La legge 6 novembre 2012, n. 190[3], contenente “Disposizioni per la prevenzione e la
repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”,
che si propone di arginare i fenomeni di mala gestio nella
Pubblica Amministrazione, è frutto della collaborazione internazionale sorta,
in prima battuta, entro l’O.C.S.E. (Organizzazione per la Cooperazione e
lo Sviluppo Economico). Nel rapporto all’Italia divulgato nel gennaio 2012,
redatto per verificare lo stato di attuazione della Convenzione sulla lotta
alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche
internazionali del 17 dicembre 1997, l’O.C.S.E. è stato chiaro
nell’indicare le modifiche necessarie nell’ordinamento italiano.
Roma è stata compulsata in tal senso anche
dall’O.N.U. e dalla Unione Europea, oltre che dal Consiglio d’Europa[4].
La normativa in esame include senza dubbio
un disciplina organica sulla prevenzione della corruzione[5],
che ha fatto propri tutti gli input provenienti dagli
alti Consessi internazionali e dagli Atti da essi prodotti[6],
oltre le indicazioni fornite dalle Corti di giustizia internazionali, europee e
nazionali[7].
La nuova normazione da un lato
prevede un Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.) e, dall’altro, obbliga ogni
amministrazione pubblica alla adozione di un Piano Triennale di
Prevenzione della Corruzione[8] (P.T.P.C.) che, in
sintonia con il Piano Nazionale, analizzi e valuti rischi specifici di
corruzione e indichi gli interventi organizzativi tesi a prevenirli.
La legislazione attribuisce alla C.I.V.I.T.
(Commissione
Indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle
amministrazioni pubbliche, ora A.N.A.C. - Autorità Nazionale Anti Corruzione[1][9])
il ruolo di Autorità Nazionale Anticorruzione (in attuazione dell’art. 6 della
Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla corruzione del 31
ottobre 2003[10]), così come individua tutti gli altri
organi incaricati di promuovere e attivare le apposite azioni di controllo,
prevenzione e contrasto della corruzione all’interno delle strutture e
degli apparati della Pubblica Amministrazione.
L’A.N.A.C., con
delibera n. 72 dell’11 settembre 2013, ha approvato il Piano Nazionale
Anticorruzione predisposto dal Dipartimento della Funzione Pubblica (rectius Dipartimento
per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione). Tale Piano ha la
finalità di assicurare l’attuazione coordinata delle strategie di prevenzione
della corruzione nella Pubblica Amministrazione e il suo contenuto è articolato
in tre sezione.
Nella prima sono
esposti gli obiettivi strategici e le azioni previste a livello nazionale. La
seconda contiene le direttive alla Pubblica Amministrazione per l’applicazione
delle misure di prevenzione. La terza indica i dati e le informazioni da trasmettere
al Dipartimento della Funzione Pubblica per il monitoraggio e lo sviluppo di
ulteriori strategie.
La legge 190/2012 ha
introdotto ed esteso strumenti per la prevenzione e la repressione del fenomeno
corruttivo ed è intervenuta, anche, nelle disposizioni del codice penale
relative ai reati posti in essere dai pubblici ufficiali ai danni della
Amministrazione pubblica. Tale normativa, nella individuazione dei
comportamenti censurabili del pubblico dipendente, ha ampliato le fattispecie
delittuose, modificando e integrando fattispecie previste e sanzionate nel
codice penale.
Il Piano di prevenzione
della corruzione di cui ogni singola amministrazione si deve dotare, è da
inquadrarsi fra gli atti organizzatori e programmatori attuatori di
regole stabilite in leggi, regolamenti, codici etici e di comportamento.
In particolare il Piano
si prefigge di:
- stabilire il diverso livello di esposizione
degli singoli uffici a rischio corruttela e illegalità;
- indicare gli interventi organizzativi volti a
prevenire il rischio di corruzione e illegalità;
- disciplinare le regole di esecuzione e controllo dei
protocolli di legalità e o di integrità;
- indicare le procedure appropriate per selezionare e
formare, in collaborazione con la Scuola Nazionale della Amministrazione, i
dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti al fenomeno
in parola, prevedendo, negli stessi ambiti, la rotazione dei responsabili;
(Responsabile per la prevenzione della
corruzione[11]) L’art. 1, comma 7,
legge 6 novembre 2012, n. 190, introduce nell’ordinamento la figura del
Responsabile per la prevenzione della corruzione che, di norma, a mente
dell’art. 43, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (relativo
al riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità,
trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche
amministrazioni)[12], svolge le funzioni anche di
responsabile per la trasparenza.
Il Responsabile per la prevenzione della
corruzione:
· propone il piano triennale della prevenzione della
corruzione[13], che gli organi accademici competenti
debbono approvare entro il 31 gennaio di ogni anno;
· definisce procedure appropriate per selezionare e
formare i dipendenti destinati ad operare in settori particolarmente esposti
alla corruzione;
· verifica costantemente l’efficace attuazione del
piano, anche mediante procedure di audit o di ispezione, tramite l’ausilio di
funzionari interni competenti per settore;
· verifica, di intesa con i responsabili delle aree,
l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento di
attività a più elevato rischio di corruzione;
· individua il personale da inserire nei programmi di
formazione;
· svolge compiti di vigilanza sul rispetto delle norme
in materia di inconferibilità e incompatibilità.
