A poco più di un anno dall' entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il legislatore delegato fa il primo tagliando a un testo fondamentale per tutti gli operatori del diritto amministrativo (e non solo) con il decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195. Con uno degli ultimi atti del Governo Berlusconi, si chiude il prima tempo supplementare (come nota la delega concede un termine di due anni per l'adozione di decreti legislativi correttivi) della complessa partita svolta sul terreno della giustizia amministrativa.
Nel corso del prima anno di applicazione del codice amministrativo ( decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, in attuazione della legge delega ex art. 44 legge 18 giugno 2009, n. 69, ed entrato in vigore il 16 settembre 2010) lo sforzo principale è stato compiuto dalla giurisprudenza, specie a livello di tribunali amministrativi
regionali (quale giudice di prima linea e quindi cronologicamente il primo ad affrontare le novità) e di Adunanza Plenaria, come evidenziato dal dato numerico e qualitativo delle pronunce rese dal più elevato consesso della giustizia amministrativa. A tale proposito, la Consulta ha di recente indirettamente fornito elementi di indirizzo al dibattito in corso con la sentenza n. 304 del 2011, attraverso la quale e stata confermata la legittimità costituzionale della norma
che esclude l'incidente di falso dal processo amministrativo.
Passando all'inquadramento del testo, sotto un profilo più strettamente formale, ma necessario a fronte di un testo da coordinare direttamente nel codice originario, il testo si compone di due articoli, i quali vanno letti nei termini seguenti: nel primo sono apportate tutte le modifiche al codice e ai relativi allegati; il secondo,come chiarito dalla stessa relazione illustrativa, è una norma di coordinamento con la legge n. 127 del 1997 (la cosiddetta Bassanini-bis), con la quale si propone di ripristinare il secondo periodo del comma 26 dell' articolo 17 della legge citata, relativamente alla permanenza nell' ordinamento del combinato disposto dell'articolo 102, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400 e all'articolo 33 del testa unico delle leggi sul
Consiglio di Stato (rd 26 giugno 1924 n. 1054) che prevede che, negli affari che possono formare oggetto di ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, il Governo, avuto il parere della sezione competente, non può richiedere, in via amministrativa, l'esame del Consiglio di Stato in
adunanza generale.
Le modifiche al corpo
del codice si rinvengo nei tre commi di cui si compone l'articolo 1.
Nel primo sono contenute le modifiche al testo del "codice del processo amministrativo" (allegato 1); nel secondo quelle operate con riguardo alle "norme di attuazione" (allegato 2); e, nel terzo quelle relative alle "norme di coordinamento e abrogazioni" (allegato 4). Sotto il diverso profilo della ratio dell'intervento anche una rapida analisi dello stesso evidenzia, pur nell'estremo dettaglio
delle previsioni, tre tipologie di intervento.
In primo luogo alcune modifiche possono ricondursi nell'ambito del coordinamento testuale e del miglioramento della precisione lessicale.
In secondo luogo vi sono alcune disposizioni che chiariscono i rapporti tra il codice del processo amministrativo e il codice di procedura civile.
Altre ancora, infine, mirano
a coordinare il testo vigente con sopravvenienze normative, ponendo altresì mano, in termini di chiarificazione, a singole questioni processuali la cui criticità è stata da subito posta in evidenza nelle prime applicazioni pratiche del nuovo codice di rito amministrativo (come, ad esempio, in tema di termine per la proposizione del ricorso incidentale nelle materie "accelerate").
Il raffronto fra il testo del decreto legislativo correttivo e la giurisprudenza della plenaria dell'ultimo anno evidenzia come il primo abbia sostanzialmente preso atto della seconda.
