“Ogni angelo è tremendo”
(Bompiani), ventesima fatica letteraria di Susanna
Tamaro, dovrebbe essere letto, meditato e approfondito dal maggior numero possibile
di donne e uomini.
Romanzo autobiografico della compassione, del disadattamento sociale,
del disturbo mentale, dell’abbandono, della scomparsa di persone e animali a cui è
affettivamente legata l’Autrice che, come fugacemente compaiono, altrettanto
improvvisamente scompaiono; è il racconto del perdono e della misericordia,
della solitudine e del silenzio, di una cupa pazzia nascosta dietro una
apparente e tragica normalità; è la
storia della ricerca dell’Amore, quello
con la A maiuscola,
che si trova solo attraverso la
misericordia e il perdono; è il saggio della sofferenza e della rinascita,
delle tante e continue rinascite, che
giungono sempre dopo ogni inevitabile dolore; è la narrazione di una famiglia completamente disaffettiva,
con una madre incapace di sentimenti e di intelletto, che meriterebbe l’odio
della figlia da cui invece riceverà
tenerezza e comprensione (“avrei dovuto
odiarla per come mi aveva trattata,
invece ho scelto il cammino più lungo e impervio del perdono. Che me ne sarei
fatta dell’odio, una volta che lei fosse morta?Come una scheggia gelata sarebbe
rimasto per sempre conficcato nel mio cuore”) e un padre assente,
completamente assente e girovago, assente, girovago e deresponsabilizzato (“del nulla a cui, fin dalla più tenera età,
ero stata ammaestrata da mio padre – un nulla deserto, brullo, sterile in cui l’unica
forma di movimento era quello di qualche rotolo di spine o di qualche barattolo
trascinato dal vento”), che non potrebbe non essere motivo di disprezzo se
non intervenisse nell’epilogo la dolce pietas
della Scrittrice, che rende la morte del genitore un momento di commovente
riconciliazione.
Al posto del padre sopravvengono altri uomini e altri mariti con cui la
madre si accompagna per la sua accidiosa esistenza, fra cui ve ne è uno
gravemente disturbato di mente, malvagio
come nella migliore tradizione
favolistica italiana ed europea, se non si trattasse di vita vissuta, di sangue e carne, di anime
demolite, menti lesionate e cuori umiliati (“nello sviluppo di una persona, il sadismo e il non amore possono creare
delle profonde destrutturazioni alle quali è difficile porre rimedio”), che
si risollevano, però, impercettibilmente, lentamente, lievemente ma
inesorabilmente, fuoriuscendo dal tetro guscio ove erano stati cacciati e rinchiusi,
per riveder
le stelle.
La nonna della Tamaro si metterà di traverso e impedirà alla patologia
psichica della nipote di svilupparsi, di crescere e di avvilupparla definitivamente:
la nonna la avvicinerà alla lettura e il sapore, il colore e il significato
delle parole la trascineranno verso la Vita. La nonna è protagonista di Va dove ti porta il cuore (Biblioteca
Universale Rizzoli), trasformato sul grande schermo in un melenso prodotto
cinematografico, ma che in realtà è un opera che realizza una lucida analisi
della misteriosa articolazione dei sentimenti e degli anfratti dove essi vengono
fatti rifugiare.
Sullo sfondo vi sono Trieste, i
panorami carsici che la circondano, le foibe inzuppate del sangue degli
italiani ferocemente trucidati dalle belve comuniste di Tito, l’ululato
assordante della bora, “ il gelo degli
Urali, il gelo dei Kurgan…il gelo della Transilvania, dei vampiri addormentati
nelle segrete dei castelli, dei morti viventi ..” degli incubi
adolescenziali della Scrittrice: "Perché vivo con un nemico dentro,
con la nebbia, con la notte, con lo smarrimento. Perché vedo il dolore e non
posso farci niente. Perché vedo l’incompiutezza, il vuoto, il fallimento, e non ne capisco il senso. Perché sono sola,
nessuno mi ascolta, nessuno mi prende per mano. Perché da qualche parte in
me intuisco un’armonia e una luce
immense e, da questa luce e da questa armonia, mi sto allontanando come una
nave che prende il largo”.
La famiglia, il senso della famiglia, l’appartenenza ad una famiglia,
rappresentano l’urlo di Munch della
Tamaro: ”E’ vero che i bambini si
adattano a tutto e che trovano modo di sopravvivere in qualsiasi situazione ma,
in fondo al proprio animo, desiderano una sola cosa: avere una mamma e un papà,
preferibilmente che si vogliono bene; e, preferibilmente anche dei fratelli. La
vita desidera la vita……I figli hanno un bisogno assoluto di ammirare i
genitori, di esserne orgogliosi”
E possente, è extra ordinem la conclusione di “Ogni angelo è tremendo”, è vera, è autentica, è fuori dalla
forviante estetica della felicità di plastica: ”Viviamo in tempi di semplificazione massificate, di conseguenza
l’inquietudine è il più reietto dei sentimenti. Puoi essere infelice, certo,
anzi, lo devi essere, perché tutti gli oggetti che ti suggeriscono di comprare
non sono altro che succedanei della felicità, ma l’inquietudine non ti è
concessa perché è uno stato che produce domande e le domande richiedono
risposte e, per avere risposte, bisogna mettersi in viaggio come Abramo e, alla
fine del viaggio, magari puoi scoprire che non sono le cose a darti pace, ma la
profondità dei sentimenti che sgorgano dal tuo cuore”.
Grazie Susanna!
Fabrizio Giulimondi
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