La madre di tutte le
attuali leggi sulla prevenzione della corruzione, quanto meno all’interno dello
spazio economico europeo, è stato il “Bribery Act 2010 - Guidance about procedures which relevant commercial
organisations can put into place to prevent persons associated with them from
bribing”, mediante il quale il
Ministero della Giustizia inglese intese disciplinare tanto la corruzione nell’ambito della
Pubblica Amministrazione quanto la corruzione tra privati. Esso ha
costituito la base su cui verrà edificata negli anni successivi la normativa di
settore non solo nel Regno Unito ma anche negli altro ordinamenti europei.
La Gran Bretagna introdusse il reato di corruzione privata in
adempimento alla Decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio UE che chiedeva
agli Stati membri di introdurre nei propri ordinamenti la fattispecie di
corruzione nel settore privato entro il termine del 22 luglio 2005.
In attuazione della
medesima Direttiva la legge n.34 del 2008 ha delegato il Governo italiano ad
introdurre una nuova fattispecie di reato societario relativa agli atti
distorsivi della concorrenza, estendendo la responsabilità amministrativa degli
Enti ex d. lgs. 231 del 2001).
Nell’ambito del più ampio programma inteso a proteggere l'economia
legale europea, in linea con quanto stabilito nella strategia per la sicurezza
interna, la Commissione
europea ha adottato, nel giugno 2011, il pacchetto anticorruzione,
composto, fra l’altro, da:
• una comunicazione sulla lotta
alla corruzione nell'UE, che delineava gli obiettivi e gli aspetti pratici della relazione
anticorruzione, pubblicata con cadenza biennale a partire dal 2013, basandosi
sui meccanismi di monitoraggio esistenti (del Consiglio d'Europa, dell'OCSE e
delle Nazioni Unite), nonché sul parere di esperti indipendenti, delle parti
interessate e della società civile;
• una
decisione della Commissione che stabilisce il meccanismo di relazione
anticorruzione dell'Unione europea ed istituisce un gruppo di esperti in
materia;
• una
relazione sull'attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio
relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;
• una
relazione sulle modalità di partecipazione dell'Unione europea in seno al
Gruppo di Stati del Consiglio d'Europa contro la corruzione (GRECO).
A ciò ha fatto seguito, nel febbraio 2014, la pubblicazione, da
parte della Commissione europea, della prima relazione sulla lotta alla
corruzione nell'Unione europea, che esaminava il fenomeno della corruzione nei
28 (oggi 27) Stati membri ed illustrava le misure anticorruzione esistenti, la
loro efficacia ed alcune principali tendenze, tra le quali:
• il
forte divario tra gli Stati membri in merito all’attuazione di efficaci
politiche preventive (ad esempio, norme etiche, misure di sensibilizzazione,
accesso facile alle informazioni di pubblico interesse);
• il mancato coordinamento, in
molti Stati membri, dei controlli interni delle procedure in seno alle
autorità pubbliche (in particolare a livello locale);
• la maggiore vulnerabilità dei
settori dello sviluppo urbano, dell’edilizia e dell’assistenza sanitaria,
nonché di quello relativo agli appalti pubblici, per i quali la Commissione
invita a rafforzare le regole di integrità e suggerisce miglioramenti nei
meccanismi di controllo;
• le lacune per quanto concerne la
vigilanza sulle imprese pubbliche e la loro conseguente vulnerabilità alla
corruzione;
·
In merito all’Italia, veniva messo in evidenza che l’adozione - per
quanto tardiva - della legge anticorruzione n. 190 del 2012 rafforzava le
politiche di prevenzione mirate a responsabilizzare i pubblici ufficiali e la
classe politica. La Commissione consigliava anche di
garantire maggiore
trasparenza degli appalti pubblici ed adoperarsi ulteriormente per
colmare le lacune della lotta anticorruzione nel settore privato. Inoltre,
nell’applicazione della legge anticorruzione, che prevedeva l’adozione di un
piano nazionale triennale ed obbligava
tutti gli organi amministrativi ad adottare strategie d’azione in materia,
la Commissione rilevava che anche le Camere di Commercio avrebbero dovuto
predisporre piani pluriennali di prevenzione della corruzione.
Gli
obblighi di trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Il Decreto
legislativo n. 33 del 2013 “Riordino della disciplina
riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di
informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” è volto ad assicurare l’accesso
da parte del cittadino alle informazioni concernenti l’organizzazione e
l’attività delle pubbliche amministrazioni.
