Mia figlia insieme ad alcuni suoi compagni di classe mi hanno incuriosito a leggere “Se ti abbraccio non aver paura “di Fulvio Ervas, edizioni Marcos Y Marcos. L’Autore racconta la storia vera di un padre (Franco) che decide, contro la volontà della moglie, degli amici e dello stesso psichiatra, di trascorrere qualche giorno negli States insieme al figlio Andrea affetto da autismo. Il viaggio sarà ben più lungo e avventuroso di quello progettato originariamente, visto che i due oltre a fare il tragitto coast to coast on the road su una Herley Davidson da Alexandria, in prossimità di Washington, sino a Los Angeles, attraversando le città bruciate dal sole e il deserto del Texas (deserto…autismo), si dirigeranno in Messico, in Guatemala, di nuovo in Messico a Tulum, per poi recarsi in Costarica, a Panama, ove un incontro e una lettera li porteranno fatalmente in Brasile.
Il dialogo fra padre e figlio (ritratti dal vivo nelle due foto sopra) è composto di parole
sbocconcellate, di sguardi, di riti, di foglietti lasciati e fatti ritrovare,
di scambio di sensazioni tramite pc, grazie al padre che vicino al figlio e
innanzi al monitor scrive alcune domande a cui Andrea risponde. La loro
comunicazione è ininterrotta, continuativa e intensa, anche se Ervas nel
descriverla non vi ha immesso sufficiente pathos.
Le frasi che Franco e Andrea si sono scambiate
in tempo reale sul computer nella vita vera, nella realtà, sono state fedelmente
riportate nel libro, rispettandone anche
il tipo e la dimensione del carattere.
Alcuni
atteggiamenti comportamentali, peculiarità della personalità e aspetti caratteriali di Andrea mi hanno
richiamato alla mente un ragazzo autistico che conobbi nel 1989 mentre facevo
volontariato ad un istituto orionino di Roma: aveva la stessa età del coprotagonista del racconto (18 anni) e impegnava
ore per pettinarsi o per pronunziare una frase banale ma, appena saliva sul
palco di un teatro, si trasmutava in un attore consumato!
p.s. Il titolo del libro riporta la frase che i genitori di Andrea,
quando aveva otto anni, gli hanno stampato su alcune magliette, per spiegare
alla gente quell'abitudine di andare in giro ad abbracciare perfetti sconosciuti
all'altezza della pancia
Fabrizio Giulimondi
N.B. nello spazio dedicato ai commenti è riportata una valutazione della psicologa dott.ssa Fiora Fornaciari
N.B. nello spazio dedicato ai commenti è riportata una valutazione della psicologa dott.ssa Fiora Fornaciari
Ho conosciuto la tematica affrontata da questo libro qualche mese fa ascoltando l'intervista del padre di Andrea. Un padre commovente per la forza, l'audacia, il comportamento e il modo di parlare non buonista del suo calvario di dolore.
RispondiEliminaMi colpì particolarmente il titolo: "se ti abbraccio non aver paura"...
Un titolo "portatore sano" di un concetto molto scomodo: la paura; la paura di un abbraccio, la paura del contatto fisico in un Tempo – il nostro - che ormai non più a caso viene definito "l'era del mouse". Definizione-metafora che spiega la dinamica attraverso cui oggi ci si relaziona con l'Altro da sè. Un approccio mediato preferibilmente dal computer e non da uno sguardo, da un sorriso, da un pianto o appunto da un abbraccio.
Parlo della interazione e relazione tra gli uomini perchè i pazienti autistici vivono e percepiscono il mondo intorno a loro come estraneo, chiudendosi nel loro mondo "incantato" di cristallo, mondo che anche un solo abbraccio può scalfire se fatto, agìto nel momento sbagliato, nel modo sbagliato.
Il titolo del libro si riferisce, come scritto dall'amico Fabrizio, alla frase scritta sulla maglietta di Andrea, messaggio per chi vedeva abbracciarsi magari all'improvviso e con tanto entusiasmo come fanno questi pazienti, soprattutto i piccoli.
Ma, cari Lettori del blog di Fabrizio, vorrei provare a proporvi una lettura "al contrario" di questa esortazione e cioè intesa come messaggio dato e passato ad un paziente autistico, incoraggiandolo a non aver paura di un abbraccio. Perchè di paura ne hanno questi pazienti, paura dell'invasione del proprio mondo. E tale messaggio per loro e verso loro passa empaticamente. Non necessita di lettere stampate su magliette o fogli. Esige solo il sentire, inteso come percezione e accettazione dell'incontro tra il proprio mondo e quello dell'Altro.
Fiora Fornaciari, piscologa
EliminaFiora Fornaciari, psicologa attenta anche alle problematiche legate all'autismo, mi ha inviato per e mail il sopra riportato commento, di cui La ringrazio sinceramente. Fabrizio Giulimondi