domenica 2 febbraio 2014

FABRIZIO GIULIMONDI: " NORMATIVA DI CONTRASTO ALLA CORRUZIONE E SULLA TRASPARENZA: INNOVAZIONE EFFICACE PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE?"


(introduzione) Corruzione male antico[1] e senza confini geografici[2].
La legge 6 novembre 2012, n. 190[3], contenente “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”, che si propone di arginare i fenomeni di mala gestio nella Pubblica Amministrazione, è frutto della collaborazione internazionale sorta, in prima battuta,  entro l’O.C.S.E. (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Nel rapporto all’Italia divulgato nel gennaio 2012, redatto per verificare lo stato di attuazione della Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali del 17 dicembre 1997, l’O.C.S.E.  è stato chiaro nell’indicare le modifiche necessarie nell’ordinamento italiano.
Roma è stata compulsata in tal senso anche dall’O.N.U. e dalla Unione Europea, oltre che dal Consiglio d’Europa[4].
La normativa in esame include senza dubbio un disciplina organica sulla prevenzione della corruzione[5],  che ha fatto propri tutti gli input provenienti dagli alti Consessi internazionali e dagli Atti da essi prodotti[6], oltre le indicazioni fornite dalle Corti di giustizia internazionali, europee e nazionali[7].
La nuova normazione  da un lato prevede un Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.) e, dall’altro, obbliga ogni amministrazione pubblica alla adozione di  un Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione[8] (P.T.P.C.) che, in sintonia con il Piano Nazionale, analizzi e valuti rischi specifici di corruzione e indichi gli interventi organizzativi tesi a prevenirli.
La legislazione attribuisce alla C.I.V.I.T. (Commissione Indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle amministrazioni pubbliche, ora A.N.A.C. - Autorità Nazionale Anti Corruzione[1][9]) il ruolo di Autorità Nazionale Anticorruzione (in attuazione dell’art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla corruzione del  31 ottobre 2003[10]), così come individua tutti gli altri organi incaricati di promuovere e attivare le apposite azioni di controllo, prevenzione e contrasto della corruzione all’interno delle  strutture e degli apparati della Pubblica Amministrazione.
L’A.N.A.C., con delibera n. 72 dell’11 settembre 2013, ha approvato il Piano Nazionale Anticorruzione predisposto dal Dipartimento della Funzione Pubblica (rectius Dipartimento per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione). Tale Piano ha la finalità di assicurare l’attuazione coordinata delle strategie di prevenzione della corruzione nella Pubblica Amministrazione e il suo contenuto è articolato in tre sezione.
Nella prima sono esposti gli obiettivi strategici e le azioni previste a livello nazionale. La seconda contiene le direttive alla Pubblica Amministrazione per l’applicazione delle misure di prevenzione. La terza indica i dati e le informazioni da trasmettere al Dipartimento della Funzione Pubblica per il monitoraggio e lo sviluppo di ulteriori strategie.
La legge 190/2012 ha introdotto ed esteso strumenti per la prevenzione e la repressione del fenomeno corruttivo ed è intervenuta, anche, nelle disposizioni del codice penale relative ai reati posti in essere dai pubblici ufficiali ai danni della Amministrazione pubblica. Tale normativa, nella individuazione dei comportamenti censurabili del pubblico dipendente, ha ampliato le fattispecie delittuose, modificando e integrando fattispecie previste e sanzionate nel codice penale.
Il Piano di prevenzione della corruzione di cui ogni singola amministrazione si deve dotare, è da inquadrarsi fra gli atti organizzatori  e programmatori attuatori di regole stabilite in leggi, regolamenti, codici etici e  di comportamento.
In particolare il Piano si prefigge di:
-         stabilire  il diverso livello di esposizione degli singoli uffici a rischio corruttela e illegalità;
-         indicare gli interventi organizzativi volti a prevenire il rischio di corruzione e illegalità;
-         disciplinare le regole di esecuzione e controllo dei protocolli di legalità e o di integrità;
-         indicare le procedure appropriate per selezionare e formare, in collaborazione con la Scuola Nazionale della Amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti al fenomeno in parola, prevedendo, negli stessi ambiti, la rotazione dei responsabili;

