“Contromano” di e con Antonio Albanese si muove entro il
perimetro dell’ideologia immigrazionista senza alcun colpo d’ali nemmeno alla
fine. La trama si articola lungo il
cammino a ritroso dall’Italia al Senegal, dove il “razzista” di turno imparerà
quanto è bella l’accoglienza.
V’è da
ammettere che nel corpo della narrazione il film mantiene un certo contegno e
un certo garbo, non cedendo ad un eccesso di manicheismo e rimandando alla
teoria maoista della necessità di insegnare ai Popoli a sostenersi con le
proprie mani. Tutto sommato il bravo regista e attore mostra comprensione nei
confronti dei commercianti vessati da leggi e tasse, a dispetto dell’immigrato venditore
di calzini dinanzi alla sua bottega che gli fa una brutale quanto devastante
concorrenza al di fuori di ogni norma.
Il The End, però, è una postuma apologia
dello ius soli, scaduta come una
scatoletta di tonno da troppo tempo sui banchi di un supermercato.
Quando
lo spettatore esce dalla sala si pone la seguente domanda: “Ma se l’Africa è così
colorata come i vestiti sgargianti di africani sempre allegri e danzanti, perché
vengono nella plumbea, bigia e triste Milano?”
Fabrizio Giulimondi
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