Per “rischio di corruzione” il P.N.A.
intende “l’effetto dell’incertezza sul corretto perseguimento dell’interesse
pubblico e, quindi, sull’obiettivo istituzionale dell’ente, dovuto alla
possibilità che si verifichi un dato evento. Per “evento” si intende il
verificarsi o il modificarsi di un insieme di circostanze che si frappongono o
si oppongono al perseguimento dell’obiettivo istituzionale dell’ente.”.
La legge 190/2012 indica, tra le attività
della Pubblica Amministrazione, quelle da monitorare per assicurare il livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, nel
rispetto dell’art. 117, comma secondo, lett. m), Cost..
Più specificamente l’art. 1, comma 16,
legge 190/2012, individua nominatim i provvedimenti e i
procedimenti amministrativi che devono essere posti alla attenzione delle
Amministrazioni, sia a livello di P.N.A. che dei PP.TT.PP.CC.:
a) autorizzazione
o concessione;
b) scelta
del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con
riferimento alla modalità di selezione prescelta, ai sensi del codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163[14];
c) concessione
ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari,
attribuzioni di vantaggi economici a persone ed enti pubblici e privati;
d) concorsi
e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera.
In aggiunta al P.T.P.C., le singole
strutture pubbliche dovranno approvare, a mente dell’art. 1, comma 44, legge
190/2012, un proprio codice di comportamento che integri e specifichi il codice
di comportamento dei dipendenti pubblici, emanato con D.P.R. 16 aprile
2013, n. 62.
Uno degli adempimenti previsti dalla legge
190/2012 riguarda la pianificazione degli interventi formativi per il
personale. Il P.N.A. ha ulteriormente precisato che l’attività formativa deve
essere di due tipi:
1) di
livello generale, rivolta a tutti i dipendenti, in tema di aggiornamento delle
competenze e le tematiche dell’etica e della legalità;
2) specifica,
destinata al Responsabile della prevenzione della corruzione, agli eventuali
referenti dell’anticorruzione di cui si avvale il responsabile, ai componenti
degli organismo di controllo, ai dirigenti e funzionari addetti alle aree a
rischio: riguarda le politiche, i programmi e i vari strumenti utilizzati per
la prevenzione e le tematiche settoriali, in relazione al ruolo svolto da
ciascun soggetto nella amministrazione.
(conflitto di interessi[15]) Altra nota di rilievo è l’introduzione, ad
opera dell’art. 1, comma 41, legge n. 190/2012, dell’art. 6 bis nell’articolato
della legge 241/1990, rubricato “conflitto di interessi”. La disposizione
stabilisce che il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici
competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti
endoprocedimentali e il provvedimento finale, debbono astenersi
dall’intervenire in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione
che concreti o possa concretare tale condizione.
L’articolo contiene, pertanto, due
prescrizioni:
1) l’obbligo
di astensione per il responsabile del procedimento nella ipotesi di conflitto
di interesse, anche soltanto potenziale;
2) il
dovere di segnalazione, a carico del medesimo, di versare in una
situazione di effettivo o potenziale conflitto con l’interesse pubblico,
posto alla base dell’esercizio della funzione amministrativa,
o con l’interesse di cui sono portatori il destinatario del provvedimento, i
cointeressati, ovvero i controinteressati.
La disposizione in parola deve essere
letta unitamente all’art. 7 del codice di comportamento dei dipendenti
pubblici, che prevede che “Il dipendente si astiene dal partecipare
all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi
propri, ovvero di suoi parenti affini entro il secondo grado, del coniuge o di
conviventi oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale,
ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia pendente
o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di
soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente,
ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o
stabilimenti di cui egli sia amministratore o gerente o dirigente. Il
dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di
convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di
appartenenza.”.
La segnalazione del contrasto deve essere
indirizzata al superiore gerarchico, il quale, esaminate le circostanze, valuta
se la situazione realizzi o meno un conflitto di interessi tale da ledere la
imparzialità dell’agere amministrativo (art. 97 Cost.).
Terminata l’ istruttoria, l’organo
gerarchicamente superiore comunica per iscritto la decisione al dipendente
istante, sollevandolo dall’incarico nel caso si concretino le cennate ipotesi
di conflitto di interesse, ovvero confermandolo nel ruolo, motivando
adeguatamente la statuizione.
Nel primo caso, l’incarico è
affidato ad altro dipendente o è avocato all’organo gerarchicamente
superiore competente per siffatta procedura.
Qualora il presunto conflitto inerisca
quest’ultimo, le attribuzioni decisorie sono devolute al Responsabile per la
prevenzione della corruzione.
Il provvedimento è illegittimo per
violazione di legge (prima della approvazione dell’art. 6 bis legge
241/1990 si ventilava una ipotesi di eccesso di potere), se riconducibile
ad un funzionario che versa in conflitto di interessi.