(Responsabile per la prevenzione della corruzione[11]) L’art. 1, comma 7, legge 6 novembre 2012, n. 190,  introduce nell’ordinamento la figura del Responsabile per la prevenzione della corruzione che, di norma, a mente dell’art. 43, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (relativo al riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni)[12], svolge le funzioni anche di responsabile per la trasparenza.
Il Responsabile per la prevenzione della corruzione:
·        propone il piano triennale della prevenzione della corruzione[13], che gli organi accademici competenti debbono approvare  entro il 31 gennaio di ogni anno;
·        definisce procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti destinati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione;
·        verifica costantemente l’efficace attuazione del piano, anche mediante procedure di audit o di ispezione, tramite l’ausilio di funzionari interni competenti per settore;
·        verifica, di intesa con i responsabili delle aree, l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento di attività a  più elevato  rischio di corruzione;
·        individua il personale da inserire nei programmi di formazione;
·        svolge compiti di vigilanza sul rispetto delle norme in materia di inconferibilità  e incompatibilità.
Per “rischio di corruzione” il P.N.A. intende “l’effetto dell’incertezza sul corretto perseguimento dell’interesse pubblico e, quindi, sull’obiettivo istituzionale dell’ente, dovuto alla possibilità che si verifichi un dato evento. Per “evento” si intende il verificarsi o il modificarsi di un insieme di circostanze che si frappongono o si oppongono al perseguimento dell’obiettivo istituzionale dell’ente.”.
La legge 190/2012 indica, tra le attività della Pubblica Amministrazione, quelle da monitorare per assicurare il livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, nel rispetto dell’art. 117, comma secondo, lett. m), Cost..
Più specificamente l’art. 1, comma 16, legge 190/2012,  individua nominatim i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che devono essere posti alla attenzione delle Amministrazioni, sia a livello di P.N.A. che dei PP.TT.PP.CC.:
a)   autorizzazione o concessione;
b)   scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta, ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163[14];
c)   concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, attribuzioni di vantaggi economici a persone ed enti pubblici e privati;
d)   concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera.

In aggiunta al P.T.P.C., le singole strutture pubbliche dovranno approvare, a mente dell’art. 1, comma 44, legge 190/2012, un proprio codice di comportamento che integri e specifichi il codice di comportamento dei dipendenti pubblici,  emanato con D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62.
Uno degli adempimenti previsti dalla legge 190/2012 riguarda la pianificazione degli interventi formativi per il personale. Il P.N.A. ha ulteriormente precisato che l’attività formativa deve essere di due  tipi:
1)   di livello generale, rivolta a tutti i dipendenti, in tema di aggiornamento delle competenze  e le tematiche dell’etica e della legalità;
2)   specifica, destinata al Responsabile della prevenzione della corruzione, agli eventuali referenti dell’anticorruzione di cui si avvale il responsabile, ai componenti degli organismo di controllo, ai dirigenti e funzionari addetti alle aree a rischio: riguarda le politiche, i programmi e i vari strumenti utilizzati per la prevenzione e le  tematiche settoriali, in relazione al ruolo svolto da ciascun soggetto nella amministrazione.

(conflitto di interessi[15]) Altra nota di rilievo è l’introduzione,  ad opera dell’art. 1, comma 41, legge n. 190/2012,  dell’art. 6 bis nell’articolato della legge 241/1990, rubricato “conflitto di interessi”. La disposizione stabilisce che il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale, debbono astenersi dall’intervenire in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione che concreti o possa concretare tale condizione.
L’articolo contiene, pertanto,  due prescrizioni:
1)   l’obbligo di astensione per il responsabile del procedimento nella ipotesi di conflitto di interesse,  anche soltanto potenziale;
2)   il dovere di segnalazione, a carico del medesimo, di versare  in una situazione di effettivo o potenziale conflitto con l’interesse pubblico, posto  alla base  dell’esercizio della funzione amministrativa,  o con l’interesse di cui sono portatori il destinatario del provvedimento, i cointeressati, ovvero i controinteressati.
La disposizione in parola deve essere letta unitamente all’art. 7 del codice di comportamento dei dipendenti pubblici, che prevede che “Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui egli sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza.”.
La segnalazione del contrasto deve essere indirizzata al superiore gerarchico, il quale, esaminate le circostanze, valuta se la situazione realizzi o meno un conflitto di interessi tale da ledere la imparzialità dell’agere amministrativo (art. 97 Cost.).
Terminata l’ istruttoria,  l’organo gerarchicamente superiore comunica per iscritto la decisione al dipendente istante, sollevandolo dall’incarico nel caso si concretino le cennate ipotesi di conflitto di interesse, ovvero confermandolo nel ruolo, motivando adeguatamente la statuizione.
Nel primo caso,  l’incarico è  affidato ad altro dipendente o è avocato  all’organo gerarchicamente superiore competente per siffatta procedura.
Qualora il presunto conflitto inerisca quest’ultimo, le attribuzioni decisorie sono devolute al Responsabile per la prevenzione della corruzione.
Il provvedimento è illegittimo per violazione di legge (prima della approvazione dell’art. 6 bis legge 241/1990 si ventilava una ipotesi di eccesso di potere),  se riconducibile ad un funzionario che versa in conflitto di interessi.
Ultronea conseguenza di tale lesione normativa si sostanzia nella natura anche disciplinare dell’illecito, oltre che, in via residuale,  di ordine erariale sanzionabile dalla  Corte dei Conti.

