Agli
amanti e studiosi della storia della seconda guerra mondiale suggerisco vivamente
una corposa biografia di Luciano Berti
“La guerra tradita. 1940-1945. Diario
dal fronte di un ufficiale di artiglieria”, curata da Cristina Di Giorgi (Mursia),
basata su un opuscolo inedito scritto dallo stesso Berti e intitolato “L’ultima
difesa (1945). Appunti degli ufficiali di artiglieria presenti nella Valle di
Larche e alla Maddalena”.
Quella
di Berti è un’opera densa, intensa, che non lascia spazio all’ immaginazione e
all’inventiva.
Dettagliata
e puntuale, la narrazione saggistica racconta le vicende personali e d’armi di
un giovane ragazzo del 1920, che attraversa una porzione del “secolo breve”: la
campagna d’Albania (1939-1943); la guerra in Jugoslavia iniziata nell’aprile
del 1941 a seguito della dichiarazione di guerra mussoliniana del 10 giugno
1940; l’8 settembre 1943; l’addestramento in Germania e l’esperienza presso la divisione
“Littorio” della Repubblica Sociale
Italiana; la cattura ad opera delle truppe francesi e la prigionia come milite
“repubblicano”; il ritorno dopo quarantacinque anni nei luoghi di guerra insieme
ai nemici di un tempo.
Racconto
asciutto, severo, austero, talora garbatamente ironico, non incline a
sentimentalismi e stati emozionali, con un cangiante retrogusto che, a seconda
della pagina letta, sembra allappare il palato, o irritarlo con un sentore
acidulo, o blandirlo e ammiccarlo con un tocco di dolcezza, o bruciarlo con una
violenta e inaspettata sensazione di piccante, o pungerlo con aculei dolorosi.
Il lettore sentirà il gelo e le sofferenze e la durezza della vita militare e
l’aspro terreno dove i soldati riposavano; il ricordo, pur nella diversità stilistica,
narrativa e di approccio umano, andrà fatalmente a Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi.
Mai
pentito, fiero della propria storia, indomito nelle proprie idee, con un
granitico senso del dovere come tanti della sua generazione, in un mondo dove
essere un imperituro voltagabbana è un valore, Luciano Berti è un uomo che ha combattuto per la sua Patria,
patriota avversato da altri patrioti, fascista, camicia nera, ieri ed oggi,
come un marchio indelebile in mezzo ad indolenza, codardia e ignavia, macabro leitmotiv della esistenza di molte,
troppe persone.
Amara
la conclusione: “Il piccolo gruppo di
veterani della «Littorio», ritornato in Patria,
non può fare a meno di contrapporre lo squallore esistente in Italia per ogni
manifestazione di spirito patriottico o di ricordo, essendo ancora vigenti
assurde discriminazioni e negazione di ogni valutazione positiva del servizio
prestato dai combattenti della Repubblica Sociale Italiana”.
Fabrizio Giulimondi
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