“I
confini della patria interiore debbono essere presidiati…..se si apre una
frontiera è per meglio conservarne il controllo, ma per permettersi un simile
lusso serve una rete di spie agguerrite, spietate”.
“La
solitudine dell’assassino” di Andrea Molesini (Rizzoli) è un impasto di storie
nel labirinto del passato dove fascino baudeleriano per l’omicidio, onore e
amore idealizzato si baciano con viaggi introspettivi nell’anima umana,
crogiolandosi fra Il vecchio e il mare e l’Odissea.
“La
solitudine dell’assassino” è un finto thriller che rappresenta solo l’occasione
per compiere una analisi serrata della fragilità degli uomini, ossia proprio di
quella fragilità che rende ogni persona un essere umano, che si barcamena fra
gli inferi ed il Cielo.
“La
solitudine dell’assassino”, che affabula il lettore con costruzioni
linguistiche fondate su fascinose composizioni di parole ed ardite
aggettivazioni, è prosa e poesia, poesia e prosa, che inizia sonnecchiando per
poi incedere con movenze sempre più pressanti, per esplodere e terminare
lasciando il lettore con un dolce sapore amarognolo della presenza impalpabile
di Carlo, una presenza che egli sentirà come reale nelle ore successive aver
cessato di leggere.
Fabrizio
Giulimondi
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