poco si illustrerà.
Pubblichiamo
ampi stralci della ben articolata parte motivazionale del provvedimento giudiziario
abruzzese: “…Mentre da una parte non si può che condividere quanto dalla
resistente (il giornale online)
affermato in merito ai presupposti legittimanti l’esercizio di diritto di
cronaca riferito all’attività giornalistica, verità storica e continenza
formale della notizia, interesse pubblico alla sua divulgazione, presupposti in presenza dei
quali “recedono” i diritti, anch’essi, come il diritto di cronaca,
costituzionalmente garantiti, alla riservatezza, onore, reputazione, immagine
della persona cui i fatti divulgati si riferiscono; dall’altra parte non si
possono ignorare le norme dettate dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196
– codice in materia di protezione dei dati personali - volto a garantire che il trattamento di essi
si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e delle dignità
dell’interessato, con particolare riferimento al diritto alla riservatezza; norme, che ai sensi dell’art.
136 dello stesso decreto, si applicano anche al trattamento dei dati personali
per scopi giornalistici. Tra le disposizioni del decreto in oggetto vengono in
rilievo, ai fini del presente giudizio, l’art. 11, a mente del quale il
trattamento dei dati personali può avvenire per un periodo di tempo non
superiore a quello necessario agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti
e trattati; l’art. 25, che vieta la comunicazione e la diffusione dei dati quando sia decorso il periodo di tempo
indicato nel precitato art.11; l’art. 7, che attribuisce all’interessato il
diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il
blocco dei dati trattai in violazione di legge, compresi quelli di cui non è
necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono
stati raccolti o successivamente trattati; l’art. 15, in forza del quale
chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è
tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 c.c. (che sancisce la
responsabilità per i danni provocati nello svolgimento di una attività
pericolosa, per sua natura, o per i mezzi adoperati); il secondo comma del
citato art. 15 stabilisce che il danno non patrimoniale è risarcibile anche in
violazione dell’art.11 quello, si rammenta, che vieta il trattamento dei dati
personali per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per
i quali i dati sono stati raccolti e trattati. Ora se si tiene conto che il
contestato articolo è stato pubblicato, e lo è tuttora, nella prima pagina del
quotidiano in oggetto, del fatto che lo stesso ha ampia diffusione locale, è
facilmente accessibile e consultabile, molto più dei quotidiani cartacei,
trattandosi di testata giornalistica online,
appare evidente come dal………………sia trascorso sufficiente tempo perché le notizie
con lo stesso divulgate potessero soddisfare gli interessi pubblici sottesi al
diritto di cronaca giornalistica, informare la collettività, creare opinioni,
stimolare dibattiti, suggerire rimedi………il già citato art.7 attribuisce
all’interessato il diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in
forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi
quelli di cui non è necessario la conservazione in relazione agli scopi per i
quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati: per conseguenza
l’articolo va cancellato. Volendo tenere conto della considerazione della
difesa della resistente secondo cui i giornali online non possono ricevere un trattamento diverso da quello dei
giornali cartacei che non vengono distrutti e cancellati, ma conservati negli
archivi delle testate giornalistiche o nelle biblioteche a costruire memoria storica
della collettività, uno scopo anch’esso di rilievo sociale, si può consentire
la conservazione di una copia cartacea dell’articolo della testata…...”.
Ora
facciamo un salto in Europa, per affacciarci sugli interventi giurisprudenziali, oltre che normativo-integrativi della strumentazione legislativa comunitaria, sul
tema che ci siamo proposti di affrontare.
La Corte Euopea dei Diritti dell'Uomo, sezione IV, sentenza 16 luglio 2013, n. 33846/07 (Wegrzynowski e Smolczewski contro Polonia), ha sancito che il ruolo dei tribunali nazionali non è quello di riscrivere la storia ordinando la cancellazione di ogni traccia della pubblicazione di un articolo giudicato diffamatorio. L'interesse all'accesso agli archivi della stampa in rete da parte del pubblico è coperto dall'art. 10 della C.ED.U.. Le violazioni dei diritti protetti dall'art. 8 C.E.D.U. (in particolare quello alla reputazione) potrebbero essere risarcite da un commento all'articolo presente nell'archivio telematico, che informi il pubblico del fatto che il processo per diffamazione relativo al contenuto dell'articolo in questione intentato dal ricorrente si è concluso a lui favorevolmente.
