lunedì 2 giugno 2014

"ORLEY FARM" DI ANTHONY TROLLOPE

“Orley Farm” di Anthony Trollope (Sellerio editore Palermo).
Anthony Trollope (1815-1882) è uno dei grandi della letteratura inglese dell’Ottocento  -  seppur non molto  conosciuto in Italia  - , recentemente molto recensito dai critici di lingua anglofona e  diffusamente letto fra i cittadini britannici e del Commonwealth.
“Orley Farm”  è il romanzo delle sottili descrizioni fisiche, psicologiche e morali, descrizioni che l’Autore rivolge anche all’ultima “comparsa” in cui la narrazione si imbatte. Sprazzi di comicità anglosassone puntellano la storia, raccontata in uno stile delicato e morbido, con una loquela elegante e forbita , sfoggiata in ricchi colloqui, splendidi esempi di un conversare pomposamente nobiliare di un epoca in cui gli affetti erano profondi e i sentimenti sinceri e leali.
Il linguaggio garbato e composto dell’ ‘800 inglese sembra respirare l’aria ovattata e un po’ plumbea dei grandi sceneggiati televisivi del dopoguerra e certe piece teatrali, nelle quali  le conversazioni lunghe e, talora, tediose, non perdono mai del loro fascino estetico. Suggestive le reiterate citazioni bibliche, shakespeariane e miltoniane, oltre gli efficaci richiami agli scritti della Roma classica.
La profondità di passioni amorose ed amicali si contrappone a futili passatempi natalizi e noiosi, quanto inutili, formalismi della high society dell’impero dell’Insula Angelorum .
Onore, decoro, reputazione, prestigio, dignità, sacralità dell’impegno assunto, censo di appartenenza, alto e antico lignaggio, rispettabilità e, poi, lo spergiuro, che tutto offende, disonora e insozza. L’opera racconta una società che sulla verità e  sulla parola data  regge se stessa, le sue radici, le sue fondamenta.
Le 1142 pagine raccolte in due volumi  fanno percorrere al lettore la storia di una tenuta illegittimamente posseduta da una fascinosa signora, una Madame Bovary della Gran Bretagna, una biblica  Rebecca ottocentesca; di un processo penale per spergiuro e della incancellabile vergogna che esso comporta;  delle arringhe, delle escussioni dei testimoni, della accusa e della difesa di illustri principi del foro londinesi; della spietata cross examination e  del verdetto di una imparruccata, solenne e rigorosa magistratura di Sua Maestà;  del senso della colpa e del peccato nell’etica vittoriana e anglicana.
La trama è affollata di protagonisti, di  figure secondarie o che si intravedono solamente sullo sfondo,  ma tutti egualmente raffigurati nei tratti delle proprie personalità e caratteri: nulla è sfumato ma tutto marcatamente tracciato.
“A questo punto posso dire: addio.”

Fabrizio Giulimondi


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