Tra i diversi ambiti di rilievo, più o meno direttamente processuale, che la Suprema Corte amministrativa si e trovata ad affrontare, la parte dei leone
spetta indubbiamente alle questioni di competenza, specie territoriale. Ciò non può non imputarsi all'innovativa disciplina dettata dal codice in materia, la quale ha costituito un vero e
proprio strappo rispetto al passato e alla tradizione; la profondità
della cesura con il sistema previgente, e la conseguente necessità di garantire nuove certezze,
paiono anzi confermate proprio dall' elevato numero di statuizioni della Plenaria.
Partendo dal dato cronologico dell' ultimo anno, già con la sentenza n. 1 del 2011 (ribadita con la n. 6) la Plenaria ha risolto i primi dubbi ingenerati dalla nuova disciplina in termini di operatività delle nuove disposizioni, dando preminenza alla ragionevolezza rispetto al dato
letterale, laddove si è statuito che «la nuova disciplina della competenza, ivi compresi i modi di rilevabilità di cui all'art. 15 c.p.a., è applicabile solo ai processi instaurati dalla data della entrata in vigore codice, ossia a far data dal 16 settembre 2010, dovendosi intendere
"instaurati" i ricorsi per i quali a tale data sia intervenuta la prima notifica alle controparti con cui si realizza la proposizione del ricorso.
Altro aspetto di rilievo sono la notevole concentrazione di cause in capo al TAR Lazio che ha interessato, in prima luogo,l'impugnativa di atti contestati da un singolo dipendente (con conseguente competenza locale in base al criterio soggettivo della sede di servizio), ma adottati da un organo statale e aventi efficacia estesa all'intero territorio nazionale: la soluzione centralizzata fatta propria dalla plenaria (sentenza 16 novembre 2011 n. 20) si e fondata sull'espresso richiamo al principio codicistico del codice di procedura civile in tema di accertamenti incidentali.
In secondo luogo, alla stessa conclusione si è giunti in ordine all'impugnativa di circolari, laddove la competenza del Tar Lazio attrae, per connessione, anche gli atti applicativi emessi da organi o enti periferici (sentenza 14 novembre 2011 n. 19).
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di evidenziare, dopo l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il superamento dell'orientamento tradizionale che riservava la tutela dell' interesse legittimo al solo processo impugnatorio -annullatorio, essendo ora codificata l' esperibilità di azioni tese a ottenere pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa; segue da ciò la trasformazione del giudizio amministrativo da giudizio sull'atto, teso a verificarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati e con salvezza del riesercizio del potere da parte dell' amministrazione soccombente, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a stabilire la fondatezza della pretesa sostanziale azionata. Sotto il secondo versante, con la sentenza n. 15 (del 29 luglio 2011) lo stesso Supremo consesso pareva aver posto la parola fine a un estenuante dibattito teorico, attraverso l'individuazione di una soluzione, basata sul nuovo codice e radicata nel superiore principio della ragionevolezza: nel caso di D.i.a. il terzo che si ritenga leso dallo svolgimento dell'attività dichiarata e dal mancato esercizio del potere inibitorio venendo in rilievo un provvedimento per silentium, può esperire l' azione impugnatoria ai sensi dell' articolo 29 del codice del processo amministrativo, da proporre nell' ordinario termine decadenziale,
potenzialmente accompagnata, dall'esercizio di un'azione di condanna (cosiddetto di adempimento) dell'amministrazione all'esercizio del potere inibitorio. Come noto il legislatore d'urgenza ha superato tale fondamentale decisione pochi giorni dopo (con l'articolo 3 del Dl 13 agosto 2011 n. 138), riproponendo il farraginoso sistema che rimette la tutela alla previa sollecitazione dell'amministrazione salvo poi, in caso di inadempienza,il ricorso al rito del silenzio; le più che comprensibili critiche alla soluzione dettata dal legislatore d'urgenza non hanno peraltro trovato accoglienza nel correttivo.
In conclusione, se il legislatore delegato in sede di correttivo si è limitato sostanzialmente a positivizzare linee di pensiero del Consiglio di Stato su specifiche materie ed argomenti, il vero lavoro è stato svolto dalla magistratura amministrativa di prima e seconde cure che ha adempiuto al difficoltoso compito di prima interpretazione, di effettività della tutela giurisdizionale, ai sensi dell' articolo 1 del codice del processo amministrativo.