Il
Decreto legislativo n. 33 del 2013 è stato modificato ed integrato dal d.lgs.
97/2016
D. LGS. N.97 DEL 2016
Il Decreto legislativo 25
maggio 2016 n. 97, in materia di “Revisione e
semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione,
pubblicità e trasparenza” (“Decreto Madia”), e che costituisce il primo degli
undici decreti attuativi della delega di cui all’articolo 7 della legge 7
agosto 2015, n. 124 (“Legge Madia”), ha apportato alcune modifiche ai primi
14commi della legge 6 novembre 2012 n. 190 (“legge Severino”) e al d.lgs. 14
marzo 2013, n. 33 (“Decreto Trasparenza”).
In particolare, il Decreto Madia persegue i seguenti obiettivi:
· ridefinire
l’ambito di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di
trasparenza;
· prevedere
misure organizzative per la pubblicazione di alcune informazioni e per la
concentrazione e la riduzione degli oneri gravanti in capo alle PA;
· razionalizzare
e precisare gli obblighi di pubblicazione;
· individuare
i soggetti competenti all’irrogazione delle sanzioni per la violazione degli
obblighi di trasparenza.
Il Capo I del Decreto Madia
apporta significative modifiche al Decreto Trasparenza.
·
Ambito di applicazione
soggettivo
L’art. 3, secondo comma,
del Decreto Madia che la disciplina in materia di
trasparenza si applichi,
oltre che alle PA e agli atri soggetti già previsti nella previgente
disciplina, anche ad ulteriori categorie di soggetti, e specificamente:
• agli enti pubblici economici e
agli ordini professionali;
• alle
società in controllo pubblico ad eccezione delle società
quotate; dunque, a differenza della disciplina previgente, alle società
controllate da PA ex art. 2359 c.c., si applica il Decreto Trasparenza, per
qualsiasi tipo di attività e non più solo per quelle di pubblico interesse;
• alle società a partecipazione
pubblica non maggioritaria, limitatamente ai dati e documenti inerenti
all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o
dell’UE; in precedenza, invece, tali società erano soggette solo ai commi 15-33
della legge Severino;
• alle associazioni, alle
fondazioni e agli enti di diritto privato comunque denominati, anche
privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a 500.000 euro, la cui
attività sia finanziata in modo maggioritario, per almeno due esercizi
finanziari consecutivi nell’ultimo triennio, da PA e in cui la totalità dei
titolari o dei componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia
designata da PA.
·
Ambito di applicazione oggettivo
Il Decreto Madia
espressamente stabilito che, al fine di tutelare i diritti dei cittadini e
promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa,
debba essere garantita l’accessibilità totale dei dati e documenti detenuti
dalle PA, dunque non limitando l’accessibilità alle sole “informazioni relative
all’organizzazione e all’attività delle PA”.
·
Accesso civico
Il Decreto Madia conferma
l’impostazione dell’art. 5 del Decreto Trasparenza e garantisce a chiunque,
indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, di
poter accedere ai documenti della PA, fatto salvo il
rispetto di alcuni limiti, introdotti nel Decreto Trasparenza e previsti
all’articolo 5 bis, a tutela di interessi pubblici o privati di particolare
rilevanza.
·
Obblighi di pubblicazione
Il Decreto Madia specifica
inoltre la disciplina relativa agli obblighi di pubblicazione e prevede:
• obblighi
di pubblicazione in capo a ciascuna PA, nell’apposita sezione “Amministrazione
Trasparente” del proprio sito istituzionale dei dati sui propri pagamenti, con
particolare riferimento alla tipologia di spesa sostenuta, all’ambito temporale
di riferimento, ai beneficiari, del Piano triennale di prevenzione della
corruzione, con l’indicazione dei responsabili per la trasmissione e la
pubblicazione dei Documenti;
• la
possibilità di assolvere agli obblighi di pubblicazione delle banche dati
mediante “rinvio”, attraverso l’indicazione sul sito, nella sezione
“Amministrazione trasparente”, del collegamento ipertestuale alle stesse banche
dati;
• l’obbligo di indicare, sia in
modo aggregato che analitico, negli atti di conferimento di incarichi
dirigenziali e nei relativi contratti, gli obiettivi di trasparenza, con
particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del
personale; il mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi determina
responsabilità dirigenziale.
