venerdì 4 ottobre 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: IL DIRITTO ALL'OBLIO NELL'ERA DI INTERNET

DIRITTO ALL’OBLIO E DAMNATIO MEMORIAE: RECENTI INTERVENTI GIURISPRUDENZIALI ITALIANI, DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLA COMMISSIONE EUROPEA.


Con la sentenza n. 5525/2012 del 5 aprile 2012 la Corte di Cassazione sez III civile aggiunge un importante tassello al riconoscimento del diritto all'oblio, smentendo il Tribunale di Milano, sez IV, sentenza (in merito alla nota vicenda "Google- Vividown")  del 24 febbraio 2010 (parzialmente riformata dalla  pronunzia della Corte di Appello di Milano del  27 febbraio 2013,  pronunzia confermata dalla Corte di Cassazione con decisione n. 5107 del 3 febbraio 2014, con la quale si sancisce l' insussistenza di alcun obbligo  generale di sorveglianza dei dati immessi da terzi sul  proprio sito in capo ad un provider o di un hosting provider, che, pertanto, non è penalmente sanzionabile.
La decisione del Tribunale meneghino, per quanto non abbia riconosciuto alle parti lese il diritto alla rimozione dei file e dei relativi allegati, nella parte motiva espone argomentazioni di particolare interesse proprio riguardo  il tema trattato: Non esiste a parere di chi scrive, perlomeno fino ad oggi, un obbligo di legge codificato che imponga agli ISP (Internet Services Provider, fornitore di servizi internet), un controllo preventivo della innumerevole serie di dati che passano ogni secondo nelle maglie dei gestori o proprietari dei siti web, e non appare possibile ricavarlo aliunde superando d’un balzo il divieto di analogia in malam partem, cardine interpretativo della nostra cultura procedimentale penale……tuttavia questo procedimento penale costituisce, a parere di chi scrive, un importante segnale di avvicinamento ad una zona di pericolo per quel che concerne la responsabilità penale dei webmasters: non vi è dubbio che la travolgente velocità del progresso  tecnico in materia consentirà (prima o poi) di “controllare” in modo sempre più stringente ed attento il caricamento dei dati da parte del sito web, e l’esistenza  di filtri preventivi sempre più raffinati obbligherà ad una maggiore responsabilità chi si troverà ad operare in presenza degli stessi; in questo caso la costruzione della responsabilità penale (colposa o dolosa che sia) per omesso controllo avrà un gioco più facile di quanto non sia stato nel momento attuale.”
Posizione opposta lo stesso Ufficio giudiziario l’ha assunta con la decisione del 24 marzo 2011  con la quale ha disposto la cancellazione del sito e/o delle pagine web diffamatorie per il soggetto querelante, ordinando la loro rimozione a Google, responsabile di aver consentito un collegamento automatico  fra il nominativo del querelante (che ne ha avuto un permanente nocumento alla reputazione di non poco momento) e fatti giudiziari a lui correlati oramai vetusti, in quanto  superati dal lungo tempo trascorso, oltre dall’esito processuale a lui favorevole.
Conferente un passaggio della motivazione:” ….A tale proposito non si può condividere la tesi di google secondo la quale la suggestione iniziale sarebbe comunque subito eliminata dalla lettura dei contenuti inoffensivi del materiale raccolto all’interno della ricerca stessa. Infatti tali contenuti non sono immediatamente visualizzabili dall’utente, che deve digitare le parole del suggerimento per “entrare” nel relativo contenuto e leggerlo. Per essere indotto a ciò, all’evidenza, egli deve essere mosso da un qualche interesse specifico – in assenza del quale gli resta solo l’originaria ed immediata impressione negativa ingenerata dall’abbinamento di parole…..La ritenuta valenza diffamatoria dell’associazione di parole che riguarda il reclamato è innegabilmente foriera di danni al suo onore, alla sua persona ed alla sua professionalità. Negare- come fa Google – che una condotta diffamatoria non generi nella persona offesa un danno quantomeno nella sua persona significa negare la realtà dei fatti ed i riscontri della comune esperienza. La potenzialità lesiva della condotta addebitata (ndr a Google) - suscettibile, per la sua peculiare natura e per le modalità con cui viene realizzata, di ingravescenza con il passare del tempo stante la notoria frequenza e diffusione dell’impiego del motore di ricerca Google – giustifica il legittimo accoglimento …….” .
