venerdì 10 gennaio 2020

"HAMMAMET" di GIANNI AMELIO



Hammamet” di Gianni Amelio non è un film. “Hammamet” è il film. Pierfrancesco Favino non è un attore. Pierfrancesco Favino è l’attore.  Favino non interpreta Craxi. Favino è Craxi. Favino si indentifica in Craxi e in esso scompare (trucco extra ordinem di Andrea Leanza e Federica Castelli). Il pubblico non osserva un artista che riveste i panni di un personaggio evocandone la corporeità e l’anima, bensì scruta un interprete che si trasforma nel personaggio evaporando in esso. Il Giulio Andreotti della pellicola di Paolo Sorrentino “Il divo” è Toni Servillo che rimanda magistralmente all’esponente scudocrociato, ma lo spettatore si ferma ad ammirare il Premio Oscar partenopeo. In “Hammamet” le movenze, l’andamento claudicante, il vezzo di toccarsi spesso gli occhiali rossi, la tonalità della voce, la parlata attenta e pensata, le movenze, la mimica, la gestualità, non ricordano Bettino Craxi ma sono Craxi, un Craxi oramai gravemente diabetico, cardiopatico e malato di tumore in “esilio” ad Hammamet. Il metodo Stanislavskij irrompe prepotentemente sul set, ossia nell’autentica villa tunisina, ben lontana dalle false rappresentazioni compiute dai rabbiosi rotocalchi del tempo.
Storia di tenera e commovente devozione della figlia Stefania (nel film Anita), sul rapporto travagliato con il figlio Bobo, affettuoso con il giovanissimo nipote e fantasioso con il figlio di Vincenzo Balsamo, segretario amministrativo del PSI, invero non morto suicida ma di infarto. Storia di riappropriazione di affetti, come con la moglie, in sempiterna sintonizzazione sui programmi televisivi italiani, e di sentimenti che non si cancellano, come quelli con le amanti.
La narrazione inanella fictio, suggestioni e nascondimenti, ove i personaggi che si susseguono, al pari dei parenti, si intuiscono, non si esplicitano. Lo stesso Craxi è citato con la sigla “C”.
Una coralità di attori di ampio respiro recitativo incollano lo sguardo allo schermo: Livia Rossi, Luca Filippi, Silvia Cohen, Roberto De Francesco, Omero Antonutti, Giuseppe Cederna, Renato Carpentieri, Claudia Gerini.
Una riflessione sulla tragica sorte dei potenti che cadono in disgrazia e che – come è consuetudine in Italia – vedono mutare in forme ectoplasmatiche i leccapiedi del giorno prima.
Un lavoro che dovrebbe indurre a meditare un Popolo in eterna negazione di se stesso: mai stato fascista, mai stato democristiano, mai stato berlusconiano e, probabilmente, mai stato leghista.
Un film sull’amore filiale, sugli inganni del potere e sulla sua caducità, sul senso di onnipotenza che obnubila le menti degli uomini di successo che perdono l’orizzonte dei limiti umani; un film sulla falsità, sulla viltà e sulla slealtà ma anche sugli affetti più autentici che sono quelli familiari, presenti non solo nella luce che svanisce nel crepuscolo.
Nella penombra del racconto v’è un interrogativo e un “memo”: perché non vi sono stati processi, condanne e galera (4000 arresti, 1000 condannati: e i 3000 che si sono fatti la prigione come forma di pressione e, quindi, di tortura?) per gli esponenti del Partito Comunista Italiano percettori per lustri e decenni di immani fondi dal nemico n. 1 dell’Occidente, la tirannica, imperiale e comunista Unione Sovietica?  Sotto la Presidenza del Consiglio di Bettino Craxi l’Italia divenne la quinta potenza mondiale.
Buona obbligatoria visione!
Fabrizio Giulimondi


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