LEGISLAZIONE E BUONA
AMMINISTRAZIONE
.
Appare ad un primo approccio un dato meramente
formale, ma in realtà il numero delle leggi e la loro qualità redazionale incide
profondamente su una corretta gestione della “cosa pubblica”: “Corruptissima
re publica plurimae leges” (affermava saggiamente Tacito).
Altissimo numero di leggi, struttura delle stesse,
presenza eccessiva di articoli, commi, lettere, articolati composti da una
unica disposizione con centinaia di commi, commi aggiunti con le diciture
latine bis, ter, quater, etc, troppe
sottodivisioni dei commi in lettere, terminologie troppo tecniche e poco comprensibili
al comune cittadino, eccessive interpolazioni, determinano un complesso
normativo di difficile lettura non solo per il quisque de populo, ma per gli stessi tecnici.
Se ci caliamo, poi, in seno alla complessa materia
delle procedure ad evidenza pubblica ci si rende conto di quanto sia importante
un approccio agevole di un testo legislativo. L’utilizzo di Testi Unici e
Codici costituiscono strumenti utili ed efficaci e il codice degli appalti
50/2016, corretto con quello n. 57/2017, è senza dubbio un giusto tentativo di aiuto
per l’operatore economico ed imprenditoriale onesto di accedere al mercato
senza “tagliole” da parte delle aziende “scorrette”. La normazione sulla
trasparenza e in contrasto al tentacolare fenomeno della corruzione risulta
essere un ausilio di grande importanza per tutti coloro che interloquiscono economicamente,
finanziariamente e commercialmente con la Pubblica Amministrazione. Una
maggiore attenzione da parte del Legislatore
alle regole in tema di legistica può certamente consentire un più facile
accesso al “mercato” da parte delle tantissime aziende e società oneste e
capaci, avendo esse una maggiore agibilità fra le direttive e le procedure da
rispettare. Non è cosa da poco una legge
chiara con dettami certi che siano perfettamente compresi da un imprenditore,
che comprende in pieno ciò che può e non può fare. Dalla chiarezza delle leggi deriva direttamente un mercato sano scevro
da metastasi corruttive.
D.LGS. 231/2001
E MODELLI DI GESTIONE IN CHIAVE ANTICORRUZIONE
Art. 6 d.lgs. 231/2001
(Soggetti in posizione
apicale e modelli di organizzazione dell'ente)
1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate
nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che:
a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente
attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di
gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e
l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un
organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo
fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da
parte dell'organismo di cui alla lettera b).
2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e
al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del
comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attività nel cui ambito possono
essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a
programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione
ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse
finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti
dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei
modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a
sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
3. I modelli di organizzazione e di gestione possono
essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici
di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti,
comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti,
può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a
prevenire i reati.
4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati
nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall'organo
dirigente.
4-Bis. Nelle
società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il
comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni
dell'organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b). (*)
5. È comunque disposta la confisca del profitto che
l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.
(Soggetti sottoposti
all'altrui direzione e modelli di organizzazione dell'ente)
1. Nel caso previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera
b), l'ente é responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile
dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
2. In ogni caso, è esclusa l'inosservanza degli
obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato,
ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e
controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla
dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee
a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire
ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.
4. L'efficace attuazione del modello richiede:
a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello
stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero
quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività;
b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il
mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
L’ISO
37001 “Anti-bribery management systems” rientra nei modelli di organizzazione e di gestione di cui agli
artt. 6 e 7 d.lgs. 231/2001, ed è
volto ad aiutare le organizzazioni private (NB CONTRASTO COMUNE ED OMOGENEO ALLA CORRUZIONE SIA IN
AMBITO PRIVATO CHE PUBBLICO) nella lotta contro la corruttela, dando
vita ad una cultura di integrità, trasparenza e conformità. Anche L’ISO 37001 non può garantire lo sradicamento della
corruzione, può implementare le misure
efficaci per prevenirla e incisivamente affrontarla. La 37001 specifica le misure e i controlli anti
corruzione adottabili da un’organizzazione per monitorare le proprie attività
aziendali al fine di prevenire la corruzione. Rientrano tra questi:
· la predisposizione di una politica anticorruzione,
·
l’individuazione di un incaricato (oltre all’impegno del top
management),
·
la formazione a tutti gli interessati,
· la
valutazione dei rischi specifici, la definizione di relative procedure, come ad
esempio la regolamentazione di omaggi e regali, il monitoraggio dei fornitori e
dei partner commerciali.
