Nelle
librerie v’è una biografia romanzata a forma di ballata, “Qualcosa
sui Lehman”(Mondadori), scritta
da un autentico genio artistico italiano, Stefano
Massini, che demolisce i consueti canoni stilistici e saltella fra
letteratura, cinema, fumettistica, musica, giudaismo, finanza e due secoli di
storia.
“Qualcosa
sui Lehman” è una summa di
linguaggi e di culture letterarie che abbraccia Grecia e futurismo. La varietà
di epiteti e di poliformi figure
letterarie scoppiettano con pirotecnici usi polifonici della parola. Massini è l’acrobata delle parole con
cui gioca e si diverte con il lettore facendogli attraversare avvenimenti
bisecolari che hanno coinvolto la potente e numerosa gens di finanzieri americani Lehman (i Lehman Brothers). Massini induce
il suo pubblico a dipanarsi fra i marosi di arditismi linguistici e fantasiose
architetture retoriche. Il lettore, avido di sapere “come va a finire”, in
alcuni momenti inconsapevolmente accantona la narrazione per seguire
costruzioni funamboliche per intere pagine ruotanti intorno all’avverbio NON; affascinato
si perde nel serrato dialogo duettante fra Peter Lehman e Peggy Rosenbaum,
tutto composto di frasi estrapolate da film cult
degli anni ’30 e ’40; si stupisce dinanzi all’improvvisa trasformazione della
prosa in fumetti che tramutano magicamente i discorsi in battute fra super-eroi;
si concentra sul lungo ed eccentrico periodare in cui parole evidenziate in
rosso si combinano fra di loro dando vita a locuzione di matrice
marxista-comunista; viene rapito dalla metamorfosi delle vicende dei Lehman in
quelle vissute dai protagonisti nel film King
Kong del 1933 (guarda caso finanziato proprio dalla Lehman Brothers!); è avviluppato dagli onirici incubi di Philip
Lehman e incespica in fitte discussioni in cui le parole si mischiano agli
indicatori numerici di quei “derivati” che determineranno la crisi economica mondiale
del 2008, trotterellando prima per il 24
ottobre 1929.
La
parola fatta segno trasloca nel frastuono delle contrattazioni borsistiche, intrappolando chi vi si imbatte similmente a
sabbie mobili.
“Qualcosa
sui Lehman” è la storia di una famiglia di mercanti di bestiame, che ha le sue radici in Germania prima di inondare gli States con il proprio volumetrico
mercanteggiare su tutto, dal cotone, al ferro, al caffè, al petrolio al
tabacco, per giungere agli arei, alla computeristica e ai titoli “sporchi”.
Il
ritmo narrativo seguito è sincopato in quanto vi confluisce la metrica greca e
latina unitamente ad una singhiozzante estetica grafica che incolonna frasi e
periodi, oltre ad incanalare in una stessa colonna ripetute parole,
identiche fra di loro o fra di loro in alterco, ossessivamente ticchettanti nelle
orecchie di chi legge. Al pari di una
canzone, reiterati fraseggi a mo’ di irriverenti ritornelli sono posti all’inizio,
nell’intermezzo e al termine di brani e capitoli.
Il
lucro è al centro di tutto, perversa patologica brama di denaro che deve fruttificare
altro denaro e altro ancora per l’immortalità della famiglia Lehman, sino alla
malattia mentale, che si insinuerà nelle intelletti di ogni suo singolo membro.
La
lettura ondeggia fra Vecchio Testamento e finanza, ebraismo e lavoro
parossistico, per la sempiterna gloria del cognome Lehman, per la glorificazione
dell’unico idolo da adorare: “il vitello d’oro”.
Ogni
passaggio è infarcito di ironia, tutto è ironia, non c’è momento della vita dei
Lehman che non sia maneggiata da Massini
con ironia, non leggiadra, ma sprezzante, feroce ironia; e poi il gioco fra termini
italiani e in lingua yddish, e il motteggio e l’allegro connubio tra plurimi
idiomi con cui vengono tradotte medesime espressioni, per rendere allegro ciò
che è tragico, un tragico mercato
globale fatto a immagine e somiglianza della
biblica Torre di Babele.
E nulla
sarà come prima.
Fabrizio Giulimondi
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