Sono d’accordo con Niccolò Ammaniti: “Ogni lettore si fa un proprio film con il libro che sta leggendo”.
“Fai bei sogni”, libera trasmigrazione
filmica di Marco Bellocchio del
bellissimo romanzo autobiografico di Massimo
Gramellini, probabilmente non è la pellicola che avrei tirato fuori io,
anche se inonda di emozioni violente lo spettatore.
Il
libro di Gramellini (di cui riporto a
piè di pagina la recensione al tempo redatta) tratta un tema tragico in maniera
poetica, lieve, talora quasi leggiadra, mentre la narrazione di Bellocchio è angosciante, carica di scene
che scuotono il pubblico sino a copiosi singulti.
Le
stesse tinte che signoreggiano la fotografia sono pallide, smorte, tendenti quasi
al bianco e nero.
La
storia, fra passato e presente, è intensa, densamente drammatica, trasudante un
commovente amore per la mamma , anzi le mamme tutte. La versione cinematografica
di “Fai bei sogni” esplora un vuoto incolmabile,
inenarrabile ed inaccettabile, specie per un ragazzino di nove anni e per l’uomo
che diventerà.
La lettura
della missiva che Gramellini scriverà in risposta ad un lettore de “La Stampa”
che si lamentava della propria madre con toni particolarmente aspri, ferma, durante
tutta la sua durata, il tempo e lo spazio.
Suggestivo
il richiamo, tramite le ripetute apparizioni di Belfagor immaginate dal
protagonista, alla Morte così come raffigurata ne Il settimo sigillo di Bergman.
Gli
attori sono tutti ineguagliabili per bravura e potenza degli sguardi, delle
espressioni mimiche, della capacità recitativa e dei silenzi.
Valerio Mastrandrea è
impareggiabile e i giovani attori che interpretano Gramellini bambino e ragazzo , Nicolò
Cabras e Dario del Pero, sono
fuori dal comune: entrambi esprimono nella loro corporeità l’indicibile
sofferenza che stanno vivendo e che segnerà il famoso giornalista. La durezza
sabauda del padre è magistralmente mostrata da Guido Caprino.
L’altalenante
musica fra il ruvido e lo spensierato penetra nelle immagini per giungere non solo
alle orecchie, ma soprattutto al cuore, alla mente e all’anima.
Fai
bei sogni…………...
Fabrizio Giulimondi
Recensione
del libro
“Se
un sogno è il tuo sogno, quello per cui sei venuto al mondo, puoi passare la
vita a nasconderlo dietro una nuvola di scetticismo, ma non riuscirai mai a
liberartene. Continuerà a mandarti dei segnali disperati, come la noia e
l’assenza di entusiasmo, confidando nella tua ribellione”.
E’
una delle 223 pagine del romanzo autobiografico di Massimo Gramellini “Fai bei
sogni” (Longanesi); è una delle 223 pagine che costellano un libro di rara
bellezza contenutistica e di rara profondità, paragonabili solamente alle opere
di Marcello Veneziani.
Pagine
commoventi, emozionanti, toccanti, delicate e tenere e, poi, ironiche nel
dramma, divertenti nella tragicità del racconto, leggere nella drammaticità
della narrazione. Pagine che ricordano il drama greco che toccava le corde
dell’anima e del cuore, senza infierire con la violenza e il sangue.
Pagine
intense che descrivono come possa determinarsi la vita di un bambino sino
all’età adulta privato della mamma, una madre che è morta quando egli aveva
appena 9 anni a causa di un infarto.
Quel
fanciullo è Gramellini, che ha avuto il coraggio di raccontare la sofferenza,
il dolore e la disperazione nascosta nelle anse più intime di se stesso; come
quel bimbo insieme al suo peso sia diventato l’affermato giornalista del
quotidiano la Stampa di Torino e il noto polemista televisivo che noi
conosciamo; quale percorso professionale abbia attraversato, dallo sport, alla
politica, ad inviato di guerra nell’inferno di Sarajevo, dove incontra Salem,
con lo stomaco squarciato da una pallottola sparata da un cecchino serbo. E
tutto questo mentre Belfagor è dentro di lui: ”Belfagor è il nome che da
bambino avevo dato al mostro che abita dentro di noi. Uno spiritaccio animato
da buone intenzioni, in realtà pernicioso, perché pur di tenerci lontano dalla
sofferenza ci chiude in una gabbia di paure. Paura di vivere, di amare, di
credere nei propri sogni”.
L’assenza
della mamma, la morte della madre, ha segnato profondamente sino alla età di 49
anni Massimo Gramellini, anche nelle sue relazioni con le donne, finché non ha
incontrato la attuale moglie, Elisa. Ecco il suo cuore risuscitato come parla
dei sentimenti: ” Le emozioni sono violente e brevi, colpiscono e svaniscono. I
sentimenti invece sono lenti e profondi, a volte noiosi. Ma parlano il
linguaggio universale del cuore, che non si esprime attraverso le parole e i
ragionamenti, ma con i simboli”.
E
sopraggiunge la verità, fatalmente ed ineluttabilmente la verità, non
conosciuta sino alla soglia dei 50 anni o, forse, sempre saputa e fuggita per
lungo, troppo, tempo. Madrina, una vecchia amica della madre e della famiglia,
gli consegna una busta……
Turbamento
e rigenerazione è quello che ho provato al termine della lettura di questo
libro “unico”: è un imperativo kantiano immergervisi!
Credo
che lo rileggerò almeno un’altra volta.
Vorrei
terminare con un pensiero di George Bernard Shaw, ripreso dallo stesso Autore
del romanzo: “La missione di un uomo consiste nell’essere una forza della
natura e non un grumo agitato di guai e di rancori che recrimina perché
l’universo non si dedica a renderlo felice”.
Fabrizio Giulimondi
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