In Lombardia risulta, da un telerilevamento effettuato dalla Regione, che vi siano due milioni di metri cubi di amianto non ancora smaltiti, 1.200.000 mc in Puglia, mentre nel Lazio non meno di 1.500.000 mc.
Innumerevoli sono i siti industriali dismessi contaminati dall'amianto, che sin dal 1992 avrebbero dovuto essere messi in sicurezza e bonificati.
Tantissime sono le discariche abusive e i depositi non controllati dove si è smaltito l'amianto.
Poche sono le regioni e le province che hanno censito la presenza di amianto e avviato i piani di bonifica.
Sono frequenti i casi in cui giungono segnalazioni e denunce alle Autorità competenti sulla mancata bonifica di impianti o ambienti di lavoro, assenza che determina una inevitabile esposizione professionale o ambientale al rischio amianto.
Non dimentichiamo che tuttora in Russia, in Cina e in Canada l’amianto è ancora prodotto (oltre 2 milioni di tonnellate annue) e utilizzato, per cui possiamo trovarlo in manufatti importati, sulle navi mercantili che sostano nei nostri cantieri di riparazione navale, nelle centrali termo-elettriche e nei siti industriali in cui lavorano le nostre imprese d'installazione d'impianti.
La Svizzera è - ad esempio - un Paese che non ha ancora messo al bando l'amianto, così come l'India e gran parte degli Stati asiatici (il Giappone l'ha bandito solo da alcuni anni, così come hanno fatto vaste Regioni del Brasile).
Per gli interessi delle grandi multinazionali che lo estraggono e lo commercializzano e delle aziende che ancora lo usano, sono ancora consistenti le resistenze a una messa al bando internazionale dell'asbesto.
In Europa, alla fine degli anni novanta, è stata approvata una direttiva che ne prevede il bando in tutti gli Stati membri dal gennaio 2005, ma mancando una normativa che ne imponga la bonifica, lo possiamo trovare ancora oggi nelle nostre città in grandi quantità e in condizioni di deterioramento strutturale e chimico causato dal tempo e dall’inquinamento.
L’amianto, quindi, è ancora un rischio professionale, sanitario e ambientale di sensibili proporzioni.
Secondo l'ILO (Iternational Labour Organization) ogni anno muoiono al mondo oltre centomila persone per tumori asbesto correlati, in particolare per carcinomi polmonari (70 mila persone) e per mesoteliomi pleurici (44 mila persone).
In Italia si sono registrati dal 2001 al 2007 circa mille casi di morti l'anno per mesoteliomi pleurici (fonte ISPESL), numero destinato a crescere intorno ai 1.200 casi annui fino al 2015-2020.
Ai mesoteliomi bisogna aggiungere i carcinomi polmonari (si stima che siano circa 3 mila) e una media di 560 casi di asbestosi all'anno (fonte INAIL) dal 2003 al 2007.
La media annua di denunce all'INAIL per neoplasie asbesto correlate è di 750 casi l'anno, ossia solo un quarto delle stime ISPESL.
A partire dal 1992 molto lentamente si è iniziato a smaltire i materiali contenenti amianto: a tutt’oggi statistiche dell’ISPELS parlano di 32 milioni di tonnellate ancora presenti sul territorio nazionale. Il programma di censimento previsto dalla legge 27 marzo 1992 n. 257 è stato disatteso da molte regioni e i censimenti effettuati sono in realtà parziali.
Nella regione Lazio Legambiente ha denunciato che su 1175 edifici pubblici censiti sono 2907 le tonnellate di amianto, mentre nulla si sa sugli impianti industriali, i siti dismessi e gli edifici industriali e civili privati: la problematica dello smaltimento dell’amianto e, di conseguenza, dei luoghi ove collocarlo si impone con necessaria e drammatica priorità ai responsabili del governo del territorio, specie innanzi la scoperta sempre più frequente di discariche abusive.
