domenica 15 aprile 2012

TRE MOSTRE DI PITTURA A ROMA: VI CONSIGLIO CALDAMENTE DI VEDERLE.


La prima è quella allestita all’Ara Pacis (Lungotevere) sulle avanguardie russe ( Malevich – Kandinskij – Chagall – Larionov – Goncharova – Rodchenko – Tatlin) in pieno periodo della rivoluzione leninista russa (1917). I Vostri occhi passeranno da una corrente pittorica ad un'altra e saranno sequestrati dai colori, dalle figure e dalle non figure, finché usciranno dalla realtà, tanto che quando varcherete l’uscio della mostra, dopo tanto “bello” Vi porrete questa domanda: la realtà è quella appena abbandonata ed espressa, o meglio contenuta nelle tele, o quella ove fatalmente affonderete di nuovo?
La stessa natura per questi geni della pittura russa non conta ma l’arte:
Malevich, nel 1915, nel descrivere il suo stile pittorico, la sua linea artistica di pensiero, il suprematismo, afferma la supremazia della sensibilità pura dell’arte sulla natura: l’oggetto in sé non significa nulla, l’arte perviene con il suprematismo alla espressione pura senza rappresentazione.
L’importanza dei colori (che vi avvilupperanno da sindrome di Stendhal) nell’arte di Kandinskij è tale in quanto egli è seguace della teosofia, ove ogni colore corrisponde ad un particolare fenomeno psichico, ad una precisa energia vitale, ad una determinata emozione.
Ho scoperto il raggismo, ossia la tecnica di raffigurazione pittorica conseguente alla intersezione dei raggi riflessi da vari oggetti con le forme individuate dall’artista.
Interessante la diversa “collocazione” ideologica del cubo-futurismo sovietico di matrice marxista-leninista, rispetto all’originale futurismo europeo occidentale sorto nel 1909 a seguito della pubblicazione su Le Figaro del “Manifesto del Futurismo” di Marinetti (che aderì al Partito nazionale Fascista), futurismo che nella pittura, nella letteratura, nel cinema e, persino, nell’arte culinaria è ritenuto (a torto? A ragione?) legato al regime mussoliniano. Il futurismo si connota proprio per la rappresentazione figurativa della modernità, della velocità, delle nuove scoperte tecnologiche, specialmente legate alle comunicazioni e ai trasporti e, quindi, alla velocità e al dinamismo della azione umana, la quale, sin dalla fine dell’ ‘800, si stava sviluppando a livello economico e produttivo nelle imprese, nelle fabbriche e nella industria. Marinetti ne è il capostipite italiano nella pittura, ma il pensiero corre veloce anche a Gabriele D’annunzio, poeta e uomo di azione. Il cubo-futurismo riprende sì questa linea radicalmente innovatrice delle arti, ponendo l’accento però – come ben potrete scoprire Voi stessi specialmente nelle pitture di Larionov Goncharova – sul mondo operaio delle fabbriche, da cui è scaturita e si è propagata la rivoluzione comunista russa. Il cubo-futurismo (oltre ad avere elementi cubisti propri di Picasso e Mirò) rappresenta il dinamismo del mondo delle macchine industriali, da dove – secondo l’ ideologia marxista-leninista e poi stalinista – è partita la spinta che dovrebbe condurre la classe operaia ad abbattere il capitalismo e ad affermare sè stessa come motore precipuo del governo della Russia, poi della Unione Sovietica, poi degli Stati dell’Est europeo e, infine…delle masse sfruttate di tutto il mondo.
Il realismo russo – sorto nel 1920 con l’omonimo manifesto pubblicato a Mosca, subito dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917 e, inevitabilmente, espressione estetica dalla ideologia comunista nel campo artistico, incluso quello cinematografico, contrariamente al surrealismo nato nel 1924 – di cui massimo esponente sarà Salvador Dalì, come vedremo da qui a poco - in ragione di quanto poc’anzi detto, considera la pittura alla stessa stregua dell’ingegneria e, come questa, necessita di regole e tecniche certe, precise e inviolabili.
Conseguenza ulteriore è il costruttivismo, che pone al centro dell’opera dell’artista la struttura come idea costitutiva di tutte le arti, all’inverso dell’ astrattismo, che muovendo dalla trasformazione della realtà in mera volumetria (tramite la destrutturazione dell’immagine che vedrete nel cubismo di Dalì e di Mirò, oltre che in Picasso, se Vi dovesse capitare di trovarVi a Barcellona e di fare un salto al museo a lui dedicato), giunge alla mera assenza di figurazione.
“La vita ha invaso l’arte, ed ora è ora che l’arte invada la vita”( Llja Zdanevich e Mikhail Larionov).
Aveva ragione Kandinskij quando ha individuato una stretta correlazione fra pittura e musica, colori e note (ricordiamoci che era un teosofita): mentre passeggerete immersi fra le tele Vi sembrerà di sentire “Quadri di una esposizione” di Mussorgsky, che quelli della mia generazione conoscono rivisitata in versione rock in “Pictures at an Exhibition “ degli Emerson, Lake e Palmer.