Ultronea conseguenza di tale lesione
normativa si sostanzia nella natura anche disciplinare dell’illecito, oltre
che, in via residuale, di ordine erariale sanzionabile dalla Corte
dei Conti.
(inconferibilità e incompatibilità[16]) Novella legislativa
di non poco momento è stata portata dal decreto legislativo 8 aprile 2013, n.
39[17], recante disposizioni in materia di
inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche
amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico.
In sintesi il decreto immette nel tessuto
connettivo ordinamentale:
- ipotesi di inconferibilità di incarichi dirigenziali,
o assimilati, in relazione a determinate attività svolte precedentemente
dal titolare, oppure cagionate dall’essere quest’ultimo destinatario di
sentenze di condanna passate in giudicato, per delitti contro la Pubblica
Amministrazione (capi II, III e IV del decreto 39/2013);
- ipotesi di incompatibilità specifiche per i titolari
di incarichi dirigenziali o assimilati.
Le condizioni che danno vita alla
inconferibilità dei predetti incarichi, pertanto, sono (capi V e VI del
decreto 39/2013):
- aver riportato condanne, penali passate in
giudicato, previste dal capo I del titolo II del libro II del codice
penale (art. 314 - 335 bis c.p.: peculato, corruzione,
concussione, abuso d’ufficio, rifiuto e omissione di atti d’ufficio,
interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità);
- essere stati incardinati negli ultimi due anni prima
di ricevere l'incarico in enti di diritto privato controllati, vigilati,
partecipati o finanziati dal soggetto pubblico da cui si riceve l’incarico
dirigenziale o assimilato;
- l’essere stato componente di organi di indirizzo
politico.
Per quanto afferisce l’incompatibilità,
in primo luogo v’è da precisare che con tale espressione si intende “l’obbligo
per il soggetto cui viene conferito l’incarico di scegliere, a pena di
decadenza, entro il termine perentorio di 15 giorni, tra la permanenza
nell’incarico e l’assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di
diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che
conferisce l’incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero
l’assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico” (art.
1 d.lgs. n. 39/2012)
A differenza della inconferibilità, la
causa di incompatibilità può essere rimossa mediante rinunzia dell’interessato
ad uno degli incarichi che la legge ha considerato incompatibili tra di loro.
La inconferibilità, invece,
determina un vizio genetico del provvedimento amministrativo (l’incarico) e del
conseguenziale contratto, comportante, pertanto, la
originaria impossibilità di assumere l’incarico dirigenziale o
assimilato. Nel caso in cui esso sia assunto, è nulla sia la fase provvedimentale
antecedente (il conferimento dell’incarico dirigenziale o assimilato), ex art.
21 septies legge 241/1990, in ragione della mancanza
dell’elemento essenziale del requisito soggettivo legittimante la nomina),
sia quella negoziale successiva ( la stipula del contratto),
ex art. 1418, comma 1, c.c, per violazione di norme imperative
Se il Responsabile della prevenzione della
corruzione individua un dirigente il cui rapporto lavorativo è inficiato da una
causa di incompatibilità, egli ha l’obbligo di contestarla a
questi, che entro i 15 giorni successivi ha il dovere di rimuoverla
(ossia rinunciare all’altro incarico incompatibile con quello svolto, salvo non
decida di dimettersi da questo). In caso contrario, il Responsabile disporrà la
decadenza dall’incarico e la conseguenziale risoluzione del contratto
dirigenziale o assimilato.
Un vizio che potrebbe essere sussunto in
seno alla categoria delle cause di inconferibilità, qualificabili come
successive, è quello che secondo terminologia anglosassone è definito revolving
doors, e pantouflage secondo quella francese.
L’art. 1, comma 42, legge 190/2012, ha
introdotto nell’art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, il
comma 16 ter destinato a contenere il rischio di situazioni di
corruzione connesse all’impiego del dipendente successivamente alla cessazione
del rapporto di lavoro pubblico: “I dipendenti che, negli ultimi tre
anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto
delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono
svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico
impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati
destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta
attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in
violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto
ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le
pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione
de compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.”.
La riportata norma, nell’esplicitare la
nullità del vincolo contrattuale viziato da pantouflage
-revolving doors, conferma la ascrivibilità in tale invalidità anche della
inconferibilità, in quanto il pantouflage -revolving doors non
è altro che una causa di inconferibilità, applicata
successivamente alla cessazione del rapporto di pubblico impiego e
all’insorgere del vincolo contrattuale privato.
Come prima sinteticamente riportato, fra
le tre condizioni da cui scaturisce la causa della inconferibilità, v’è
quella afferente incarichi a soggetti provenienti da enti di diritto privato
regolati o finanziati dalle Pubbliche Amministrazioni. Nel caso di pantouflage
-revolving doors v’è un inversione dei momenti la cui interconnessione
funzionale determina la nullità del binomio provvedimento- contratto.