Prof. Fabrizio Giulimondi
Nel corso del prima anno di applicazione del codice amministrativo ( decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, in attuazione della legge delega ex art. 44 legge 18 giugno 2009, n. 69, ed entrato in vigore il 16 settembre 2010) lo sforzo principale è stato compiuto dalla giurisprudenza, specie a livello di tribunali amministrativi
regionali (quale giudice di prima linea e quindi cronologicamente il primo ad affrontare le novità) e di Adunanza Plenaria, come evidenziato dal dato numerico e qualitativo delle pronunce rese dal più elevato consesso della giustizia amministrativa. A tale proposito, la Consulta ha di recente indirettamente fornito elementi di indirizzo al dibattito in corso con la sentenza n. 304 del 2011, attraverso la quale e stata confermata la legittimità costituzionale della norma
che esclude l'incidente di falso dal processo amministrativo.
Passando all'inquadramento del testo, sotto un profilo più strettamente formale, ma necessario a fronte di un testo da coordinare direttamente nel codice originario, il testo si compone di due articoli, i quali vanno letti nei termini seguenti: nel primo sono apportate tutte le modifiche al codice e ai relativi allegati; il secondo,come chiarito dalla stessa relazione illustrativa, è una norma di coordinamento con la legge n. 127 del 1997 (la cosiddetta Bassanini-bis), con la quale si propone di ripristinare il secondo periodo del comma 26 dell' articolo 17 della legge citata, relativamente alla permanenza nell' ordinamento del combinato disposto dell'articolo 102, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400 e all'articolo 33 del testa unico delle leggi sul
Consiglio di Stato (rd 26 giugno 1924 n. 1054) che prevede che, negli affari che possono formare oggetto di ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, il Governo, avuto il parere della sezione competente, non può richiedere, in via amministrativa, l'esame del Consiglio di Stato in
adunanza generale.
Le modifiche al corpo
del codice si rinvengo nei tre commi di cui si compone l'articolo 1.
Nel primo sono contenute le modifiche al testo del "codice del processo amministrativo" (allegato 1); nel secondo quelle operate con riguardo alle "norme di attuazione" (allegato 2); e, nel terzo quelle relative alle "norme di coordinamento e abrogazioni" (allegato 4). Sotto il diverso profilo della ratio dell'intervento anche una rapida analisi dello stesso evidenzia, pur nell'estremo dettaglio
delle previsioni, tre tipologie di intervento.
In primo luogo alcune modifiche possono ricondursi nell'ambito del coordinamento testuale e del miglioramento della precisione lessicale.
In secondo luogo vi sono alcune disposizioni che chiariscono i rapporti tra il codice del processo amministrativo e il codice di procedura civile.
Altre ancora, infine, mirano
a coordinare il testo vigente con sopravvenienze normative, ponendo altresì mano, in termini di chiarificazione, a singole questioni processuali la cui criticità è stata da subito posta in evidenza nelle prime applicazioni pratiche del nuovo codice di rito amministrativo (come, ad esempio, in tema di termine per la proposizione del ricorso incidentale nelle materie "accelerate").
Il raffronto fra il testo del decreto legislativo correttivo e la giurisprudenza della plenaria dell'ultimo anno evidenzia come il primo abbia sostanzialmente preso atto della seconda.
Tra i diversi ambiti di rilievo, più o meno direttamente processuale, che la Suprema Corte amministrativa si e trovata ad affrontare, la parte dei leone
spetta indubbiamente alle questioni di competenza, specie territoriale. Ciò non può non imputarsi all'innovativa disciplina dettata dal codice in materia, la quale ha costituito un vero e
proprio strappo rispetto al passato e alla tradizione; la profondità
della cesura con il sistema previgente, e la conseguente necessità di garantire nuove certezze,
paiono anzi confermate proprio dall' elevato numero di statuizioni della Plenaria.
