“Tonya” (“I, Tonya”) di Craig Gillespie
è un bombardamento emozionale di disperata energia cinetica, le cui particelle
sono composte della passione per ciò che si ama e che snocciola tutta la propria
vita, tutto se stessi.
“Tonya” è un puzzle di mille colori perché
questa pellicola costituisce una composizione floreale di analisi sociologiche,
psicologiche, psichiatriche e introspettive di ogni singolo personaggio, nella
sua atomistica esistenza e nel suo dipanarsi nei rapporti con gli altri.
Straordinario
lo sviluppo artistico delle relazioni madre e figlia inverate nello scontro
insultante e fisicamente violento fra Tonya e la sua genitrice, mirabilmente
interpretate da Margot Robbie e Allison Janney.
Il
Regista scrutina un’atleta statunitense di pattinaggio artistico sul ghiaccio, Tonya
Harding, che fra gli anni ’80 e ’90 sarebbe potuta essere un gigante e che non
lo è stato per colpa di “quella” madre” e di “quel” marito idiota e violento
(grande Sebastian Stan!).
Il film
è costruito su testimonianze intriganti e contraddittorie fra di loro,
autentiche proprio nella loro contraddittorietà.
Il
coinvolgimento dello spettatore è totale e “Tonya” è estetica della grandiosità che alcune personalità posseggono
nonostante tutto, proiezione cineastica di quanto un giudizio possa
concentrarsi non sulle abilità della persona ma sulle sue vestigia e su cosa esse
rappresentino per un Popolo. “Tonya”
è il racconto di come la ruvidezza di un carattere forgiato da multiforme,
ancestrale e reiterata violenza possa sovrastare e annichilire la mole
professionale di un essere umano.
Nel film
echeggia il richiamo di Sartre: “Mia
superlativa Tonya, Tu sei solo quello che gli altri dicono che tu sia non quello
che sei autenticamente, ossia un campionessa”.
Fabrizio Giulimondi
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