Ho assistito alla lezione che
Riccardo Muti ha mirabilmente tenuto al Teatro dell’Opera di Roma questa sera 8 luglio sulla vita di Giuseppe Verdi e sul Nabucco, opera scritta dal sommo Maestro nel
1862.
Forse il più grande direttore dì
orchestra al mondo ha spiegato ogni singolo passaggio della sinfonia con
accuratezza ed ironia, aiutato da cinque cantanti operistici, attraverso le cui
voci l’udito dello spettatore ha passato
in rassegna tutti i timbri vocali.
Verdi è il più grande musicista
italiano e le sue melodie hanno accresciuto e arricchito l’Umanità di armonia e
bellezza. Eppure, come ha detto Riccardo Muti, l’esecuzione di un brano di
Mozart, di Beethoven, di Schubert è realizzata da parte del pianista con un atteggiamento corporeo, con una
postura, con una movenza e una gestualità delle mani che imprimono alle note
una solennità e una grazia che non si rinvengono nelle esecuzioni italiche ed estere dei lavori verdiani.
Storpiamo anche la grandezza dei
nostri più grandi compositori! Siamo esterofili anche nella mise en scene delle
opere concertistiche dei giganti della musica classica patria, diminuendo il
sublime che v’è nei nostri Autori e implementando oltre misura le cadenze e le
armonie straniere.
Come ha detto il Maestro Muti,
dobbiamo riconsegnare alla nostra musica quell’aura di sacralità, di
religiosità, di nobiltà e di
aristocrazia che spetta ad ogni stella
del firmamento lirico italiano, dando la possibilità ai tanti giovani talenti italiani di palesarsi
nei palcoscenici dei prestigiosi teatri della Penisola.
Fabrizio Giulimondi
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