Dopo la recensione a “Le luci nelle case degli altri” (2010) e
a “Quattro etti di amore, grazie“
(2013), non poteva mancare una riflessione sull’ultima fatica letteraria di Chiara Gamberale “Per dieci minuti” (Feltrinelli),
finalista al Premio Bancarella del prossimo 20 luglio.
In modo liquido e gradevole,
anche se talvolta anodino, la Gamberale
racconta in stile autobiografico il periodo della vita durante il quale ha
partorito il romanzo “Quattro etti di
amore, grazie”. Nell’A.D. 2012 la scrittrice
ha traslocato da “La
Mia Casa di Vicarello” per andare a vivere con il consorte a Roma, è stata lasciata da “Il Mio Marito” e ha perso “La Mia Rubrica”.
L’esperimento antroposofico
steineriano suggerito dalla psicanalista a Chiara come metodo terapeutico per ritornar a riveder le stelle,
consiste nel porre in essere, per un mese intero e per dieci minuti al giorno,
comportamenti mai realizzati nella propria vita di quasi trentasettenne. Durante
questo viaggio dell’anima e del corpo, che si svolge nel mese di dicembre del
2012, l’Autrice è accompagnata da un ragazzo eritreo, Ato, conosciuto alla
Città dei Ragazzi in via della Pisana a Roma, oltre che da un amico di vecchia data, Gianpietro, omosessuale
bipolare che parla sempre al femminile, trasformando nel genere opposto qualunque
sostantivo maschile.
L’idea di fondo ricorda la
pellicola del 2008 di Peyton Reed “Yes
man” e, i continui agganci agli eventi di quel trancio temporale (la visita alla
mostra delle pitture di Jan Vermeer alle
Scuderie del Quirinale, la visione del film “Lo Hobbit”, la ignuda partecipazione
della stessa Gamberale allo
spettacolo teatrale Fratto X, il richiamo alle vicine elezioni politiche del
febbraio 2013), rafforzano il carattere biografico del racconto e lo rendono
ancora più veritiero e sentito dal lettore.
Fabrizio
Giulimondi
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