“George Orwell intuì l’enorme portata della
decostruzione linguistica. Cambiare significati, mutare gli stessi suoni
familiari alla lunga rende afasici. Sfuggono le parole atte a esprimere i
concetti, specie quelli non adattivi, antagonisti. ... Sotto il velo delle
parole nuove, oscure, provenienti da un mondo arcano presentato come superiore,
passano le cose peggiori. Per questo il nuovo ordine mondiale favorisce l’abbandono
delle culture vernacolari, nazionali, affinché si imponga l’apolide globale
prescritto dagli ‘iper-padroni.’”.
Che
cosa è la sovranità nazionale? Che cosa il “sovranismo”? Cosa il mondialismo e
la globalizzazione? E il nazionalismo?
“Sovranismo. Le radici e il progetto”, a
cura di Gianni Alemanno (Historica-Giubilei Regnani) è una
ricca, densa, intrigante, molto utile, raccolta di interventi poliedrici di
storici, economisti, giuristi, filosofi, accademici, giornalisti, politologi,
sociologi, dirigenti pubblici e privati, professionisti e avvocati, che
affrontano con pacatezza e rigoroso taglio saggistico una materia magmatica quanto
estremamente attuale.
Il
florilegio di trattazioni fanno affacciare chi legge su molti mondi, nuovi
sistemi solari e variegati universi a seconda del punto prospettico che origina
la riflessione.
La sua
lettura assomiglia ad una avventura, una sorta di Camel Trophy, durante il
quale si acquisiscono conoscenze e visuali inedite ed inaspettate, nostalgiche
del futuro: “60 milioni di italiani all'estero, 60 dentro la Repubblica...realizzare
quei collegamenti e quelle possibili sinergie fra scienziati, uomini di
cultura, imprenditori ed operatori economici. Italianità è apertura di
sentimento e di mente, l'italianità è il vestito della creatività. L'italianità
è memoria e modernità, è il paradosso del futuro che non passa, perché sempre
per noi diverso e per gli altri inconfondibilmente italiano.".
Tutto è consentito, tutto è permesso, tranne anelare
di possedere proprie radici, desiderio considerato al pari di una bestemmia
laica: “Cosa rimane di una persona
privata, della propria identità di genere, di famiglia, di cultura, virgola, di
religione e di comunità nazionale? Solo una pallida ombra omologata facilmente
manipolabile e perciò incapace di andare oltre se stessa.”.
Il libro si inerpica nei frastagliati sentieri
dello scibile umano e, il lettore, nell’imbattersi nel “dialogo” fra organizzazioni
sovranazionali e democrazie nazionali, è colto da un malcelato dubbio: la determinazione
democratica dei popoli risulta essere autentica o semplice frutto di
concessione graziosa, “fino a quando essa
sia espressione degli interessi economici prevalenti; diversamente è
preferibile la dittatura”?
I vocaboli, gli idiomi sono importanti, anzi,
fondamentali, per questo li si vuole decomporre come figure umane in dipinti
cubisti, confondendo tutto in un amalgama terminologico, etimologico e semantico,
che accomuna in una unicità nebulosa ciò che è separato, distinto e distante, radicalmente
alieno, al pari del sillogismo “interesse
nazionale, nazionalismo e guerra”.
Ogni dettaglio deve essere svelato, reso
intellegibile, il mosaico visto da lontano, ogni tessera del puzzle posta una
vicina all’altra, per capire, per comprendere, per innalzare l’intelletto sul
Monte Tibidabo ed osservare, con non poca meraviglia, con stupore, il panorama nella
sua profondità.
“Nella
corsa all’identico, si impone il grugnito globale pronunciato in una parlata
meticcia e liquida come il resto della società, lo pseudo inglese globale, il
globish…Le parole definitive sul
legame tra lingua, identità e vita le pronunciò Hegel: ‘È proprio della più
alta cultura di un popolo il poter esprimere tutto nella propria lingua. I
concetti che noi esprimiamo con parola straniere sembrano avere per noi qualche
cosa di estraneo, che non ci appartiene propriamente ed immediatamente’”.
Dopo che lo avrete letto, nulla sarà più come
prima.
Fabrizio
Giulimondi
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