Seconda mostra
: Salvador Dalì al Vittoriano (Campidoglio).
La mostra è veramente bella e mette perfettamente in luce il genio dell’Artista, che amava la mattina appena alzatosi dire innanzi lo specchio.” Grazie Dio di avermi fatto Salvator Dalì”.
La sua creatività – come potrete vedere – si è espressa in tutto, dalla pittura, al cinema, all’arte orafa. Nato cubista e sincero ammiratore di Mirò, diventò il grande surrealista che conosciamo. Il surrealismo si contrappone radicalmente al realismo sovietico e, come questo è frutto del materialismo comunista, il surrealismo nasce contestualmente al sorgere della psicanalisi, a seguito della pubblicazione nel 1899 della “Interpretazione dei Sogni” di Sigmund Freud.
Il surrealismo pervaderà tutte le branche artistiche: pittura, scultura, poesia, letterature, cinema. L’ideatore fu lo scrittore Andrè Bretòn – prima grande amico di Dalì, poi suo altrettanto grande detrattore, ritenendo l’Artista nei ultimi suoi anni svenduto al “mercato”, al “commercio” e al “vil denaro” - che firmò nel 1924 il “Manifesto del Surrealismo”, definito:
Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”
Dai lavori e capolavori di Dalì vedrete che non viene mai rappresentato un oggetto, una persona o una realtà esteriore, ma solamente ciò che nel momento stesso in cui l’Artista dipinge egli prova, sente, lo colpisce, lo emoziona di quell’oggetto, di quella persona e o di quella realtà esteriore. Rappresenta l’io, l’inconscio, la parte irrazionale compulsata dalla parte esteriore dell’oggetto, parte esteriore che non conta e non vale nulla, contando e valendo ed esistendo unicamente ciò che l’artista in quel momento rappresenta: l’opera di Dal’ è di far conoscere agli altri la vera realtà esistente, che non è però “la cosa” in sé che appare in rerum natura, ma ciò che egli ha colto attraverso il suo mondo interiore e che fa conoscere nella sua “realità”, nella sua effettiva consistenza, al mondo intero.
Vi imbatterete in un quadro in cui Dalì, anticipando di qualche decennio la tecnica tridimensionale nella proiezione del film, raffigura una mano che sembra stia uscendo dalla tela. Andate a vederlo: sembra veramente che la tela stia sul punto di rompersi in quanto la mano sta fuoriuscendo da essa protendendosi e proiettandosi verso di Voi.
D’altronde lo stesso mondo del cinema è appartenuto alla esistenza terrena di Dalì: basta pensare ai contributi “surrealistici” conferiti dall’Artista ad alcune opere di Luchino Visconti ed Alfred Hitchcock.


Terza mostra
: Joan Mirò, al chiostro del Bramante, vicino piazza Navona.
Prima di tutto visitate il chiostro straordinariamente affrescato con scene della vita di Gesù e, poi, recateVi a godere le opere di Mirò, altro artista che, unitamente a Picasso e Dalì, hanno reso lustro alla Spagna (e alla umanità intera).
Mirò nel 1933 dice:
“ Un quadro deve essere fecondo, Deve far nascere un mondo”.
E la fecondità di Mirò è grande e ci palesa un mondo ultraterreno e ultracorporeo che passa dal cubismo – da cui Dal’ ha tratto ispirazione – all’espressionismo astratto e all’uso di tecniche pittoriche orientali.
Quest’ultime, nella essenzialità dei tratti e delle linee e nella caratteristica presenza semplicemente bicromatica del bianco e dello scuro, oltre che nella assenza di legami con collocazioni spaziali concrete, le troviamo perfettamente rappresentate in un quadro (uno dei tanti “senza titolo”) che domina una parete e che, quando l’ho ammirato, ero in compagnia di una scolaresca di una scuola elementare. Ebbene: quella semplice linea ondulata, che ricorda il contorno di una struttura scheletrica di un allosauro o di un diplotoco, ossia di un dinosauro (come ha suggerito una bambina e su cui io ho concordato e concordo tutt’ora), linea interrotta da due specie di grandi L alludenti – sempre a mio sommesso parere – a due zampe animalesche, con una chiazza scura sovrastante il disegno tesa a lambire in maniera fuggevole la mente di chi guarda circa una lontana idea di spazio - altrimenti assolutamente assente - ha fatto discutete in maniera vivace i giovani scolari, mettendo a confronto i loro intelletti su cosa fosse o non fosse quella figura. Insisto: un dinosauro!
Oltre la estrema bellezza dei colori di stile cubista, incontrerete anche alcune opere chiaramente di provenienza dadaista, proprio per la loro antiesteticità e rudezza non solo delle rappresentazioni, ma degli stessi strumenti utilizzati per la loro realizzazione. Ricordano raffigurazioni di origine africana e, solo dopo l’aiuto di una guida lì di passaggio, ho capito che alcuni chiodi conficcati su una tela erano denti cosparsi lungo una incomprensibile bocca.
Guardando le opere dadaiste di Mirò mi è venuto in mente uno spettacolo teatrale in stile Dada a cui ho assistito parecchi anni fa e che mi disturbò non poco, in special modo quando l’attore cominciò a lanciare fette di salame contro il pubblico, ossia contro di noi e, pertanto, anche contro di me.
In poche sale, attraverso la grandezza dell’opera di Miro - che trasse la sua ispirazione, come egli reiteratamente disse, dalla bellezza dell’isola di Maiorca, dove andò a vivere e a lavorare, perché da essa profondamente avvinto – passerete da uno stile all’altro, dalla vivacità dei colori accesi e marcati del rosso, del giallo e del blu propri del cubismo, a quelli più confusi e meno intensi dell’espressionismo astratto di origine statunitense, al bianco e al nero, al chiaro e allo scuro mutuati dall’arte orientale, fino alla completa assenza di colore dello stile dadaista.
E’ proprio vero! Come diceva il neoplatonico fiorentino del ‘400 Marsilio Ficino, l’uomo può inabissarsi ad inferos o innalzarsi ad sidera coeli: queste tre mostre Vi condurranno per mano sino alle luci del firmamento.
Fabrizio Giulimondi.

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