(inconferibilità e incompatibilità[16]) Novella legislativa di non poco momento è stata portata dal decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39[17], recante disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico.
In sintesi il decreto immette nel tessuto connettivo ordinamentale:
-         ipotesi di inconferibilità di incarichi dirigenziali, o assimilati, in relazione a determinate  attività svolte precedentemente dal titolare, oppure cagionate dall’essere quest’ultimo destinatario di sentenze di condanna passate in giudicato,  per delitti contro la Pubblica Amministrazione (capi II, III e IV del decreto 39/2013);
-         ipotesi di incompatibilità specifiche per i titolari di incarichi dirigenziali o assimilati.

Le condizioni che danno vita alla inconferibilità dei predetti incarichi, pertanto,  sono (capi V e VI del decreto 39/2013):
-         aver riportato condanne, penali passate  in giudicato, previste dal capo I del titolo II  del libro II del codice penale (art. 314  - 335 bis c.p.: peculato, corruzione, concussione, abuso d’ufficio, rifiuto e omissione di atti d’ufficio, interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità);
-         essere stati incardinati negli ultimi due anni prima di ricevere l'incarico in enti di diritto privato controllati, vigilati, partecipati o finanziati dal soggetto pubblico da cui si riceve l’incarico dirigenziale o assimilato;
-         l’essere stato componente di organi di indirizzo politico.
Per quanto afferisce l’incompatibilità,  in primo luogo v’è da precisare che con tale espressione si intende “l’obbligo per il soggetto cui viene conferito l’incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di 15 giorni, tra la permanenza nell’incarico e l’assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l’incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l’assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico” (art. 1 d.lgs. n. 39/2012)
A differenza della inconferibilità, la causa di incompatibilità può essere rimossa mediante rinunzia dell’interessato ad uno degli incarichi che la legge ha considerato incompatibili tra di loro.
La inconferibilità, invece,  determina un vizio genetico del provvedimento amministrativo (l’incarico) e del conseguenziale contratto,  comportante, pertanto,  la originaria  impossibilità di assumere l’incarico dirigenziale o assimilato. Nel caso in cui esso sia  assunto, è nulla sia la fase provvedimentale antecedente (il conferimento dell’incarico dirigenziale o assimilato), ex art. 21 septies legge 241/1990, in ragione della mancanza dell’elemento essenziale del requisito soggettivo legittimante la nomina),   sia quella negoziale successiva ( la stipula del  contratto),  ex art. 1418, comma 1, c.c, per violazione di norme imperative
Se il Responsabile della prevenzione della corruzione individua un dirigente il cui rapporto lavorativo è inficiato da una  causa di incompatibilità, egli ha l’obbligo di contestarla  a questi,  che entro i 15 giorni successivi ha il dovere di rimuoverla (ossia rinunciare all’altro incarico incompatibile con quello svolto, salvo non decida di dimettersi da questo). In caso contrario, il Responsabile disporrà la decadenza dall’incarico e la conseguenziale risoluzione del contratto dirigenziale o assimilato.
Un vizio che potrebbe essere sussunto in seno alla categoria delle  cause di inconferibilità, qualificabili come successive, è quello che secondo terminologia anglosassone è definito revolving doors,  e pantouflage secondo quella francese.
L’art. 1, comma 42, legge 190/2012, ha introdotto nell’art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165,  il comma 16 ter destinato a contenere il rischio di situazioni di corruzione connesse all’impiego del dipendente successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro pubblico: “I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione  svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione de compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.”.
La riportata norma, nell’esplicitare la nullità del vincolo contrattuale viziato  da pantouflage -revolving doors, conferma la ascrivibilità in tale invalidità anche della  inconferibilità, in quanto il pantouflage -revolving doors non è altro che una causa di inconferibilità,  applicata successivamente alla cessazione del rapporto di pubblico impiego e  all’insorgere del vincolo contrattuale privato.
Come prima sinteticamente riportato, fra le tre condizioni da cui scaturisce la causa della inconferibilità,  v’è quella afferente incarichi a soggetti provenienti da enti di diritto privato regolati o finanziati dalle Pubbliche Amministrazioni. Nel caso di pantouflage -revolving doors v’è un inversione dei momenti la cui interconnessione funzionale determina la nullità  del binomio provvedimento- contratto. Mentre nel primo caso è inconferibile l’incarico dirigenziale pubblico a colui che proviene da un ente di diritto privato vigilato, controllato, partecipato o finanziato dalla struttura statuale o di altra natura assegnante  l’incarico, nel secondo caso avviene l’inverso: è all’organismo  privato che è fatto divieto di stipulare contratti con soggetti che negli ultimi tre anni di servizio, prima della cessazione, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle Pubbliche Amministrazioni. E’ nullo il contratto stipulato fra il soggetto privato e chi versa in questa ultima  condizione (che potremmo qualificare “inconferibilità successiva e di natura privatistica”), al pari della  nullità che vizia per inconferibilità il plesso incarico-contratto conferito dal soggetto pubblico a chi proviene da organismi privati, con modalità che si atteggiano diversamente, legati al primo (che potremmo definire “inconferibilità originaria e di natura pubblica”[18]).
La particolarità della  inconferibilità successiva si concreta nella prohibitio   circoscritta nel tempo, id est  per tre anni dalla cessazione del rapporto di impiego pubblico,  per i dipendenti che hanno esercitato  nel triennio ad esso precedente poteri autoritativi o negoziali per conto delle Pubbliche Amministrazioni,   di cui all’art. 1, comma 2,  d.lgs. 165/2001; tre anni è anche il lasso di tempo in costanza del quale è impedito alle Pubbliche Amministrazioni di contrattare con i soggetti privati, resisi responsabili di aver  concluso o conferito contratti in violazione dei cennati termini.