Passiamo alla sentenza della Cassazione 5525/2012 che ha iniziato a configurare in seno alla complessa intelaiatura dei diritti – vecchi e novelli – quello dell’individuo all’oblio, ossia ad essere “dimenticato” nelle proprie vicende personali, incluse quelle giudiziarie, dalla opinione pubblica e dai numerosi-e sempre più invasivi, specie con l’avvento della telematica - strumenti massmediatici.
Il caso esaminato dai giudici della Suprema Corte è un classico: un esponente politico di un piccolo comune lombardo viene arrestato per corruzione nel lontano 1993 - notizia andata subitaneamente e pomposamente su tutte le cronache provinciali - per poi essere – come capita purtroppo troppo spesso! - prosciolto. Ebbene, il protagonista della vicenda portata alla attenzione della Cassazione lamenta che, ancora dopo molti anni, attraverso una normale ricerca in rete, la notizia del suo arresto appare online senza alcun riferimento al successivo epilogo positivo della vicenda processuale.
Nello specifico il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2, 7, 11, 99, 102, 150, 152 del d.lgs. 196/2003, oltre degli artt. 3, 5, 7 del Codice di deontologia e buona condotta per i trattamenti di dati personali per scopi storici.
La Suprema Corte accoglie il ricorso e motiva la propria decisione in modo ampio ed articolato, ripercorrendo l'evoluzione del concetto di privacy, valutata, in questa sede, da un angolo prospettico dinamico, specie in relazione alle implicazioni con la cronaca giudiziaria.
In particolare, secondo la Corte l'interessato, alla luce di quanto previsto dall'art. 11 del Codice per la protezione dei dati personali, ha diritto a che l’informazione oggetto di trattamento risponda ai criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza allo scopo, esattezza e coerenza con la sua attuale ed effettiva identità personale o morale (c.d. principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza). E’, pertanto, a lui attribuito il diritto di conoscere in ogni momento il possessore dei suoi dati personali e come li adopera, nonché di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, oppure la rettificazione, l’aggiornamento e/o l’integrazione (art. 7, d.lgs 163/2006).
Sempre secondo la Corte "se l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza, al soggetto cui i dati appartengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultano ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati". Solo se un fatto di cronaca assume rilevanza quale fatto storico, ciò può giustificare la permanenza del dato, ma mediante la conservazione in archivi diversi (es.: archivio storico) rispetto a quello in cui esso è stato originariamente collocato.
Al fine, quindi, di tutelare l'identità sociale del soggetto cui afferisce la notizia di cronaca, bisogna garantire al medesimo l’aggiornamento della stessa notizia e, cioè, il collegamento ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l’evoluzione della vicenda, che possano completare o addirittura sovvertire il quadro sorto a seguito della notizia originaria.
Naturalmente, secondo la Corte, questi principi vanno applicati anche avuto riferimento ad Internet ed alle sue specifiche peculiarità. Come è noto le notizie presenti in rete non sono organizzate come in un archivio, ma sono presenti in maniera diffusa e caotica. Il motore di ricerca si pone come un mero intermediario telematico, che offre un sistema automatico di reperimento di dati e informazioni attraverso “parole chiave”.
Proprio in considerazioni delle caratteristiche del mondo virtuale in cui si sostanzia internet non si pone, in questo caso, un problema di pubblicazione o di ripubblicazione dell’informazione, quanto di permanenza della medesima nella memoria della rete e, a monte, nell’archivio del titolare del sito “sorgente”: i dati immessi nel sistema internauta attraverso il giornale online debbono comunque risultare esatti ed aggiornati (dal sito “sorgente”), in relazione alla finalità del loro trattamento.
Nel caso di specie, è obbligatorio per il giornale online che ha inserito la notizia della traduzione in vinculis del soggetto, di informare i propri lettori (che potenzialmente sono tutti gli abitanti del globo), che quest’ultimo è stato poi assolto dalle imputazioni a lui ascritte.
Questo compito di aggiornamento spetta al titolare del sito e non al motore di ricerca.
