(Detenuti al regime del 41 bis: n. 725 presso sette strutture carcerarie)
L’opera di bilanciamento fra esigenze
di giustizia e rispetto dei diritti della persona detenuta è delicata e difficoltosa: sono
interessi fra di essi opposti tutti garantiti a livello costituzionale e
comunitaria.
La tutela della incolumità personale,
della sicurezza della Comunità e della salvaguardia della democrazia sono
di primaria importanza, ineludibile per uno Stato di diritto improntato ai
principi di protezione della integrità fisica e morale dei suoi cittadini e dei
loro beni materiali.
E’
altrettanto vero che l’evoluzione della garanzia dei diritti umani, specie
negli ultimi decenni, sia in sede nazionale che europea e internazionale, ha
rafforzato non soltanto fra gli operatori del diritto ma nella stessa società
civile una particolare sensibilità per il rispetto di qualsiasi essere umano, anche in vinculis.
La
tipologia del reato posto in essere, però, non può non influenzare le decisioni
sanzionatorie, custodiali e penitenziarie. Vi sono reati odiosi per l’intensità e la modalità di
aggressione a beni primari dell’essere umano, oltre per l’ immane pericolosità
sociale, al pari delle organizzazioni criminali, specie di stampo mafiose.
Il bilanciamento delle tutele e
garanzie,
anche di tipo umanitario, del condannato e del detenuto non può che essere ridimensionato quando il
condannato e il detenuto risulta essere ai vertici di una associazione mafiosa,
che, fra le sue “peculiarità”, ha proprio uno speciale radicamento sul
territorio insinuandosi tentacolarmente nel tessuto sociale. Questo modo di atteggiarsi
dell’azione criminale, unito ai metodi terroristici e sanguinari, deve essere
indiscutibilmente reciso, interrompendo ogni contatto fra il detenuto mafioso e
il gruppo su cui esercita il proprio comando e da cui viene supportato.
L’art. 41 bis è stato ed è indubbiamente una ideazione vincente che è stata
immessa nell’ordito ordinamentale dopo la strage di Capaci,
andandosi a strutturarsi in via permanente negli anni successivi.
Il
41 bis nasce da una profonda esigenza: l’obiettivo non è semplicemente regolare
la vita di un detenuto qualsiasi, ma evitare che anche dall’interno del carcere
vi possa essere ancora potere ed un ruolo gerarchico del detenuto, nonostante
la distanza e la stessa detenzione.
N. B. E’ consentita la reiterazione
del regime speciale – in coerente sviluppo con l’interpretazione adeguatrice offerta dalla
Corte costituzionale con l’ordinanza n. 417 del 2004 – “quando risulta, in positivo, che la suddetta capacità non è venuta meno”. Spetta dunque agli organi
ministeriali ricercare i dati conoscitivi sui quali fondare l’accertamento di
perdurante pericolosità sociale del ristretto, dandone adeguato conto nella
motivazione del decreto di proroga; ferma restando, in capo al recluso, la
facoltà di allegazione di elementi di segno contrario.
A
distanza di 25 anni dall'introduzione - ad
opera del d.l. 8
giugno 1992, n. 306 convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - nel nostro ordinamento del regime c.d. di carcere duro (il "vecchio" art. 90 legge 354/1975) di cui all'art.
41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354
(già previsto nell'ordinamento penitenziario per altre ipotese dopo l'approvazione della legge 663/1986 - c.d. Gozzini), la
circolare n. 3676/6126, diramata lo scorso 2 ottobre dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ai
Provveditori Regionali e ai Direttori degli Istituti penitenziari, interviene a regolamentare in modo omogeneo il circuito detentivo
speciale. Tanto, al fine di garantire l’uniformità di applicazione,
all’interno dei vari Istituti penitenziari, delle norme che caratterizzano tale
modalità di detenzione evitando forme di arbitrio e misure impropriamente
afflittive.
