“In una storia l’importante non sono il chi,
il cosa, il quando e il dove, ma il ‘perché’”
Romanzo
o realtà: questo è il dilemma.
Fantasia
o politica: questo è il problema.
Nulla
è più vero di un libro di c.d. fantapolitica perché il “fanta” cede al “vero”.
Bologna
non viene mai nominata ma la “strage alla stazione” sempre.
Le
retrovie del racconto sono costellate di vicende frutto di immaginifica realtà,
aventi come scenografia Gheddafi, la morte del figlio illegittimo, Ustica (anch’essa
presente pur non essendo mai nominata), il Mossad, i Servizi Segreti, “Guerra
Fredda” e altri antichi quanto attuali retaggi delle tragedie nostrane.
La storia,
portata avanti con un linguaggio libero dall’asfissia del politicamente
corretto, attinge a piene mani dalla letteratura saggistica di questi ultimi
anni.
L’Autore
di “L’estate degli inganni” (Rizzoli), Roberto Perrone, mostra coraggio nell’occhieggiare con malinconia e
apprezzamento alle dinamiche mentali degli uomini politici della c.d. Prima
Repubblica, pur cadendo talora in ingenuità e debolezze narrative, forse causate
da un eccesso di pulsione didascalica. Il coraggio lievita quando il
protagonista prende posizione paventando l’estraneità degli attuali condannati al
sanguinario massacro del 2 agosto 1980.
Il
lettore si dipana in una trama a tela di ragno, in cui può riconoscere alcune personalità
istituzionali contemporanee dietro i nomi fittizi dei personaggi.
La
professione giornalistica di Perrone
permea lo stile del libro, agevole, di facile comprensione, oliato e, come già
detto, talune volte troppo didascalico, chiazzato poi da descrizioni di acrobazie
erotiche di cui non se ne sente affatto il bisogno e che nulla aggiungono alla
storia.
Fabrizio Giulimondi
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