Quando
bellezza e brutalità si accoppiano: nel film di Steve McQueen “12 anni schiavo”,
alla straordinaria bravura degli attori e, primo fra tutti, di Chiwetel Ejofor che interpreta Solomon Northup, protagonista della
agghiacciante vicenda tratta da una storia vera e raccontata dallo stesso
Solomon nell’omonimo libro pubblicato nel 1853, si accostano molteplici scene dure,
ruvide, autentici pugni allo stomaco.
Solomon
è un abile violinista di colore,
cittadino libero residente nei pressi di New York, felicemente sposato con due
figli, che all’improvviso si trova
sequestrato da una banda di criminali schiavisti, che, per dodici anni, dal 1841 al 1853, lo
tengono a lavorare brutalizzandolo nei
campi di cotone, antesignani dei campi
di concentramento nazionalsocialisti, dei gulag sovietici e dei laonai cinesi.
La
normalità di bambini che giocano o uomini e donne timorati di Dio che pregano
mentre ogni sorta di violenza fisica e morale, stupri, fustigazioni, impiccagioni o “semi-impiccagioni”,
comportamenti privi di una minimale umanità,
avviene e si muove intorno a loro, vicino a loro.
Schiavisti
che si alternano fra ferocia inaudita e qualche barlume di pietà sono i “padroni”
di Solomon, che con pervicacia inesauribile tornerà dalla famiglia, in un lungo, struggente, silenzioso, abbraccio.
Spiritual
e gospel fanno da colonna sonora, canti che mostrano una straordinaria fede in
un Dio che pare non guardare i cantori neri, mentre i “bianchi” snocciolano
litanie pregne del sangue e dell’immane sofferenza che essi provocano su
milioni di esseri umani, colpevoli di avere un differente colore della pelle.
L’opera
merita le nove nomination alla prossima Notte degli Oscar (miglior film, regista,
attore protagonista, attore non protagonista, attrice non protagonista,
sceneggiatura originale, montaggio, scenografia, costumi) e i Premi già vinti (Golden Globe come migliore film drammatico; i B.A.F.T.A. come miglior film e attore
protagonista; i Critic’s Choise Movie Award come miglior film, attrice non
protagonista e sceneggiatura; lo Screen Actor Choice Award come miglior attrice
non protagonista).
La pellicola
si inserisce nel filone di altri grandi produzioni cinematografiche, come Amistad
e Lincoln
(quest’ultimo già recensito in questa stessa Rubrica e che consiglio di leggere
per il tratteggio del periodo storico) di Steven Spielberg e Django
unchained di Quentin Tarantino, il cui splatter
ricorda i metodi belluinamente crudeli utilizzati
dagli schiavistici aguzzini in “12 anni
schiavo”.
La
fotografia è suggestiva, contrapponendosi la bellezza degli scenari e dei
tramonti, all’orrore quotidiano vissuto dai nigger.
Fabrizio Giulimondi
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