(whistleblower[19]Figura che ci si augura di particolare efficacia nel contrasto alla corruzione è il whistleblower.
L’art. 1, comma 51, legge 190/2012,  ha aggiunto successivamente all’art. 54 d.lgs. 165/2001, l’art. 54 bis, che recita così:
1.“ Fuori dai casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia alla autorità giudiziaria o alla Corte dei Conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.
2. Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l’identità può essere rilevata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato.
3. L’adozione di misure discriminatorie è segnalata al Dipartimento della Funzione Pubblica, per i provvedimenti di competenza dall’interessato e dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nella amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere.
4. La denuncia è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.”.
La disposizione è strutturata in  tre norme:
-         la tutela dell’anonimato;
-         il divieto di discriminazione nei confronti del whistleblower;
-         la previsione che la denuncia sia sottratta al diritto di accesso, ad  esclusione delle ipotesi descritte nel comma 2 del nuovo art. 54 bis d.lgs. n. 165 del 2001, ove sussista la necessità di disvelare l’identità del denunciante (il Legislatore adopera la stessa terminologia  usata nel comma terzo dell’art. 200 c.p.p.,in merito alla tutela del  segreto professionale dei giornalisti professionisti in sede di esame testimoniale nel procedimento/processo penale).
La ratio della norma è quella di evitare che il dipendente ometta di effettuare segnalazioni di illecito per il timore di subire conseguenze pregiudizievoli.
La disposizione tutela, pertanto, l’anonimato, modulando con gradazioni diverse  tale garanzia, a seconda della tipologia di  procedimento che la segnalazione fa sorgere, oltre alla valutazione  sulla portata probatoria della  segnalazione, se  sia supportata o meno da altro elemento estrinseco ad essa, di natura documentale e/o testimoniale.