Mentre nel primo caso è inconferibile l’incarico dirigenziale pubblico a colui
che proviene da un ente di diritto privato vigilato, controllato, partecipato o
finanziato dalla struttura statuale o di altra natura assegnante
l’incarico, nel secondo caso avviene l’inverso: è all’organismo
privato che è fatto divieto di stipulare contratti con soggetti che negli
ultimi tre anni di servizio, prima della cessazione, hanno esercitato poteri
autoritativi o negoziali per conto delle Pubbliche Amministrazioni. E’ nullo il
contratto stipulato fra il soggetto privato e chi versa in questa ultima
condizione (che potremmo qualificare “inconferibilità successiva e di
natura privatistica”), al pari della nullità che vizia per
inconferibilità il plesso incarico-contratto conferito dal soggetto pubblico a
chi proviene da organismi privati, con modalità che si atteggiano diversamente,
legati al primo (che potremmo definire “inconferibilità originaria e di natura
pubblica”[18]).
La particolarità della
inconferibilità successiva si concreta nella prohibitio
circoscritta nel tempo, id est per tre
anni dalla cessazione del rapporto di impiego pubblico, per i dipendenti
che hanno esercitato nel triennio ad esso precedente poteri autoritativi
o negoziali per conto delle Pubbliche Amministrazioni, di cui
all’art. 1, comma 2, d.lgs. 165/2001; tre anni è anche il lasso di tempo
in costanza del quale è impedito alle Pubbliche Amministrazioni di contrattare
con i soggetti privati, resisi responsabili di aver concluso o conferito
contratti in violazione dei cennati termini.
(whistleblower[19]) Figura
che ci si augura di particolare efficacia nel contrasto alla corruzione è il whistleblower.
L’art. 1, comma 51, legge 190/2012,
ha aggiunto successivamente all’art. 54 d.lgs. 165/2001, l’art. 54 bis,
che recita così:
1.“ Fuori dai casi di responsabilità a
titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi
dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia alla
autorità giudiziaria o alla Corte dei Conti, ovvero riferisce al proprio
superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in
ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o
sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti
sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente
alla denuncia.
2. Nell’ambito del procedimento
disciplinare, l’identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo
consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su
accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la
contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l’identità
può essere rilevata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per
la difesa dell’incolpato.
3. L’adozione di misure discriminatorie è
segnalata al Dipartimento della Funzione Pubblica, per i provvedimenti di
competenza dall’interessato e dalle organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative nella amministrazione nella quale le stesse sono state poste in
essere.
4. La denuncia è sottratta all’accesso
previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e
successive modificazioni.”.
La disposizione è strutturata in tre
norme:
- la tutela dell’anonimato;
- il divieto di discriminazione nei confronti del whistleblower;
- la previsione che la denuncia sia sottratta al diritto
di accesso, ad esclusione delle ipotesi descritte nel comma 2 del nuovo
art. 54 bis d.lgs. n. 165 del 2001, ove sussista la necessità
di disvelare l’identità del denunciante (il Legislatore adopera la stessa
terminologia usata nel comma terzo dell’art. 200 c.p.p.,in merito alla
tutela del segreto professionale dei giornalisti professionisti in sede
di esame testimoniale nel procedimento/processo penale).
La ratio della norma è
quella di evitare che il dipendente ometta di effettuare segnalazioni di
illecito per il timore di subire conseguenze pregiudizievoli.
La disposizione tutela, pertanto,
l’anonimato, modulando con gradazioni diverse tale garanzia, a seconda
della tipologia di procedimento che la segnalazione fa sorgere, oltre
alla valutazione sulla portata probatoria della segnalazione, se
sia supportata o meno da altro elemento estrinseco ad essa, di natura
documentale e/o testimoniale.
(trasparenza e pubblicità[20]) Il whistleblower si
inserisce nell’ordito pensato dal Legislatore per aprire un canale di
ascolto virtuoso con il personale pubblico “sano” (che rappresenta la
parte maggioritaria dei dipendenti, nonostante la martellante campagna
mediatica), in attuazione alle raccomandazioni compiute dal Piano Nazionale
Anticorruzione.
Obiettivo strategico del Piano è la
emersione dei fatti di cattiva amministrazione e dei fenomeni corruttivi,
tramite il coinvolgimento dei destinatari della azione
amministrativa in questa opera di disvelamento delle illeceità e di miglioria
delle condotte perseguenti gli interessi generali. Il dialogo con la c.d.
società civile può implementare il rapporto di fiducia fra sfera pubblica e
privata, da cui può derivare l’emersione di fenomeni delittuosi che,
altrimenti, rischierebbero di rimanere sottaciuti. Ruoli chiave possono
essere svolti dagli Uffici di Relazione con il Pubblico (U.R.P, istituiti
in forza dell’art. 11 dell’ abrogato d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, assorbito
nell’art.11, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), che rappresentano per missione
istituzionale la prima interfaccia con l’”utenza”.
Il contatto fra U.R.P, organo della
singola amministrazione, con l’”esterno”, deve stimolare, nei
portatori di interesse e nei rappresentanti delle categorie professionali
e di consumatori, una volontà propositiva in merito alla azione dell’ente
pubblico, anche al fine di migliorarne la tattica di lotta alle condotte lesive
degli interessi collettivi statuali e pubblici.