Nella lunga premessa ai 37 articoli, oltre
allegati, che definiscono diritti e doveri nell'ambito del regime detentivo
speciale si sottolinea che le disposizioni impartite “… riguardano le modalità di
contatto dei detenuti e degli internati sottoposti al regime tra loro e con la
comunità esterna, con particolare riferimento ai colloqui con i minori; al
dovere in capo al Direttore dell’istituto di rispondere entro termini
ragionevoli alle istanze dei detenuti; la limitazione delle forme invasive di
controllo dei detenuti ai soli casi in cui ciò sia necessario ai fini della
sicurezza; la possibilità di tenere all’interno della camera detentiva libri ed
altri oggetti utili all’attività di studio e formazione; la possibilità di
custodire effetti personali di vario genere, anche allo scopo di favorire
l’affettività dei detenuti ed il loro contatto con i familiari ...“
Nello
specifico, per dar conto delle previsioni di maggiore interesse, è previsto che
il detenuto, dopo le formalità di ingresso (perquisizione personale, visita
medica generale, colloquio di primo ingresso) sia allocato in stanza singola ed
inserito in adeguato gruppo di socialità,
nel numero massimo di quattro persone, con la prescrizione di cautele dirette
ad evitare contatti tra personaggi di spicco ovvero tra nuovi entrati e
internati da più tempo nonché di cautele dirette ad evitare il possesso e lo
scambio di oggetti.
Nel
segno della parità di trattamento finalizzata ad evitare
situazioni di potere e di prevaricazione è assicurata a tutti gli
internati la fornitura di effetti letterecci e di altro materiale per la
camera, mentre la dotazione di presidi diversi da quelli forniti
dall’Amministrazione è consentita solo dietro prescrizione medica
specialistica, con conseguente addebito della spesa al Servizio sanitario
nazionale ovvero, in subordine, all'Amministrazione o, in ulteriore subordine,
al detenuto.
E'
predisposto in allegato al provvedimento un elenco di generi acquistabili al
c.d. sopravvitto, consentendosi l'acquisto di prodotti diversi da quelli
inseriti nel suddetto allegato soltanto ove l'acquisto sia valutato necessario
dalla Direzione e sempre che non si tratti di beni di carattere voluttuario e/o
tali da manifestare una posizione di potere e supremazia del
detenuto/internato.
I
detenuti/internati possono utilizzare per gli acquisti e le spese il fondo
disponibile, rispettando il limite di spesa di 500,00 euro mensili (somma che
non comprende le spese per la corrispondenza e quelle per i farmaci) e 150,00
settimanali e possono ricevere mensilmente una somma non superiore a quella che
sono autorizzati a spendere.
Sempre al sopravvitto è possibile
acquistare giornali (oltre che tabacchi e valori bollati): con limitazione, tendenzialmente, alla
stampa di tiratura nazionale al fine di evitare collegamenti con il contesto
criminale di appartenenza; nonché generi alimentari conformi per tipologia
alle previsioni della tabella allegata, consentendosi l'utilizzo dei fornelli
personali (a gas, fino alla completa installazione in tutti gli istituti di
fornelli ad induzione elettrica) solo per riscaldare cibi già cotti, nonché per
la preparazione di bevande calde e cibi di facile e rapido approntamento.
E' prevista l'effettuazione di adeguati
controlli preventivi e successivi sui carrelli del vitto, al fine di evitare
che attraverso gli stessi possano essere veicolate informazioni in entrata o in
uscita; così come
l'adozione di necessarie cautele per evitare qualsiasi forma di veicolazione di
messaggi e/o comunicazioni non consentite in occasione della pulizia delle
celle.
E’
autorizzato l’uso di rasoi elettrici e taglia barba autoalimentati con batterie
intercambiabili, tramite acquisto consentito esclusivamente attraverso il
servizio sopravvitto dell’istituto, ma è previsto che sia predisposto un
servizio di barberia gratuito, e sia assicurato una volta al mese, salvo
necessità di carattere igienico sanitarie, il taglio dei capelli.