La Corte di Strasburgo mostra una palese avversione nei confronti di qualunque provvedimento censorio di un articolo, persino nell'ipotesi in cui il "pezzo" fosse stato riconosciuto illecito con sentenza definitiva. La soluzione individuata dalla Corte si sostanzia, dunque, in una alternativa alla "ablazione" della pubblicazione dall'archivio on line, ossia nella imposizione all'editore di inserire una postilla al testo - a richiesta dell'interssato - che ne aggiorni il contenuto favorevole a quest'ultimo.
Un simile percorso che bilancia salomonicamente il diritto alla reputazione del soggetto leso e il diritto alla informazione da parte dei giornali on line, informazione valutata squisitamente sotto un aspetto storicistico e cronologico, sembra adottabile anche dalle pronunzie del Garante della privacy e dei giudici penali e civili italiani.
Avviciniamoci adesso all'espetto più propriamente nromativo.
La questione è particolarmente rilevante in quanto da anni è attesa la riforma alla corrente legislazione della Unione Europea sulla privacy, che risale al 1995 (“Direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati”), che sia in grado di conciliare libertà di espressione e diritto alla privacy.
La Corte Euopea dei Diritti dell'Uomo, sezione IV, sentenza 16 luglio 2013, n. 33846/07 (Wegrzynowski e Smolczewski contro Polonia), ha sancito che il ruolo dei tribunali nazionali non è quello di riscrivere la storia ordinando la cancellazione di ogni traccia della pubblicazione di un articolo giudicato diffamatorio. L'interesse all'accesso agli archivi della stampa in rete da parte del pubblico è coperto dall'art. 10 della C.ED.U.. Le violazioni dei diritti protetti dall'art. 8 C.E.D.U. (in particolare quello alla reputazione) potrebbero essere risarcite da un commento all'articolo presente nell'archivio telematico, che informi il pubblico del fatto che il processo per diffamazione relativo al contenuto dell'articolo in questione intentato dal ricorrente si è concluso a lui favorevolmente.
La Corte di Strasburgo mostra una palese avversione nei confronti di qualunque provvedimento censorio di un articolo, persino nell'ipotesi in cui il "pezzo" fosse stato riconosciuto illecito con sentenza definitiva. La soluzione individuata dalla Corte si sostanzia, dunque, in una alternativa alla "ablazione" della pubblicazione dall'archivio on line, ossia nella imposizione all'editore di inserire una postilla al testo - a richiesta dell'interssato - che ne aggiorni il contenuto favorevole a quest'ultimo.
Un simile percorso che bilancia salomonicamente il diritto alla reputazione del soggetto leso e il diritto alla informazione da parte dei giornali on line, informazione valutata squisitamente sotto un aspetto storicistico e cronologico, sembra adottabile anche dalle pronunzie del Garante della privacy e dei giudici penali e civili italiani.
Avviciniamoci adesso all'espetto più propriamente nromativo.
La questione è particolarmente rilevante in quanto da anni è attesa la riforma alla corrente legislazione della Unione Europea sulla privacy, che risale al 1995 (“Direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati”), che sia in grado di conciliare libertà di espressione e diritto alla privacy.
Le
linee guida in via generale che si riscontrano nella bozza di riforma sono:
- il diritto all'oblio,
cioè il diritto di cancellare i propri dati (in caso non esistano ragioni
legittime per conservarli);
- multe in caso
di divulgazione o di perdita dei dati.
Più
specificamente, due sono le proposte di legge attualmente in preparazione.