In seno a tale diversa concezione del
rapporto fra apparato giuspubblicistico e soggetti privati, la trasparenza deve
dominare come misura di prevenzione della corruzione, in quanto è strumento
di vigilanza e controllo da parte dei privati in ordine allo
svolgimento, corretto e rispettoso dei principi e della legislazione, dei
procedimenti amministrativi e alla adozione, al termine di essi, del
provvedimento finale.
Il controllo e la vigilanza avviene grazie
ad una accessibilità totale alle informazioni concernenti
l’organizzazione della amministrazione e la sua attività
Nel d.lgs 14 marzo 2013, n. 33, è stato
introdotto l’obbligo per ogni Pubblica Amministrazione e per le società da essa
partecipate, controllate o vigilate (alle quali debbono essere parimenti
applicate la legge 190/2012), di dotarsi di un programma triennale per la
trasparenza, al fine di definire i mezzi, i modi e le iniziative, volti
alla attivazione degli obblighi di pubblicazione normativamente previsti.
Tale programma, funzionalmente
correlato al piano di prevenzione della corruzione, è redatto dal
Responsabile della trasparenza che, come precedentemente detto, di norma
coincide nella persona del Responsabile della prevenzione della corruzione.
Egli svolge stabilmente una attività di controllo sugli adempimenti degli
obblighi di pubblicazione, assicurandone la completezza, la chiarezza e
l’aggiornamento delle informazioni pubblicate.
I
documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria
devono essere pubblicati in formato aperto, nonché riutilizzabili senza
ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo di citare la fonte e di rispettarne
l’integrità.
Sul sito web istituzionale delle
Amministrazioni è opportuno vi siano riportati anche dati non obbligatori, ma
ritenuti utili per cittadini e associazioni.
Le informazioni pubblicate debbono essere
agevolmente accessibili da chiunque, con una facile comprensibilità del
contenuto dal quisque de populo.
Dati,
documenti e informazioni, pertanto, possiedono i seguenti requisiti:
· completezza e accuratezza, ossia corrispondenti a ciò
che si vuole descrivere, nonché la pubblicazione deve essere esatta e senza
omissioni;
· comprensibilità: ossia la esplicitazione del contenuto
deve essere chiara ed evidente. Occorre evitare la frammentazione della
informazione, ossia l’inserimento delle stesse tipologie di dati in punti
diversi del sito;
· aggiornamento, con la indicazione della data e con la
costante cronologica revisione;
· tempestività, con la loro immissioni in tempo
reale o, comunque, il più rapidamente possibile;
· open data,
ovverosia raggiungibilità diretta dalla home page o dalla
pagina di indicazione dei medesimi.
Vi deve essere un bilanciamento fra il
diritto alla massima trasparenza e quello alla riservatezza dei soggetti a cui
dati, informazioni e documenti si riferiscono, avendo entrambi i diritti pari
dignità costituzionale e lo stesso rango all’interno del diritto europeo.
Precipitato giuridico è il divieto di
pubblicare elementi “idonei a rivelare
l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro
genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od
organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico, o sindacale”
(c.d. sensibili), a cui l’art. 4, comma 1°, lett. d), del codice della privacy
(d.lgs. 30 giugno 2003, n. 193) affianca quelli c.d. supersensibili
relativi a salute e sfera sessuale; nonché il
divieto di trasparenza per notizie di natura giudiziaria (casellario
giudiziale, qualità di imputato o indagato, et similia)[21].
(accesso civico[22]) L’accesso
civico, introdotto dall’art. 5 d.lgs. 33/2013, è lo strumento
complementare all’obbligo appena trattato.
Tale ius novum consente
a chiunque, senza alcuna limitazione in relazione alla legittimazione
soggettiva, gratuitamente e senza alcuna motivazione, di richiedere
documenti, informazioni o dati su cui vige l’obbligo di pubblicazione.
L’amministrazione ha l’obbligo di
provvedere perentoriamente entro trenta giorni dalla richiesta, con le seguenti
modalità:
· pubblicazione sul sito istituzionale del documento,
della informazione o del dato richiesto;
· trasmissione del materiale oggetto della richiesta al
richiedente o comunicazione della avvenuta pubblicazione, unitamente al
relativo collegamento ipertestuale;
· indicazione al richiedente del collegamento
ipertestuale ove reperire il documento, il dato o l’informazione, già
precedentemente pubblicato.
Scaduti i trenta giorni, Il Responsabile
della trasparenza ha l’obbligo di segnalare il responsabile della
inottemperanza (ossia il preposto all’ufficio competente alle pubblicazioni)
alla struttura interna tributaria del potere disciplinare, oltre agli organi di
indirizzo politico per l’attivazione di ulteriori procedure di accertamento di
diverse responsabilità (civile, erariale, contabile, penale, amministrativa).
Unico punto di contatto fra l’accesso
civico ex art. 5 d.lgs. 33/2013 e quello di accesso, ai sensi degli artt.
22 e seguenti legge 241/1990, è il termine di trenta giorni entro il
quale l’Amministrazione deve mettere a disposizione dell’istante il documento[23].