Partendo dal dato cronologico dell' ultimo anno, già con la sentenza n. 1 del 2011 (ribadita con la n. 6) la Plenaria ha risolto i primi dubbi ingenerati dalla nuova disciplina in termini di operatività delle nuove disposizioni, dando preminenza alla ragionevolezza rispetto al dato
letterale, laddove si è statuito che «la nuova disciplina della competenza, ivi compresi i modi di rilevabilità di cui all'art. 15 c.p.a., è applicabile solo ai processi instaurati dalla data della entrata in vigore codice, ossia a far data dal 16 settembre 2010, dovendosi intendere
"instaurati" i ricorsi per i quali a tale data sia intervenuta la prima notifica alle controparti con cui si realizza la proposizione del ricorso.
Altro aspetto di rilievo sono la notevole concentrazione di cause in capo al TAR Lazio che ha interessato, in prima luogo,l'impugnativa di atti contestati da un singolo dipendente (con conseguente competenza locale in base al criterio soggettivo della sede di servizio), ma adottati da un organo statale e aventi efficacia estesa all'intero territorio nazionale: la soluzione centralizzata fatta propria dalla plenaria (sentenza 16 novembre 2011 n. 20) si e fondata sull'espresso richiamo al principio codicistico del codice di procedura civile in tema di accertamenti incidentali.
In secondo luogo, alla stessa conclusione si è giunti in ordine all'impugnativa di circolari, laddove la competenza del Tar Lazio attrae, per connessione, anche gli atti applicativi emessi da organi o enti periferici (sentenza 14 novembre 2011 n. 19).
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di evidenziare, dopo l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il superamento dell'orientamento tradizionale che riservava la tutela dell' interesse legittimo al solo processo impugnatorio -annullatorio, essendo ora codificata l' esperibilità di azioni tese a ottenere pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa; segue da ciò la trasformazione del giudizio amministrativo da giudizio sull'atto, teso a verificarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati e con salvezza del riesercizio del potere da parte dell' amministrazione soccombente, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a stabilire la fondatezza della pretesa sostanziale azionata. Sotto il secondo versante, con la sentenza n. 15 (del 29 luglio 2011) lo stesso Supremo consesso pareva aver posto la parola fine a un estenuante dibattito teorico, attraverso l'individuazione di una soluzione, basata sul nuovo codice e radicata nel superiore principio della ragionevolezza: nel caso di D.i.a. il terzo che si ritenga leso dallo svolgimento dell'attività dichiarata e dal mancato esercizio del potere inibitorio venendo in rilievo un provvedimento per silentium, può esperire l' azione impugnatoria ai sensi dell' articolo 29 del codice del processo amministrativo, da proporre nell' ordinario termine decadenziale,
potenzialmente accompagnata, dall'esercizio di un'azione di condanna (cosiddetto di adempimento) dell'amministrazione all'esercizio del potere inibitorio. Come noto il legislatore d'urgenza ha superato tale fondamentale decisione pochi giorni dopo (con l'articolo 3 del Dl 13 agosto 2011 n. 138), riproponendo il farraginoso sistema che rimette la tutela alla previa sollecitazione dell'amministrazione salvo poi, in caso di inadempienza,il ricorso al rito del silenzio; le più che comprensibili critiche alla soluzione dettata dal legislatore d'urgenza non hanno peraltro trovato accoglienza nel correttivo.
In conclusione, se il legislatore delegato in sede di correttivo si è limitato sostanzialmente a positivizzare linee di pensiero del Consiglio di Stato su specifiche materie ed argomenti, il vero lavoro è stato svolto dalla magistratura amministrativa di prima e seconde cure che ha adempiuto al difficoltoso compito di prima interpretazione, di effettività della tutela giurisdizionale, ai sensi dell' articolo 1 del codice del processo amministrativo.
Prof. Fabrizio Giulimondi
Nessun commento:
Posta un commento