(trasparenza e pubblicità[20]) Il whistleblower si inserisce nell’ordito pensato dal Legislatore per aprire un canale di ascolto  virtuoso con il personale pubblico “sano” (che rappresenta la parte maggioritaria dei dipendenti, nonostante la martellante campagna mediatica), in attuazione alle raccomandazioni compiute dal Piano Nazionale Anticorruzione.
Obiettivo strategico del Piano è la emersione dei fatti di cattiva amministrazione e dei fenomeni corruttivi, tramite il coinvolgimento  dei destinatari  della azione amministrativa in questa opera di disvelamento delle illeceità e di miglioria delle condotte perseguenti gli interessi generali.  Il dialogo con la c.d. società civile può implementare il rapporto di fiducia fra sfera pubblica e privata, da cui può derivare l’emersione di fenomeni delittuosi che, altrimenti, rischierebbero di rimanere sottaciuti.  Ruoli chiave possono essere svolti dagli Uffici di Relazione con il Pubblico (U.R.P,  istituiti in forza dell’art. 11 dell’ abrogato d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, assorbito nell’art.11, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), che rappresentano per missione istituzionale la prima interfaccia con l’”utenza”.
Il contatto fra U.R.P, organo della singola amministrazione, con  l’”esterno”,  deve stimolare, nei portatori di interesse e nei rappresentanti delle categorie professionali e  di consumatori, una volontà propositiva in merito alla azione dell’ente pubblico, anche al fine di migliorarne la tattica di lotta alle condotte lesive degli  interessi collettivi  statuali e pubblici.
In seno a tale diversa concezione del rapporto fra apparato giuspubblicistico e soggetti privati, la trasparenza deve dominare come misura di prevenzione della corruzione, in quanto è strumento di  vigilanza e  controllo da parte dei privati in ordine allo svolgimento,  corretto e rispettoso dei principi e della legislazione, dei  procedimenti amministrativi e alla adozione, al termine di essi, del provvedimento finale.
Il controllo e la vigilanza avviene grazie ad una accessibilità totale alle informazioni  concernenti l’organizzazione della amministrazione e la sua attività
Nel d.lgs 14 marzo 2013, n. 33, è stato introdotto l’obbligo per ogni Pubblica Amministrazione e per le società da essa partecipate, controllate o vigilate (alle quali debbono essere parimenti applicate la legge 190/2012),  di dotarsi di un programma triennale per la trasparenza,  al fine di definire i mezzi, i modi e le iniziative, volti alla attivazione degli obblighi di pubblicazione normativamente previsti.
Tale programma, funzionalmente  correlato  al piano di prevenzione della corruzione, è redatto dal Responsabile della trasparenza che, come precedentemente detto,  di norma coincide nella persona del Responsabile della prevenzione della corruzione. Egli svolge stabilmente una attività di controllo sugli adempimenti degli obblighi di pubblicazione, assicurandone la completezza, la chiarezza e l’aggiornamento delle informazioni pubblicate.
I documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria devono essere pubblicati in formato aperto, nonché riutilizzabili senza ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo di citare la fonte e di rispettarne l’integrità.
Sul sito web istituzionale delle Amministrazioni è opportuno vi siano riportati anche dati non obbligatori, ma ritenuti utili per cittadini e associazioni.
Le informazioni pubblicate debbono essere agevolmente accessibili da chiunque, con una facile comprensibilità del contenuto dal quisque de populo.
 Dati, documenti  e informazioni, pertanto, possiedono i seguenti requisiti:
·        completezza e accuratezza, ossia corrispondenti a ciò che si vuole descrivere, nonché la pubblicazione deve essere esatta e senza omissioni;
·        comprensibilità: ossia la esplicitazione del contenuto deve essere chiara ed evidente. Occorre evitare la frammentazione della informazione, ossia l’inserimento delle stesse tipologie di dati in punti diversi del sito;
·        aggiornamento, con la indicazione della data e con la costante cronologica revisione;
·        tempestività, con la loro  immissioni in tempo reale o, comunque, il più rapidamente possibile;
·        open data, ovverosia raggiungibilità diretta dalla home page o dalla pagina di indicazione dei medesimi.