Infatti, mentre il primo istituto non
pone alcuna restrizione nella legittimazione attiva, alcuna specifica
correlazione tra il soggetto richiedente e quanto richiesto, alcun pagamento di
contributi o tasse, alcun limite all’esercizio di tale diritto, alcuna
specifica configurazione del petitum, potendo consistere in un
documento, informazione o dato, il diritto garantito dalla legge 241/1990,
essendo collocato fra i confini della disciplina del procedimento
amministrativo, pone una serie di limiti ai profili sopra evidenziati: ”In
tema di accesso agli atti amministrativi, qualora una Pubblica Amministrazione
detenga un documento amministrativo la cui conoscenza sia in grado di
soddisfare la posizione giuridicamente protetta di un determinato soggetto, nel
senso che esiste un rapporto di strumentalità tra la conoscenza del documento
(mezzo per la difesa degli interessi) ed il fine (effettiva tutela della
situazione giuridicamente rilevante della quale il richiedente è portatore),
allora il soggetto stesso è facoltizzato ad ottenere l’esibizione. Infatti, ai
fini dell’accesso, occorre un rapporto tra il documento ed il richiedente
l’esibizione, tale da differenziare la posizione di questi rispetto a qualunque
altro soggetto, poiché l’accesso non può essere richiesto per ragioni meramente
informative o ispettive[24].”
Effetti
derivati da tale impostazione sono la possibilità di differire
motivatamente e per un lasso di tempo specificamente determinato
l’accesso, di escluderlo in casi tassativamente previsti da norme legislative o
regolamentari, di fissare le regole per addivenire ad esso e, infine, la
configurabilità della categoria di “documento”, molto più ristretta rispetto a
quanto possa essere oggetto dell’accesso civico.
(suggerimenti della Commissione europea)
Per la Commissione europea[25] l’approvazione
da parte del Parlamento italiano della legge anticorruzione 190/2012
segna un importante passo in avanti nel contrasto al fenomeno.
La nuova normativa[26] dà
rilievo a politiche di prevenzione mirate a potenziare la responsabilità (accountability)
dei pubblici ufficiali e della classe politica e a riequilibrare l’onere della
lotta anticorruzione, che attualmente grava quasi esclusivamente sulle forze
dell’ordine e sulla magistratura. Tuttavia, nonostante il profondo impegno
profuso dalla Corte dei conti[27], dagli organi di
contrasto, dalle procure e dai giudici, la corruzione in Italia rimane un
problema serio. La nuova ondata di scandali di corruzione, che hanno coinvolto
una serie di cariche elettive regionali, ha fatto luce sul finanziamento
illecito dei partiti politici e delle campagne elettorali e ha rivelato
infiltrazioni mafiose, anche se sono tuttora rari i casi in cui sanzioni
dissuasive vengono realmente comminate a pubblici ufficiali di alto rango. Il
regime restrittivo della prescrizione continua a ostacolare l’accertamento nel
merito dei casi di corruzione.
La disciplina sul conflitto di interessi e
sui finanziamenti ai partiti politici è, per la Commissione europea,
insoddisfacente sotto alcuni aspetti. Gli appalti pubblici e il settore privato
continuano a essere settori a rischio, malgrado le misure fin qui adottate. In
generale occorrono ulteriori sforzi per garantire un’applicazione e un
monitoraggio efficaci del quadro legislativo anticorruzione, compresi i decreti
legislativi, in modo da garantire un impatto sostenibile sul campo.
La Commissione, pertanto, suggerisce di
dare maggiore attenzione ai seguenti aspetti:
- rafforzare il regime di integrità per le cariche
elettive e di governo nazionali, regionali e locali, anche con codici di
comportamento completi, strumenti adeguati di rendicontazione e sanzioni
dissuasive in caso di violazione;
- vagliare l’opportunità di spronare i partiti politici
ad adottare codici di comportamento e di promuovere patti deontologici tra
partiti e gruppi politici;
- rafforzare il quadro giuridico e attuativo sul
finanziamento ai partiti politici, soprattutto per quanto riguarda le
donazioni, il consolidamento dei conti, il coordinamento e adeguati poteri di
controllo sul finanziamento dei partiti e l’applicazione di sanzioni
dissuasive;
- colmare le lacune della disciplina della prescrizione,
come richiesto dalle
raccomandazioni rivolte all’Italia a
luglio 2013 nel quadro del semestre europeo, vagliando la modifica della
normativa sulla decorrenza dei termini di prescrizione (anche escludendo le
istanze d’appello dai termini di prescrizione) e l’adozione di norme più
flessibili sulla sospensione e sull’interruzione;
- valutare il rischio di prescrizione per i procedimenti
in corso per reati di corruzione e dare priorità ai procedimenti che presentano
tale rischio;
- estendere i poteri e sviluppare la capacità
dell’autorità nazionale anticorruzione CIVIT in modo che possa reggere
saldamente le redini del coordinamento e svolgere funzioni ispettive e di
supervisione efficaci, anche in ambito regionale e locale;
- garantire un quadro uniforme per i controlli interni e
affidare la revisione contabile della spesa pubblica a controllori esterni
indipendenti a livello regionale e locale, soprattutto in materia di appalti
pubblici;
- garantire un sistema uniforme, indipendente e
sistematico di verifica del
conflitto di interessi e delle
dichiarazioni patrimoniali dei pubblici ufficiali, con relative sanzioni
deterrenti[28];
- rendere più trasparenti gli appalti pubblici, prima e
dopo l’aggiudicazione, come richiesto dalle raccomandazioni rivolte all’Italia
a luglio 2013 nel quadro del semestre europeo. Questo obiettivo potrebbe essere
raggiunto ponendo l’obbligo per tutte le strutture amministrative di pubblicare online i
conti e i bilanci annuali, insieme alla ripartizione dei costi per i contratti
pubblici di opere, forniture e servizi, in linea con la normativa
anticorruzione[29];
- considerare di conferire alla Corte dei Conti il
potere di effettuare controlli
senza preavviso;
- garantire il pieno recepimento ed attuazione della
decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la
corruzione nel settore privato;
- vagliare la messa a punto di dispositivi preventivi e
di monitoraggio della
corruzione per le imprese che operano in
settori, come la difesa e l’energia, in cui casi di corruzione transnazionale
su larga scala hanno evidenziato l’esposizione al fenomeno.
