“Il treno dei bambini” (Einaudi), romanzo scritto da Viola Ardone con stile morbido,
immerso in luci soffuse, sulla tenerezza e il rimpianto, su sentimenti
delicati, abbracci non dati e sguardi affettuosi scambiati solo dopo la morte.
Miseria e benessere, bassi partenopei e campagna modenese, intelligenza e
riscatto, mentre il lettore adotta Amerigo, se lo immagina correre a piedi nudi
per via Toledo e suonare, oramai adulto, lo Stabat Mater di Pergolesi con il violino
venduto dalla madre per farlo mangiare.
Vocali
e consonanti danno forma alla delicatezza e colui che legge, senza
accorgersene, ritma le parole in dialetto napoletano nonostante una prosa italiana
perfetta e melodiosa, o, forse, proprio per questo.
I
lucciconi compariranno sui vostri volti mentre i vicoli di una “città che non diventa mai adulta”
scorreranno dinanzi agli occhi.
L’amarcord finale va diretto al cuore come
il gancio di un pugile impietoso e sincero.
Il
periodare soave come un “amore sempre
pieno di malintesi” riavvolge Amerigo come un telo sul proprio asse, facendogli
ripercorrere all’indietro la propria esistenza per ritrovarsi, e non mentire
più a se stesso.
Fate
silenzio! Non sentite? Ecco, v’è un archetto che sfrega le corde di un violino!
Sì, è proprio lo Stabat Mater di Pergolesi.
Fabrizio Gilimondi
https://giorinaldi.wordpress.com/2020/01/02/alle-fonti-nascoste-del-romanzo-il-treno-dei-bambini-parte-1-2-3/
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