In
ogni sezione del circuito speciale, sono predisposte le sale per l'attività in
comune di tipo culturale, ricreativo e sportivo potendo i detenuti permanere
all'aperto per non più di due ore al giorno o svolgere attività
ricreative/sportive, in appositi locali adibiti a biblioteca, palestra, sala
hobby sala pittura.
Per
quanto concerne l'abbigliamento è prescritto che il detenuto utilizzi abiti
consoni: è fatto divieto di utilizzare indumenti o calzature che possano prestarsi
alla manomissione e occultamento di oggetti, nonché di acquistare abiti
lussuosi che possano manifestare una condizione di superiorità.
La visione dei programmi televisivi è
limitata ai principali canali della rete nazionale
(pacchetto rai, canale 5, rete 4, Italia uno, la sette, cielo, iris e TV 2000),
mentre per quanto riguarda gli apparecchi elettronici può essere solo
autorizzata la consultazione di apparecchi elettronici che siano privi di
connessione a internet. Quanto ai colloqui familiari,
possibili una volta al mese con un numero massimo di tre persone, la
disposizione di maggiore interesse è quella che “In una prospettiva di bilanciamento di interessi di pari rilevanza
costituzionale, tra tutela del diritto del detenuto/internato di mantenere
rapporti affettivi con i figli e i nipoti e quello di garantire la tutela
dell’ordine e della sicurezza pubblica” prevede che “il detenuto/internato potrà chiedere che i colloqui con i figli e con i
nipoti in linea retta minori di anni 12, avvengano senza vetro divisorio per
tutta la durata, assicurando la presenza del minore nello spazio riservato al
detenuto e la contestuale presenza degli altri familiari dall’altra parte del
vetro”: vengono
disciplinati, così, i rapporti tra il
detenuto e i familiari, nella fattispecie
con i minori.
I colloqui visivi con i difensori sono
effettuati senza vetro divisorio e non hanno limiti di durata
e di frequenza potendosi effettuare la consegna brevi manu del carteggio afferente atti e documenti giudiziari e/o
processuali con apposita dichiarazione che si tratta di corrispondenza per
ragioni di giustizia.
LIMITI
E CRITICITA’
Si deve peraltro riconoscere come la
sottoposizione ad un regime carcerario prettamente custodiale non permette,
allo stato, di intraprendere un serio percorso risocializzante e rieducativo,
cosicché risulta assai difficile giungere ad un risultato positivo dello stesso,
d’altronde previsto - e direi - imposto dalla Carta costituzionale.
Occorre prendere atto del problema, auspicando un incremento delle attività di osservazione e trattamento,
che offrirebbero anche un
rilevante parametro di giudizio
della pericolosità sociale del detenuto. Nella prospettiva di una più
attenta considerazione degli esiti trattamentali si è del resto orientata, in
alcune recenti occasioni, anche la Suprema Corte, sottolineando espressamente che i risultati del trattamento
inframurario costituiscono un elemento di cui tenere necessariamente
conto al fine di valutare
la capacità di recupero del recluso. La Cassazione ritiene legittima la
prognosi di periculum fondata, non da ultimo, sulla constatazione
dell’assenza di una “autentica
dissociazione”, o, all’inverso,
della “acquisizione di valori di legalità” da parte del condannato, tenendo
in debita considerazione anche le segnalazioni disciplinari riportate durante
l’espiazione della pena
VITTIME
DEL DOVERE
Per
vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all'art. 3, legge 13
agosto 1980, n. 466 e, in genere, gli
altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subìto un'invalidità
permanente in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di
istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi
verificatisi: 1)
nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; 2) nello svolgimento di servizi di
ordine pubblico; 3) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; 4) in
operazioni di soccorso; 5) in attività di tutela della pubblica incolumità; 6)
a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego
internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità.
La
legge n. 266/05 ha esteso i benefici riconosciuti alle vittime della
criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere.