Vi deve essere un bilanciamento fra il diritto alla massima trasparenza e quello alla riservatezza dei soggetti a cui dati, informazioni e documenti si riferiscono, avendo entrambi i diritti pari dignità costituzionale e lo stesso rango all’interno del diritto europeo.
Precipitato giuridico è il divieto di pubblicare elementi  idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico, o sindacale” (c.d. sensibili), a cui l’art. 4, comma 1°, lett. d), del codice della privacy (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 193) affianca quelli  c.d. supersensibili relativi a  salute e  sfera sessuale;  nonché il divieto di trasparenza per notizie di natura giudiziaria (casellario giudiziale, qualità di imputato o indagato, et similia)[21].
(accesso civico[22])  L’accesso civico, introdotto dall’art. 5 d.lgs. 33/2013,  è lo strumento complementare all’obbligo appena trattato.
Tale ius novum consente a chiunque, senza alcuna limitazione in relazione alla legittimazione soggettiva, gratuitamente e senza alcuna motivazione,  di richiedere documenti, informazioni o dati su cui vige l’obbligo di pubblicazione.
L’amministrazione ha l’obbligo di provvedere perentoriamente entro trenta giorni dalla richiesta, con le seguenti modalità:
·        pubblicazione sul sito istituzionale del documento, della informazione o del dato richiesto;
·        trasmissione del materiale oggetto della richiesta al richiedente o comunicazione della avvenuta pubblicazione, unitamente al relativo collegamento ipertestuale;
·        indicazione al richiedente del collegamento ipertestuale ove reperire il documento, il dato o l’informazione, già precedentemente pubblicato.
Scaduti i trenta giorni, Il Responsabile della trasparenza ha l’obbligo di segnalare il responsabile della inottemperanza (ossia il preposto all’ufficio competente alle pubblicazioni) alla struttura interna tributaria del potere disciplinare, oltre agli organi di indirizzo politico per l’attivazione di ulteriori procedure di accertamento di diverse responsabilità (civile, erariale, contabile, penale, amministrativa).
Unico punto di contatto fra l’accesso civico ex art. 5 d.lgs. 33/2013  e quello di accesso, ai sensi degli artt. 22 e seguenti legge 241/1990,  è il termine di trenta giorni entro il quale l’Amministrazione deve mettere a disposizione dell’istante il documento[23].
Infatti, mentre il primo istituto non pone alcuna restrizione nella legittimazione attiva, alcuna specifica correlazione tra il soggetto richiedente e quanto richiesto, alcun pagamento di contributi o tasse, alcun limite all’esercizio di tale diritto, alcuna specifica configurazione del petitum, potendo consistere in un documento, informazione o dato, il diritto garantito dalla legge 241/1990, essendo collocato fra i confini della disciplina del  procedimento amministrativo, pone una serie di limiti ai profili sopra evidenziati: ”In tema di accesso agli atti amministrativi, qualora una Pubblica Amministrazione detenga un documento amministrativo la cui conoscenza sia in grado di soddisfare la posizione giuridicamente protetta di un determinato soggetto, nel senso che esiste un rapporto di strumentalità tra la conoscenza del documento (mezzo per la difesa degli interessi) ed il fine (effettiva tutela della situazione giuridicamente rilevante della quale il richiedente è portatore), allora il soggetto stesso è facoltizzato ad ottenere l’esibizione. Infatti, ai fini dell’accesso, occorre un rapporto tra il documento ed il richiedente l’esibizione, tale da differenziare la posizione di questi rispetto a qualunque altro soggetto, poiché l’accesso non può essere richiesto per ragioni meramente informative o ispettive[24].”
 Effetti derivati da tale impostazione sono la possibilità di differire motivatamente  e per un lasso di tempo specificamente determinato l’accesso, di escluderlo in casi tassativamente previsti da norme legislative o regolamentari, di fissare le regole per addivenire ad esso e, infine, la configurabilità della categoria di “documento”, molto più ristretta rispetto a quanto possa essere  oggetto dell’accesso civico.
(suggerimenti della Commissione europea) Per la Commissione europea[25] l’approvazione  da parte del Parlamento italiano della legge anticorruzione 190/2012 segna un importante passo in avanti nel contrasto al fenomeno.
La nuova normativa[26] dà rilievo a politiche di prevenzione mirate a potenziare la responsabilità (accountability) dei pubblici ufficiali e della classe politica e a riequilibrare l’onere della lotta anticorruzione, che attualmente grava quasi esclusivamente sulle forze dell’ordine e sulla magistratura. Tuttavia, nonostante il profondo impegno profuso dalla Corte dei conti[27], dagli organi di contrasto, dalle procure e dai giudici, la corruzione in Italia rimane un problema serio. La nuova ondata di scandali di corruzione, che hanno coinvolto una serie di cariche elettive regionali, ha fatto luce sul finanziamento illecito dei partiti politici e delle campagne elettorali e ha rivelato infiltrazioni mafiose, anche se sono tuttora rari i casi in cui sanzioni dissuasive vengono realmente comminate a pubblici ufficiali di alto rango. Il regime restrittivo della prescrizione continua a ostacolare l’accertamento nel merito dei casi di corruzione.
La disciplina sul conflitto di interessi e sui finanziamenti ai partiti politici è,  per la Commissione europea, insoddisfacente sotto alcuni aspetti. Gli appalti pubblici e il settore privato continuano a essere settori a rischio, malgrado le misure fin qui adottate. In generale occorrono ulteriori sforzi per garantire un’applicazione e un monitoraggio efficaci del quadro legislativo anticorruzione, compresi i decreti legislativi, in modo da garantire un impatto sostenibile sul campo.
La Commissione, pertanto, suggerisce di dare maggiore attenzione ai seguenti aspetti:
-         rafforzare il regime di integrità per le cariche elettive e di governo nazionali, regionali e locali, anche con codici di comportamento completi, strumenti adeguati di rendicontazione e sanzioni dissuasive in caso di violazione;
-         vagliare l’opportunità di spronare i partiti politici ad adottare codici di comportamento e di promuovere patti deontologici tra partiti e gruppi politici;
-         rafforzare il quadro  giuridico e attuativo sul finanziamento ai partiti politici, soprattutto per quanto riguarda le donazioni, il consolidamento dei conti, il coordinamento e adeguati poteri di controllo sul finanziamento dei partiti e l’applicazione di sanzioni dissuasive;
-         colmare le lacune della disciplina della prescrizione, come richiesto dalle
raccomandazioni rivolte all’Italia a luglio 2013 nel quadro del semestre europeo, vagliando la modifica della normativa sulla decorrenza dei termini di prescrizione (anche escludendo le istanze d’appello dai termini di prescrizione) e l’adozione di norme più flessibili sulla sospensione e sull’interruzione;
-         valutare il rischio di prescrizione per i procedimenti in corso per reati di corruzione e dare priorità ai procedimenti che presentano tale rischio;
-         estendere i poteri e sviluppare la capacità dell’autorità nazionale anticorruzione CIVIT in modo che possa reggere saldamente le redini del coordinamento e svolgere funzioni ispettive e di supervisione efficaci, anche in ambito regionale e locale;
-         garantire un quadro uniforme per i controlli interni e affidare la revisione contabile della spesa pubblica a controllori esterni indipendenti a livello regionale e locale, soprattutto in materia di appalti pubblici;
-         garantire un sistema uniforme, indipendente e sistematico di verifica del
conflitto di interessi e delle dichiarazioni patrimoniali dei pubblici ufficiali, con relative sanzioni deterrenti[28];
-         rendere più trasparenti gli appalti pubblici, prima e dopo l’aggiudicazione, come richiesto dalle raccomandazioni rivolte all’Italia a luglio 2013 nel quadro del semestre europeo. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto ponendo l’obbligo per tutte le strutture amministrative di pubblicare online i conti e i bilanci annuali, insieme alla ripartizione dei costi per i contratti pubblici di opere, forniture e servizi, in linea con la normativa anticorruzione[29];
-         considerare di conferire alla Corte dei Conti il potere di effettuare controlli
senza preavviso;
-         garantire il pieno recepimento ed attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;
-         vagliare la messa a punto di dispositivi preventivi e di monitoraggio della
corruzione per le imprese che operano in settori, come la difesa e l’energia, in cui casi di corruzione transnazionale su larga scala hanno evidenziato l’esposizione al fenomeno.