La
razionalizzazione della data governance, ossia quell’insieme di strategie e
processi che indirizzano e regolano l’utilizzo e la gestione informatica e
telematica dei dati pubblici e privati, è vitale per il progresso digitale
della pubblica amministrazione ed è uno dei nodi centrali della Strategia per
la Crescita Digitale 2014-2020. L’Italia in questo settore sconta gravi
ritardi rispetto alle amministrazioni di altri paesi competitor a livello globale ed europeo, pagando lo scotto
dell’estrema frammentazione delle migliaia di micro-PA in fatto di gestione e
conservazione dei dati.
Ai fini di una migliore governance del
sistema e per garantire maggiore interoperabilità, è necessario operare ed
anche orientare la scelta verso
un utilizzo centralizzato. In questo senso solo il dato deve essere centralizzato affinché ogni
ente della PA, sia locale sia nazionale, possa comunicare direttamente con la
banca dati centrale. E’ opportuno garantire il collegamento diretto con
i dati a livello centrale per ottimizzare la disponibilità di dati in modo
omogeneo.
Nel concreto, dal momento che ogni singola articolazione della PA ha già
un servizio e che tutte le strutture si stanno uniformando verso
l’interoperabilità, non è necessario costringere il singolo ad adottare un
sistema unico, ma è sufficiente premiare i modelli migliori a livello locale e spingere
perché altri enti li assimilino, anche con il semplice principio di prossimità
territoriale. .
Nella PA c’è dunque qualche best practice di evoluzione digitale, a cui è bene aggrapparsi e a cui è giusto dare risalto. Pure la fatturazione elettronica, uno dei pilastri della strategia italiana per la PA 2.0, è una di queste. La percentuale di imprese tricolori che utilizza la e-fattura nei confronti della PA si attesta infatti al 30%, superando abbondantemente il dato medio dell’UE (18%)..
Dall’osservatorio della Commissione UE emergono però anche alcune ombre, legate allo scarso accesso a Internet per usufruire dei servizi pubblici. Sotto la voce e-government si legge infatti che nel nostro Paese solo il 24% dei cittadini utilizza la Rete per interagire con la Pubblica amministrazione, con un aumento di appena 4 punti percentuali negli ultimi 9 anni e contro una media nei 28 Paesi UE del 48%. Non va meglio con l’uso della Rete per accedere alle informazioni delle PA (19% contro media UE al 42%). Il risparmio sui costi è la grande priorità dei piani di digitalizzazione delle Pubbliche amministrazioni. Servono però un’azione organica, roadmap delineate e obiettivi precisi: “La PA italiana – afferma Carlo Mochi Sismondi, presidente di Forum PA - che è stata tra le prime negli anni ’90 a dare inizio ad una trasformazione digitale dei servizi, è rimasta però fortemente indietro in termini della loro diffusione e fruibilità e, spesso, non ha usato il digitale per trasformare processi e modelli organizzativi. Qui è la sfida e qui si orienterà lo sforzo di informazione, formazione e confronto fra soggetti della PA. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione costituiscono il più potente strumento di cui i governi, aziende e soggetti del terzo settore dispongono oggi per risolvere le grandi sfide mondiali delineate dall’Agenda 2030”. Il digitale, rappresenta un fondamentale acceleratore del processo di attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, che potranno essere realizzati sia avvalendosi delle tecnologie esistenti e già largamente diffuse a livello globale, sia sfruttando, e in alcuni casi orientando, gli sviluppi futuri dell’innovazione comunicativa tecnologica.
N.B. In data 13
novembre 2017 il Procuratore Nazionale Antimafia (D.N.A.) e il Presidente dell’Autorità
Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.) hanno firmato un Protocollo d’ Intesa per
un reciproco scambio di dati e informazioni per una maggiore trasparenza nella
Pubblica Amministrazione in chiave di contrasto al fenomeno della corruttela e
delle infiltrazioni mafiose nelle procedure degli appalti.
Si riporta il collegamento ipertestuale all’articolato.
Fabrizio Giulimondi
Nessun commento:
Posta un commento