Le
decisione della Corte di Cassazione, sezioni unite civili, 7761/2017, ha
statuito che: “L’ammontare dell’assegno
vitalizio mensile previsto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad
essi equiparati è uguale a quello dell’analogo assegno attribuibile alle
vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.”.
Coordinando
le due leggi, risulta che questo vasto insieme di soggetti comprende: magistrati ordinari, militari dell'Arma
dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo delle guardie di
pubblica sicurezza, del Corpo degli agenti di custodia, personale del Corpo
forestale dello Stato (oggi assorbiti nei carabinieri), funzionari di pubblica
sicurezza, personale del Corpo di polizia femminile, personale civile della
Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, vigili del fuoco,
appartenenti alle Forze armate (inclusi i militari di leva) dello Stato in
servizio di ordine pubblico o di soccorso, altri dipendenti pubblici.
La giurisprudenza ha spiegato, come unica precisazione, che vi
deve essere una diretta attinenza delle lesioni riportate con le
attività in questione, che devono dunque avere provocato l'evento,
che a sua volta invece non deve essere avvenuto solo casualmente, senza
attinenza con il servizio stesso.
Per
spiegare questa precisazione occorre ricorrere a un esempio.
Se un
Carabiniere viene ferito dal veicolo di un trafficante in fuga, cui aveva
intimato l'alt, inequivocabilmente
sarà una vittima del dovere; se invece scivola dal marciapiede mentre stava
scrivendo una multa, o stava scrivendo il verbale di un arresto appena
effettuato, chiaramente non vi è attinenza tra l'attività che sta svolgendo
(che teoricamente ricadrebbe nei casi tutelati) e il servizio stesso e pertanto
non potrà essere considerato vittima del dovere.
Il
legislatore tutela anche coloro che siano stati feriti o uccisi nelle varie
missioni di pace, anche accidentalmente, per il cosiddetto “fuoco amico”.
Bisogna
notare ancora la particolarità del fatto che il legislatore ha espressamente
stabilito che le ferite o lesioni riportate in questi contesti sono tutelate
quando si stesse operando in attività' di servizio o nell'espletamento delle
funzioni di istituto: la ragione per la quale la legge
considera anche le attività di servizio esercitate in libera uscita, o comunque
non in servizio.
Il
D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545 (regolamento di disciplina militare) prevede,
all’art. 36, che il militare debba “prestare soccorso a chiunque versi in
pericolo o abbisogni di aiuto”.
Il
regolamento organico dell’Arma dei
Carabinieri (R.D. 14 giugno 1934 n. 1169) prevede all’art. 2 che, fra
l’altro, “i Carabinieri … prestano
soccorso in caso di pubblici e privati infortuni” e che “anche quando non sono espressamente comandati in servizio, debbano
intervenire… pel disimpegno delle mansioni per essi stabilite nei precedenti
comma”.
Ancora,
l’art. 1 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U. di P.S.) stabilisce che “l’autorità
di pubblica sicurezza… presta
soccorso nel caso di pubblici e privati infortuni”….
Dunque
a rigore tutti i benefici previsti per le Vittime del terrorismo oggi
dovrebbero essere riconosciuti anche le Vittime del dovere
Sinteticamente,
i principali benefici che già oggi
sicuramente spettano sono:
1. l’elargizione ex art. 5 commi 1 e 5 comma
1, l. 206/04: questa elargizione, esentasse,
ammonta a circa € 2160 per ogni punto di invalidità da attribuirsi alla
patologia o lesione riportata; in caso di decesso di invalidità è già
considerata 100% (dunque, per ogni vittima l’importo di erogazione del 2012
ammonta a 216.000 euro circa; l'importo cresce anno per anno in base
all'inflazione, ed era € 200.000 nel 2000);
2. l’assegno vitalizio di euro 258,23 mensili ex art. 2 l. 407/98: tale assegno,
esentasse, è stato esteso alle vittime del dovere del D.P.R. 243/ 06 con
decorrenza 1 gennaio 2006, e viene erogato se l'invalidità contratta raggiunge
o supera il 25%;
3. lo
speciale assegno vitalizio ex art 5 commi 3 e 4 l. 206/04, esentasse,
originariamente da euro 1033 (con lo stesso principio esso è stato rivalutato
anno per anno) ed esteso alle vittime del dovere dal 1 gennaio 2008; anche in
questo caso occorre una invalidità pari o superiore al 25%.