Solamente a Baracalla in Piemonte v’è una struttura che tratta specificamente amianto.
Tale mancanza di discariche porta gli imprenditori italiani a trasferire il materiale in parola in Germania (circa il 70 % di esso) con sensibile aggravio dei costi di trasporto per gli imprenditori del settore.
Per necessità, per i piccoli e medi trasporti si è creata in Italia una rete di depositi di stoccaggio temporaneo in attesa di smaltimento. Per tale ragione e anche per ovviare agli “sviamenti” illeciti dei trasporti di amianto compiuti specie dalla criminalità organizzata, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con decreto ministeriale 10 febbraio 2010, ha introdotto il SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) – ancora non entrato in vigore, con i più maliziosi che sostengono che non sarà mai operativo - grazie al quale potrà essere controllato dai Comandi territorialmente competenti dei Carabinieri tutto il percorso effettuato dal vettore dal luogo di produzione a quello dello stoccaggio.
Chiarito che l’amianto allo stato solido non provoca danni alla salute e alla salubrità ambientale, mentre la forma volatile determina patologie gravissime sull’organismo umano, è diventata oramai improcrastinabile la sua rimozione e la sua messa in sicurezza .
La legge 27 marzo 1992, n. 257 in veste di normativa nazionale sull’amianto impone alle Regioni di individuare i siti che devono essere utilizzati per l’attività di smaltimento dei rifiuti di amianto (art 10, comma 2, lett. d).
Una proposta di legge all’esame del Consiglio Regionale del Lazio prende a riferimento, fra l’altro, la normativa della Regione Puglia che ha individuato nelle cave i siti ove collocare l’amianto.
Tale idea è stata precedentemente attuata dalla legislazione germanica.
Le cave hanno già leso la natura, ferendo l’aspetto paesaggistico e geologico del luogo ove sono collocate.
E’ esperienza quotidiana, percorrendo le strade provinciali, statali o autostradali, di scorgere montagne e siti naturali di particolare bellezza deturpati dalle cave.
L’esempio tedesco ci insegna che le cave possono essere recuperate al territorio nella seguente maniera: riempimento delle cave con materiale contenente amianto allo stato solido; blocco dello stesso con strumentazioni e sistemi tecnologicamente e scientificamente già testati, con consequenziale impedimento della dispersione dell’amianto nell’ambiente; copertura della cava e rifacimento dell’aspetto estetico e paesaggistico, anche per il tramite del rimboschimento della zona interessata; eventuale collocazione in essa di impianti di energie alternative, natura sociale, culturale o sportiva.
Le cave da utilizzare sono quelle oramai non più produttive o che stanno perdendo tale capacità. Sono cave che, esaurite o in corso di esaurimento, rimangono purtroppo ad alterare il paesaggio e gli aspetti idro-geologici dei luoghi ove sono ubicate, continuando a deturpare l’ambiente e la natura.
L’inserimento del minerale al loro interno elimina definitivamente il problema, risolvendo con assoluta sicurezza problemi alla salute della popolazione. In realtà oggi sussistono già possibilità di gravi malattie, vista la massiva presenza di amianto a rischio di volatizzazione in molti edifici privati e pubblici, compresi ospedali e scuole. La collocazione di esso in seno alle cave, specie se argillose, impedisce incontestabilmente la sua dispersione nell’aria, rimanendo bloccato allo stato solido dentro la terra.
In seconda battuta, la proposta di legge regionale laziale, dopo aver definitivamente risolto l’allocazione del materiale in questione, tende al recupero ambientale e paesaggistico del sito: terminato il riempimento della cave, viene riscostruito lo strato esterno della stessa, rimboschita l’area ove vengono poi realizzati impianti utili per la Comunità (ad esempio impianti sportivi), a seguito della sottoscrizione di accordi di programma fra Regione e Comune.
Prof. Fabrizio Giulimondi
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