Gravity di Alfonso
Cuaròn.
Due soli
protagonisti. Due grandi attori: Sandra
Bullock e George Clooney.
Il silenzio di 2001 odissea nello spazio, il mistero di
Solaris, le luci magiche notturne di
Spielberg in Incontri ravvicinati del
terzo tipo, l’avvincente rientro della navicella Soyouz nell’atmosfera terrestre come
in Apollo 13.
Un 3D dei migliori
che fa piombare addosso allo spettatore relitti di una astronave e frammenti di corpi celesti.
La visione
stupefacente della Terra lambita dal Sole.
Il senso dell’infinito
che avviluppa la sala.
La religiosità
americana che filtra nel finale, sentimento oramai in via di decomposizione
nelle pellicole europee.
Una armoniosa
sinfonia recitativa che duetta fra interpretazione verbale e momenti espressivi
colmi di silenzio.
Una inavvertita
eppure persistente sensazione di
inquietudine giace fra le pieghe delle immagini, che nella loro grandiosità e ampiezza sono furtivamente
kenofobiche.
Fabrizio Giulimondi
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