Da un punto di vista tecnico, sostiene la Corte, è necessaria una misura che consenta l’effettiva fruizione della notizia aggiornata, non essendo sufficiente la mera generica possibilità di rinvenire all’interno del «mare di internet» ulteriori notizie concernenti il caso di specie: è cogente la predisposizione di un sistema idoneo a segnalare la sussistenza di un ulteriore sviluppo della notizia rispetto a quella “madre”, specie se favorevole al protagonista di essa.
In caso di disaccordo tra le parti, spetta allora al giudice del merito individuare ed indicare le modalità da adottarsi in concreto per il conseguimento delle indicate finalità da parte del titolare dell’archivio.
La Corte di Cassazione ha quindi affermato la attualizzazione e contestualizzazione della notizia. Mentre una notizia pubblicata in un giornale cartaceo è agevolmente collocabile nel tempo, essendo riportata la data di sua “uscita” sul frontespizio, una news inserita su un giornale onlinesi perde nei meandri infernali del web e dei motori di ricerca, rimanendo invero sempre attuale anche se risalente nel tempo.
Ancora: le notizie presenti negli archivi storici online dei giornali sono da ritenersi –spesso - parziali perché non riportano gli ulteriori sviluppi dei fatti, e pertanto vanno aggiornate. La Corte impone così l’obbligo per gli editori di aggiornare gli archivi onlinedelle notizie pubblicate: “le testate online dovranno dotare i loro archivi di un sistema idoneo a segnalare (nel corpo o nel margine) la sussistenza di un seguito o di uno sviluppo della notizia e quale esso sia stato…..consentendone il rapido e agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo e adeguato approfondimento”.
Nel tentativo di bilanciare l’interesse collettivo, garantito dal diritto di cronaca, con l’interesse individuale, tutelato dal diritto alla riservatezza e dal diritto all’oblio,la Corte ha quindi stabilito che gli articoli archiviati debbano essere correlati dai relativi aggiornamenti. La decisione tutela non solo il diritto all’identità personale e morale della persona coinvolta nei fatti, ma anche il diritto del cittadino utente a ricevere una corretta e completa informazione. La sentenza della Cassazione attribuisce, dunque, un nuovo valore al diritto all’oblio, sussumendolo all’interno dei confini dei principi stessi del diritto di cronaca.
Nessuna attribuzione di responsabilità è invece stata riconosciuta dalla Corte di Cassazione ai motori di ricerca, ancora una volta definiti come “meri intermediari”.
Giungiamo al più recente intervento giurisprudenziale in subiecta materia.
Il giudice monocratico del Tribunale di Chieti, sez.dist. di Ortona, del 20 gennaio 2011, ha condannato un quotidiano online abruzzese alla cancellazione dell’articolo diffamatorio oggetto della causa.
Finalmente prevale il diritto della “Persona”, della sua reputazione, della sua immagine e del suo onore, sul diritto di cronaca giornalistica, sì tutelato dalla Costituzione all’art.21, ma non prevalente (così come comincia a stagliarsi nelle pieghe della giurisprudenza di merito e di legittimità), sui diritti del quisque de populo e delle variegate espressioni della sua personalità, così come previsto e tutelato dall’art. 2 della Carta Costituzionale, dalle numerosissime diposizioni dei Trattati internazionali (a partire dall’art. 8 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo - oltre da una copiosissima giurisprudenza nazionale – di merito, di legittimità e costituzionale - e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Si delinea in maniera più nitido il diritto all’oblio sulla damnatio memoriae di romanistica memoria, diritto all’oblio di cui si discute non solo nelle aule giudiziarie italiane ma anche nelle Istituzioni comunitarie, come di qui a poco si illustrerà.