(conclusioni) Alla domanda posta
dal titolo del presente scritto non può essere fornita, almeno per ora, una
adeguata e seria risposta. Le singole amministrazioni statali, le regioni, gli
enti locali e le università, stanno approvando i Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione e
provvedendo ad attivare le procedure sul solco stagliato dalla esaminata
normazione. Unicamente a seguito della conclusione di questi processi, si
potrà comprendere al meglio se l’ordinamento italiano abbia intrapreso la
strada giusta verso una effettivo cambio di marcia di tipo etico, oltre per il
raggiungimento di un apparato pubblico maggiormente efficientista nelle sue più
disparate articolazioni[30].
Fabrizio Giulimondi
[1] Commissione europea, Relazione presentata al
Parlamento europeo il 6 giugno 2011 in G.U. Unione Europea C 190/2 del 30
giugno 2011; Rapporto dell’Economic Index Forum per il 2011 in Osservatorio
sulla legalità – La legalità ambigua, a cura di G.Acocella, G.Giappichelli
editore; Corte dei Conti – Relazione inaugurale anno giudiziario 2012 in
www.cortedeiconti.it.
[2] La Commissione europea, nella relazione citata
nella nota precedente, stima che la corruzione costi alla economia della U.E.
120 miliardi di euro l’anno, ovvero l’1% del P.I.L. della U.E. e poco meno del
bilancio annuale della Unione Europea.
[3] G.U., serie generale, n. 265 del 13 novembre
2012.
[4] Convenzione civile sulla corruzione del 4
novembre 1999, recepita con legge 28 giugno 2012, n. 112; Convenzione penale
sulla corruzione del 27 gennaio 1999, recepita con legge 28 giugno 2012, n.
110.
[5] Eccettuata la presente normativa, le convenzioni
europee, finora, non sono state ratificate dall’Italia e non si è ancora
intervenuti sui punti nevralgici del sistema, così come testualmente
prescrivono le norme internazionali in tema di trasparenza della
contabilità e dei flussi finanziari.
[6] Marina Castellaneta, “Protezione e premi per
chi segnala i fatti illeciti: disposizioni operative già dal 28 novembre 2012”,
in Guida al Diritto, n. 47 del 24 novembre 2012.
[7] Gaetano De Amicis, “Cooperazione giudiziaria
e corruzione internazionale, Verso un sistema integrato di forme e strumenti di
collaborazione tra le autorità giudiziarie”, in Quaderni di diritto penale
comparato, internazionale ed europeo, Giuffrè editore.
[9] Art. 19 (Soppressione dell’Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e
definizione delle funzioni dell’Autorità nazionale anticorruzione) del
decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale -
n. 144 del 24 giugno 2014), convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114,
recante: “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa
e per l'efficienza degli uffici giudiziari.” (in Gazzetta Ufficiale Serie
Generale n.190 del 18-8-2014 - Suppl. Ordinario n. 70): "Le attribuzioni della
Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture
(A.V.C.P.) sono conferite alla Autorità
Nazionale Anti Corruzione e per la valutazione e la trasparenza.".
[10] http://www.unodc.org.
[11] Comitato di studio sulla prevenzione della
corruzione, rapporto al Presidente della Camera dei Deputati, 23 ottobre 1996,
in www.diritto.it.
[12] G.U., serie generale, n. 80 del 5 aprile 2013.
[13] Piano di grande importanza, visto che lo Stato
perde tra costi della corruzione e l’evasione fiscale una ingente quantità di
denaro: circa 60 miliardi di euro secondo i calcoli compiuti dal SAeT del
Dipartimento della Funzione Pubblica (relazione 2008 Trasparency; relazione al
Parlamento n. XXVII n. 6 in data 2 marzo 2009 del Ministro della Pubblica
Amministrazione).