(conclusioni) Alla domanda posta dal titolo del presente scritto non può essere fornita, almeno per ora, una adeguata e seria risposta. Le singole amministrazioni statali, le regioni, gli enti locali e le università, stanno approvando  i Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione e provvedendo ad attivare le procedure sul solco stagliato dalla esaminata normazione. Unicamente a seguito della conclusione di questi  processi, si potrà comprendere al meglio se l’ordinamento italiano abbia intrapreso la strada giusta verso una effettivo cambio di marcia di tipo etico, oltre per il raggiungimento di un apparato pubblico maggiormente efficientista nelle sue più disparate articolazioni[30].


Fabrizio Giulimondi








[1] Commissione europea, Relazione presentata al Parlamento europeo il 6 giugno 2011 in G.U. Unione Europea C 190/2 del 30 giugno 2011; Rapporto dell’Economic Index Forum per il 2011 in Osservatorio sulla legalità – La legalità ambigua, a cura di G.Acocella, G.Giappichelli editore; Corte dei Conti – Relazione inaugurale anno giudiziario 2012 in www.cortedeiconti.it.
[2] La Commissione europea, nella relazione citata nella nota precedente, stima che la corruzione costi alla economia della U.E. 120 miliardi di euro l’anno, ovvero l’1% del P.I.L. della U.E. e poco meno del bilancio annuale della Unione Europea.
[3] G.U., serie generale, n. 265 del 13 novembre 2012.
[4] Convenzione civile sulla corruzione del 4 novembre 1999, recepita con legge 28 giugno 2012, n. 112; Convenzione penale sulla corruzione del 27 gennaio 1999, recepita con legge 28 giugno 2012, n. 110.
[5] Eccettuata la presente normativa, le convenzioni europee, finora, non sono state ratificate dall’Italia e non si è ancora intervenuti sui punti nevralgici del sistema, così come testualmente prescrivono le norme internazionali in tema di  trasparenza della contabilità e dei flussi finanziari.
[6] Marina Castellaneta, “Protezione e premi per chi segnala i fatti illeciti: disposizioni operative già dal 28 novembre 2012”, in Guida al Diritto, n. 47 del 24 novembre 2012.
[7] Gaetano De Amicis, “Cooperazione giudiziaria e corruzione internazionale, Verso un sistema integrato di forme e strumenti di collaborazione tra le autorità giudiziarie”, in Quaderni di diritto penale comparato, internazionale ed europeo, Giuffrè editore.
[9] Art. 19 (Soppressione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e definizione delle funzioni dell’Autorità nazionale anticorruzione) del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 144 del 24 giugno 2014), convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114, recante: “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari.” (in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.190 del 18-8-2014 - Suppl. Ordinario n. 70): "Le attribuzioni della Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture (A.V.C.P.) sono conferite alla  Autorità Nazionale Anti Corruzione e per la valutazione e la trasparenza.".
[10] http://www.unodc.org.
[11] Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione, rapporto al Presidente della Camera dei Deputati, 23 ottobre 1996, in www.diritto.it.
[12] G.U., serie generale, n. 80 del 5 aprile 2013.
[13] Piano di grande importanza, visto che lo Stato perde tra costi della corruzione e l’evasione fiscale una ingente quantità di denaro: circa 60 miliardi di euro secondo i calcoli compiuti dal SAeT del Dipartimento della Funzione Pubblica (relazione 2008 Trasparency; relazione al Parlamento n. XXVII n. 6 in data 2 marzo 2009 del Ministro della Pubblica Amministrazione).
[14] Secondo il rapporto dell’Economic Index Forum per il 2011, la corruzione e la criminalità organizzata, proprio nel settore degli appalti di lavori, forniture e servizi pubblici, costituiscono i maggiori freni per chi vuole investire in Italia e in particolare nel Meridione.
[15] Claudio Marchetta, “La legislazione italiana sul conflitto di interessi”, 2013, Giuffrè.
[16] Cosmai, Paola,  “La nuova disciplina delle incompatibilità dopo la legge anticorruzione.”, 2013, Azienditalia; Lealini Valentina, “La legge anticorruzione e l’inasprimento del regime  delle incompatibilità per l'esercizio di attività extraufficio.”, 2013,  Informator.
[17] G.U., Serie Generale, n. 92 del 19 aprile 2013.
[18] Sulla stessa linea di pensiero Giuseppe Caruso, “Un vademecum con doveri e divieti per i dipendenti”, in Guida al Diritto,cit..; Rocco Galli, “Corso di diritto amministrativo”, CEDAM; Mordenti, Marco, Pasquale Monea, “Inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le PA.” Guida al pubblico impiego 10(7/8), 2013.
[19] Bernardo Giorgi,  “Il nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici.”, in  Giornale di diritto amministrativo 10/2013; Renato Ruffini,. “L’evoluzione del sistema dei controlli interni negli enti locali alla luce della legge n. 190/2012 in tema di corruzione”, Azienditalia, 2013.
[20]Francesco  Tentoni, “Trasparenza ‘riservata.”, Azienditalia, Il personale 2013-10(5);  Vincenzo Testa,   “Nasce dalle ceneri dell’art. 11 della ‘150’ il nuovo Codice della trasparenza.”, in  Guida al pubblico impiego 2013-10(3); Sarah Ungaro, , “Digitalizzazione e trasparenza: il difficile cammino verso un’amministrazione apert.” Guida al pubblico impiego 2013-10(4); Stefano Usai, “Obblighi di pubblicità/trasparenza nel nuovo d.lgs. 33/2013 e la previsione dell’indennizzo da ritardato procedimento nel ‘decreto del fare’ 69/2013.”,  Comuni d’Italia 2013-50(4).