Pubblichiamo ampi stralci della ben articolata parte motivazionale del provvedimento giudiziario abruzzese: “…Mentre da una parte non si può che condividere quanto dalla resistente (il giornale online) affermato in merito ai presupposti legittimanti l’esercizio di diritto di cronaca riferito all’attività giornalistica, verità storica e continenza formale della notizia, interesse pubblico alla sua divulgazione, presupposti in presenza dei quali “recedono” i diritti, anch’essi, come il diritto di cronaca, costituzionalmente garantiti, alla riservatezza, onore, reputazione, immagine della persona cui i fatti divulgati si riferiscono; dall’altra parte non si possono ignorare le norme dettate dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196– codice in materia di protezione dei dati personali - volto a garantire che il trattamento di essi si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e delle dignità dell’interessato, con particolare riferimento al diritto alla riservatezza; norme, che ai sensi dell’art. 136 dello stesso decreto, si applicano anche al trattamento dei dati personali per scopi giornalistici. Tra le disposizioni del decreto in oggetto vengono in rilievo, ai fini del presente giudizio, l’art. 11, a mente del quale il trattamento dei dati personali può avvenire per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti e trattati; l’art. 25, che vieta la comunicazione e la diffusione dei dati quando sia decorso il periodo di tempo indicato nel precitato art.11; l’art. 7, che attribuisce all’interessato il diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattai in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati; l’art. 15, in forza del quale chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 c.c. (che sancisce la responsabilità per i danni provocati nello svolgimento di una attività pericolosa, per sua natura, o per i mezzi adoperati); il secondo comma del citato art. 15 stabilisce che il danno non patrimoniale è risarcibile anche in violazione dell’art.11 quello, si rammenta, che vieta il trattamento dei dati personali per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti e trattati. Ora se si tiene conto che il contestato articolo è stato pubblicato, e lo è tuttora, nella prima pagina del quotidiano in oggetto, del fatto che lo stesso ha ampia diffusione locale, è facilmente accessibile e consultabile, molto più dei quotidiani cartacei, trattandosi di testata giornalistica online, appare evidente come dal………………sia trascorso sufficiente tempo perché le notizie con lo stesso divulgate potessero soddisfare gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica, informare la collettività, creare opinioni, stimolare dibattiti, suggerire rimedi………il già citato art.7 attribuisce all’interessato il diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessario la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati: per conseguenza l’articolo va cancellato. Volendo tenere conto della considerazione della difesa della resistente secondo cui i giornali online non possono ricevere un trattamento diverso da quello dei giornali cartacei che non vengono distrutti e cancellati, ma conservati negli archivi delle testate giornalistiche o nelle biblioteche a costruire memoria storica della collettività, uno scopo anch’esso di rilievo sociale, si può consentire la conservazione di una copia cartacea dell’articolo della testata…...”.
Ora facciamo un salto in Europa, per affacciarci sugli interventi giurisprudenziali, oltre che normativo-integrativi della strumentazione legislativa comunitaria, sul tema che ci siamo proposti di affrontare.
La Corte Euopea dei Diritti dell'Uomo, sezione IV, sentenza 16 luglio 2013, n. 33846/07 (Wegrzynowski e Smolczewski contro Polonia), ha sancito che il ruolo dei tribunali nazionali non è quello di riscrivere la storia ordinando la cancellazione di ogni traccia della pubblicazione di un articolo giudicato diffamatorio. L'interesse all'accesso agli archivi della stampa in rete da parte del pubblico è coperto dall'art. 10 della C.ED.U.. Le violazioni dei diritti protetti dall'art. 8 C.E.D.U. (in particolare quello alla reputazione) potrebbero essere risarcite da un commento all'articolo presente nell'archivio telematico, che informi il pubblico del fatto che il processo per diffamazione relativo al contenuto dell'articolo in questione intentato dal ricorrente si è concluso a lui favorevolmente.
La Corte di Strasburgo mostra una palese avversione nei confronti di qualunque provvedimento censorio di un articolo, persino nell'ipotesi in cui il "pezzo" fosse stato riconosciuto illecito con sentenza definitiva. La soluzione individuata dalla Corte si sostanzia, dunque, in una alternativa alla "ablazione" della pubblicazione dall'archivio on line, ossia nella imposizione all'editore di inserire una postilla al testo - a richiesta dell'interssato - che ne aggiorni il contenuto favorevole a quest'ultimo.
Un simile percorso che bilancia salomonicamente il diritto alla reputazione del soggetto leso e il diritto alla informazione da parte dei giornali on line, informazione valutata squisitamente sotto un aspetto storicistico e cronologico, sembra adottabile anche dalle pronunzie del Garante della privacy e dei giudici penali e civili italiani.

Avviciniamoci adesso all'espetto più propriamente nromativo.