[14] Secondo il rapporto dell’Economic Index Forum
per il 2011, la corruzione e la criminalità organizzata, proprio nel settore
degli appalti di lavori, forniture e servizi pubblici, costituiscono i maggiori
freni per chi vuole investire in Italia e in particolare nel Meridione.
[15] Claudio Marchetta, “La legislazione italiana
sul conflitto di interessi”, 2013, Giuffrè.
[16] Cosmai, Paola, “La nuova disciplina
delle incompatibilità dopo la legge anticorruzione.”, 2013, Azienditalia;
Lealini Valentina, “La legge anticorruzione e l’inasprimento del regime
delle incompatibilità per l'esercizio di attività extraufficio.”,
2013, Informator.
[17] G.U., Serie Generale, n. 92 del 19 aprile 2013.
[18] Sulla stessa linea di pensiero Giuseppe Caruso,
“Un vademecum con doveri e divieti per i dipendenti”, in Guida al
Diritto,cit..; Rocco Galli, “Corso di diritto amministrativo”,
CEDAM; Mordenti, Marco, Pasquale Monea, “Inconferibilità e incompatibilità
di incarichi presso le PA.” Guida al pubblico impiego 10(7/8), 2013.
[19] Bernardo Giorgi, “Il nuovo codice di
comportamento dei dipendenti pubblici.”, in Giornale di diritto
amministrativo 10/2013; Renato Ruffini,. “L’evoluzione del sistema dei
controlli interni negli enti locali alla luce della legge n. 190/2012 in tema
di corruzione”, Azienditalia, 2013.
[20]Francesco Tentoni, “Trasparenza ‘riservata.”,
Azienditalia, Il personale 2013-10(5); Vincenzo Testa, “Nasce
dalle ceneri dell’art. 11 della ‘150’ il nuovo Codice della
trasparenza.”, in Guida al pubblico impiego 2013-10(3); Sarah Ungaro,
, “Digitalizzazione e trasparenza: il difficile cammino verso
un’amministrazione apert.” Guida al pubblico impiego 2013-10(4); Stefano
Usai, “Obblighi di pubblicità/trasparenza nel nuovo d.lgs. 33/2013 e la
previsione dell’indennizzo da ritardato procedimento nel ‘decreto del fare’
69/2013.”, Comuni d’Italia 2013-50(4).
[21] Riccardo Acciai, “Privacy e banche dati
pubbliche. Il trattamento dei dati personali nelle pubbliche amministrazioni”,
Cedam, 2013.
[22] Marco Magri “Diritto alla trasparenza e
tutela giurisdizionale” in Istituzioni del Federalismo 2/2013.
[23] Pietro Burla, Giorgio Fraccastoro, “Il
diritto di accesso ai documenti della Pubblica Amministrazione”, prefazione
di Vincenzo Cerulli Irelli, Laurus Robuffo.
[24] T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 29 dicembre 2008,
n. 3007.
[25] Relazione della Commissione al Consiglio e al
Parlamento europeo – Relazione della Unione sulla lotta alla corruzione, 3
febbraio 2014, COM(2014) 38 final, Annex 12.
[26] La crisi economica rende le misure
anticorruzione particolarmente urgenti, considerati i danni che tale condotta
delittuosa arreca alla società italiana ed europea in termini economici,
sociali e politici, a causa della diminuzione dei livelli di investimento,
dell’ostacolo al corretto funzionamento del mercato interno e la negativa
incisione sulla finanza pubblica.
[27] Per la magistratura contabile quella contro la
corruzione, latamente intesa, rappresenta davvero una battaglia impari: basti
pensare che a fronte del costo plurimiliardario del fenomeno in parola, la
corte dei Conti nel 2011 è riuscita ad infliggere condanne in primo grado per
soli 75.254.141,70 euro, mentre in seconde cure sono state definitivamente confermate
condanne per l’importo di euro 15.050.803,58, in relazione ai giudizi trattati
negli anni precedenti (Corte dei Conti -relazione inaugurale anno giudiziario
2012).
[28] M.Ceratti, “L’evoluzione della dirigenza
pubblica, attraverso il decreto Brunetta (d.lgs. 150/2009) e la legge
anticorruzione (l. 190/2012) in Il Mondo Giudiziario n. 2 del 13
gennaio 2014.
[29] “L’elevato tasso di complicazioni
amministrative del sistema italiano non solo ostacola la libertà di impresa, ma
alimenta esso stesso la corruzione, utilizzata dalle imprese e dai cittadini
come strumento di semplificazione o aggiramento dei vincoli burocratici.”.(
Corte dei Conti – Relazione inaugurazione anno giudiziario 2012).
[30] La “Relazione anticorruzione della UE”,
istituita dalla Commissione U.E. nel documento di cui alla nota 1), avente lo
scopo di monitorare e valutare gli interventi messi in atto dagli Stati membri in
subiecta materia, sarà il banco di prova per L’Italia – e non solo – per
comprendere al meglio se le azioni legislative, regolamentarli e di
altra natura siano state corrette ed efficaci per l’effettivo ridimensionamento
del fenomeno.
-
Nessun commento:
Posta un commento