[21] Riccardo Acciai, “Privacy e banche dati pubbliche. Il trattamento dei dati personali nelle pubbliche amministrazioni”, Cedam, 2013.
[22] Marco Magri “Diritto alla trasparenza e tutela giurisdizionale” in Istituzioni del Federalismo 2/2013.
[23] Pietro Burla, Giorgio Fraccastoro, “Il diritto di accesso ai documenti della Pubblica Amministrazione”, prefazione di Vincenzo Cerulli Irelli, Laurus Robuffo.
[24] T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 29 dicembre 2008, n. 3007.
[25] Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo – Relazione della Unione sulla lotta alla corruzione, 3 febbraio 2014, COM(2014) 38 final, Annex 12.
[26] La crisi economica rende le misure anticorruzione particolarmente urgenti, considerati i danni che tale condotta delittuosa arreca alla società italiana ed europea in termini economici, sociali e politici, a causa della diminuzione dei livelli di investimento, dell’ostacolo al corretto funzionamento del mercato interno e la negativa incisione sulla finanza pubblica.
[27] Per la magistratura contabile quella contro la corruzione, latamente intesa, rappresenta davvero una battaglia impari: basti pensare che a fronte del costo plurimiliardario del fenomeno in parola, la corte dei Conti nel 2011 è riuscita ad infliggere condanne in primo grado per soli 75.254.141,70 euro, mentre in seconde cure sono state definitivamente confermate condanne per l’importo di euro 15.050.803,58, in relazione ai giudizi trattati negli anni precedenti (Corte dei Conti -relazione inaugurale anno giudiziario 2012).
[28] M.Ceratti, “L’evoluzione della dirigenza pubblica, attraverso il decreto Brunetta (d.lgs. 150/2009) e la legge anticorruzione (l. 190/2012) in Il Mondo Giudiziario n. 2 del 13 gennaio 2014.
[29] “L’elevato tasso di complicazioni amministrative del sistema italiano non solo ostacola la libertà di impresa, ma alimenta esso stesso la corruzione, utilizzata dalle imprese e dai cittadini come strumento di semplificazione o aggiramento dei vincoli burocratici.”.( Corte dei Conti – Relazione inaugurazione anno giudiziario 2012).
[30] La “Relazione anticorruzione della UE”, istituita dalla Commissione U.E. nel documento di cui alla nota 1), avente lo scopo di monitorare e valutare gli interventi messi in atto dagli Stati membri in subiecta materia, sarà il banco di prova per L’Italia – e non solo – per comprendere al meglio  se le azioni legislative,  regolamentarli e di altra natura siano state corrette ed efficaci per l’effettivo ridimensionamento del fenomeno.




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