La questione è particolarmente rilevante in quanto da anni è attesa la riforma alla corrente legislazione della Unione Europea sulla privacy, che risale al 1995 (“Direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati”), che sia in grado di conciliare libertà di espressione e diritto alla privacy.
Le linee guida in via generale che si riscontrano nella bozza di riforma sono:
- il diritto all'oblio, cioè il diritto di cancellare i propri dati (in caso non esistano ragioni legittime per conservarli);
- multe in caso di divulgazione o di perdita dei dati.
Più specificamente, due sono le proposte di legge attualmente in preparazione.
La prima stabilisce un nuovo quadro normativo per la protezione dei dati personali. Il relatore per il Parlamento Europeo è il deputato tedesco dei Verdi Jan Philipp Albrecht, che ha indicato i tre pilastri della novella: "Il diritto all'oblio, la necessità di autorizzare l'utilizzo o il trasferimento dei dati personali, e le sanzioni in caso di violazione dei diritti alla confidenzialità. Si tratta di tre elementi fondamentali per la protezione dei dati dei cittadini europei: non importante che essi siano violati all'interno o all'esterno dell'UE".
La seconda si concentra sul trattamento dei dati personali da parte delle autorità giudiziarie per evitare ogni possibile abuso da parte della polizia o delle autorità di pubblica sicurezza. Il relatore del Parlamento europeo per questo dossier è il deputato socialista greco Dimitrios Droutsas:
"L'Europa necessita urgentemente di una riforma della legge sulla protezione dei dati. Un bisogno dettato principalmente dai grandi progressi tecnologici, dall'evoluzione delle norme sociali e da una società sempre più presente online. La Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'UE, devono lavorare con serietà per garantire ai cittadini degli standard di sicurezza alti entro la fine della legislazione nel 2014".
In un discorso tenuto nel novembre del 2012 a Bruxelles durante la conferenza “The European Data Protection and Privacy”, Viviane Reding, Commissario europeo della giustizia, ha dichiarato: “Come ha già detto qualcuno ‘Dio perdona e dimentica ma il web mai!’. Questo è il motivo per il quale ‘il diritto ad essere dimenticati’ è così importante per me. Con una quantità sempre maggiore di dati che vagano per la rete- specialmente sui social network– le persone dovrebbero avere diritto di poter rimuovere completamente i loro dati.”.
E’ opportuno precisare che le informazioni non sono tutti uguali, necessitando una distinzione fra notizie inserite volontariamente e notizie veicolate da circuiti giornalistici (o tramiteblog, con il consequenziale problema della natura editoriale o meno di essi).
L’opera di studio e vaglio della Commissione europea indirizzata a possibili integrazioni e modifiche alla citata direttiva 95/46/CE in tema di diritto all’oblio, diritto alla effettiva tutela della riservatezza personale nella sua interezza, diritto all’identità personale e, sull’altro versante, diritto di cronaca e critica giornalistica, trova come suo sostanzioso ostacolo l’individuazione di formule tecnologiche-telematiche adeguate a renderli compatibili fra di loro. Questione principe a cui l’”Europa” deve fornire soluzione attiene la necessità di contestualizzare le informazioni sparpagliate e immerse nel mare magnum di internet. Non è più rinviabile l’associazione del nominativo della persona a dati a questi correlati correttamente inseriti “nel tempo”, ossia riportati fedelmente in relazione alle coordinate cronologiche, di tal che si possa consentire la giusta attribuzione del loro peso quando galleggiano per troppi anni su web.
Il problema della rimozione delle informazioni dalla Rete è un problema che non si risolve, pertanto, solamente in forza del diritto, ma anche- e soprattutto - per mezzo della tecnologia. Il prof. Mayer-Schönberger Viktor nel suo studio del 2009 “Delete. Il diritto all’oblio nell’era digitale”(ed.Egea) propone di assegnare una scadenza alle informazioni: “Bisogna, invece, pensare a nuovi modelli normativi e negoziali e a nuove tecnologie che prevedano di limitare nel tempo il trattamento dei dati e tecnologie che lo consentano.”.
Mi piace terminare con le parole di Peter Hustinx, European Data Protection Supervisor: "Le nostre informazioni personali sono preziose. Custoditele al sicuro e quando diffondete un'informazione, siate coscienti dei vostri diritti! ".

Prof. Fabrizio Giulimondi

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