La
prima stabilisce un nuovo quadro normativo per la protezione dei dati
personali. Il relatore per il Parlamento Europeo è il deputato tedesco dei
Verdi Jan Philipp Albrecht,
che ha indicato i tre pilastri della
novella: "Il diritto all'oblio, la necessità di autorizzare l'utilizzo o
il trasferimento dei dati personali, e le sanzioni in caso di violazione dei
diritti alla confidenzialità. Si tratta di tre elementi fondamentali per la
protezione dei dati dei cittadini europei: non importante che essi siano
violati all'interno o all'esterno dell'UE".
La
seconda si concentra sul trattamento dei
dati personali da parte delle autorità giudiziarie per evitare ogni possibile
abuso da parte della polizia o delle autorità di pubblica sicurezza. Il
relatore del Parlamento europeo per
questo dossier è il deputato
socialista greco Dimitrios Droutsas:
"L'Europa necessita urgentemente di una riforma della legge sulla protezione dei dati. Un bisogno dettato principalmente dai grandi progressi tecnologici, dall'evoluzione delle norme sociali e da una società sempre più presente online.La Commissione europea,
il Parlamento europeo e il Consiglio dell'UE, devono lavorare con serietà per
garantire ai cittadini degli standard di sicurezza alti entro la fine della
legislazione nel 2014".
"L'Europa necessita urgentemente di una riforma della legge sulla protezione dei dati. Un bisogno dettato principalmente dai grandi progressi tecnologici, dall'evoluzione delle norme sociali e da una società sempre più presente online.
In un discorso tenuto nel novembre del 2012 a Bruxelles durante la
conferenza “The European Data Protection and Privacy”, Viviane Reding, Commissario
europeo della giustizia, ha dichiarato: “Come ha già detto qualcuno ‘Dio perdona e dimentica ma il
web mai!’. Questo è il motivo per il quale ‘il diritto ad essere dimenticati’ è
così importante per me. Con una quantità sempre maggiore di dati che vagano per
la rete- specialmente sui social network
– le persone dovrebbero avere diritto di poter rimuovere completamente i loro
dati.”.
E’ opportuno precisare che le informazioni non sono tutti uguali, necessitando una distinzione
fra notizie inserite volontariamente e notizie veicolate da circuiti giornalistici (o tramite
blog, con il consequenziale problema
della natura editoriale o meno di essi).
L’opera di studio e vaglio della
Commissione europea indirizzata a possibili
integrazioni e modifiche alla citata direttiva 95/46/CE in tema di diritto
all’oblio, diritto alla effettiva tutela
della riservatezza personale nella sua interezza, diritto all’identità personale e, sull’altro
versante, diritto di cronaca e critica
giornalistica, trova come suo sostanzioso
ostacolo l’individuazione di formule tecnologiche-telematiche adeguate a
renderli compatibili fra di loro.
Questione principe a cui l’”Europa” deve
fornire soluzione attiene la necessità
di contestualizzare le informazioni sparpagliate e immerse nel mare magnum di internet. Non è più
rinviabile l’associazione del nominativo della persona a dati a questi
correlati correttamente inseriti “nel tempo”, ossia riportati fedelmente in
relazione alle coordinate cronologiche, di
tal che si possa consentire la giusta attribuzione del loro peso quando galleggiano
per
troppi anni su web.
Il problema della rimozione
delle informazioni dalla Rete è un problema che non si risolve, pertanto,
solamente in forza del diritto, ma anche
- e soprattutto - per mezzo della tecnologia. Il prof. Mayer-Schönberger Viktor
nel suo studio del 2009 “Delete. Il diritto all’oblio nell’era digitale”
(ed.Egea) propone di assegnare una scadenza alle informazioni: “Bisogna,
invece, pensare a nuovi modelli normativi e negoziali e a nuove tecnologie che
prevedano di limitare nel tempo il trattamento dei dati e tecnologie che lo
consentano.”.
Mi
piace terminare con le parole di Peter
Hustinx, European Data Protection Supervisor: "Le nostre informazioni
personali sono preziose. Custoditele al sicuro e quando diffondete
un'informazione, siate coscienti dei vostri diritti! ".
Prof. Fabrizio Giulimondi
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