Questi benefici vengono sempre attribuiti in
caso di riconoscimento (purché, quanto ai vitalizi, vi sia almeno il 25% di
invalidità)
4. in
favore della vedova o dei superstiti di coloro che siano deceduti a causa della
patologia o infermità che ha dato luogo al riconoscimento della qualità di
vittima del dovere, due annualità di pensione, comprensive di 13ª; una recente
circolare dell'Inpdap, emessa poco prima del subentro dell'Inps, ha sostenuto
che questo beneficio non sia esentasse.
Ovviamente la questione dovrà essere approfondita.
LA
MEMORIA
Il
primo dei nostri valori si chiama “civiltà”, che vede il consorzio umano procedere
dalla legge del più forte a quella del supporto per i più deboli, dalla
soppressione del rivale al principio della solidarietà. La memoria personale e collettiva
ci aiuta a conservare e implementare il senso di appartenenza alla civiltà e ad una civiltà,
salvaguardata e tutelata dal senso di giustizia.
Non
v’è giustizia senza memoria e non v’è rispetto della memoria senza una pena e
non v’è pena senza certezza. La certezza della pena è di garanzia per la
Comunità e per lo stesso detenuto. La natura retributiva richiede una pena
certa che sia espiata per intero nel rispetto dei dettami costituzionali,
ordinamentali e legislativi. Il condannato espiata la pena deve vedersi
restituita la propria onorabilità e la propria reputazione. Lo Stato di diritto
riposa sulla certezza della pena e il pensiero di giuristi e filosofi nei
secoli hanno avvallato tale pensiero.
In
forza del “contratto sociale” di cui
parla Rousseau
l’individuo accetta che la sua libertà sia sacrificata al potere politico dello
Stato e delle sue leggi, per averne in cambio sicurezza e tranquillità che lo
Stato stesso, vigilando sui trasgressori e punendoli, gli assicura.
La
legge, secondo quanto formulato da Montesquieu nel “De
l’Esprit des loix”, è garanzia di libertà, poiché “la libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono”.
La legge consente, quindi, che gli individui godano della libertà civile e di
quella politica e vivano condizioni di sicurezza, in quanto ciascun governo è
organizzato in modo di impedire che un cittadino possa temere un altro
cittadino.
Furono
proprio gli illuministi francesi ad influenzare profondamente il lavoro di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene” (1764), opera fondamentale per la teoria generale della pena e per lo
sviluppo della garanzia dei diritti umani in Europa (e non solo).
Nell’incipit della celebre opera, l’Autore
esordisce ricollegandosi all’idea del contratto sociale, specificando che “le leggi sono le condizioni, colle quali
uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un
continuo stato di guerra e di godere di una libertà resa inutile
dall’incertezza di conservarla. Essi ne sacrificarono una parte per goderne il
restante con sicurezza e tranquillità”.
È
proprio a questo punto che l’Autore introduce il tema della pena; il pensiero
di Beccaria si innesta sulla dottrina
illuministica per trovare all’origine della pena la necessità di garantire la
sicurezza di quello Stato in cui l’uomo aveva accettato di vivere sacrificando
la minima porzione possibile della sua libertà naturale.
Al
fine di assolvere alla sua naturale funzione (di prevenzione generale e
speciale), la pena, oltre che proporzionata, deve essere certa. La certezza
costituisce la funzione deterrente della pena: “La certezza di un
castigo …. farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro
più terribile, unito colla speranza dell’impunità; perché i mali, anche minimi,
quando sono certi, spaventano sempre gli animi umani”
Fabrizio Giulimondi
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