Isabel Allende: “Il quaderno di
Maya”, Feltrinelli.
Questo romanzo, ultima fatica della Allende, denso e drammatico, non facile a leggersi,
parte lento e sonnecchiante come una vettura diesel, per poi
assumere sempre più energia con il trascorrere della narrazione.
Due sono gli elementi presenti in questa come in tutte
le altre opere della Autrice: il soprannaturale
e le vicende legate alla
dittatura militare di Pinochet.
Sin dal primo libro La
casa degli Spiriti (da cui è stata tratta l’omonima e bella traduzione
cinematografica) la nipote del Presidente socialista cileno Salvator Allende,
eletto nel 1970 e deposto (probabilmente morto suicida) a seguito del colpo di
Stato del generale Augusto Pinochet l’11 settembre 1973, suole immettere nei suoi scritti – specie in questo
oggetto di commento - il soprannaturale, la magia, la stregoneria, le leggende cilene, inserendo
contemporaneamente descrizioni
ben dettagliate delle torture inferte dagli aguzzini agli oppositori politici.
Tali “presenze” infarciscono il diario di una ragazza
americana di origini cilene, abbandonata dalla madre e trascurata da un padre
pilota di aerei di linea, che sino alla età di sedici anni vive una epoca
aurea con la nonna (chiamata per una decina di volta a pagina la mia Nini) e il nonno acquisito – ma qui ci sarà un colpo di scena! – chiamato
per una decina di volta a pagina il mio
Pop. Maya è legatissima ad entrambi e stravede per il mio Popo, che morirà di
tumore, travolgendo la vita della ragazza, che da quel momento in poi conoscerà
droghe, alcol e prostituzione sino a inabissarsi nella degradazione più
profonda.
Dopo Berkeley e l’Oragon, Las Vegas rappresenterà per
Maya l’apice di questo inferno, da cui verrà fuori grazie alla mia Nini, la quale manderà la nipote a Chiloè, una isola cilena posta
al di fuori del mondo, al fine di
sfuggire alla mafia e ai narcotrafficanti.
In questo luogo paradisiaco – attraverso il quale
imparerete molto sugli usi e costumi del popolo cileno - Maya verrà a
conoscenza di verità del suo passato e di quello delle persone che le stanno intorno per
aiutarla, dirompenti per tutti… anche per il
lettore.
Forse nelle 341 pagine del diciottesimo romanzo della
Allende c’è troppo e, leggendolo,
capirete da soli cosa io voglia intendere con tale espressione.
Fabrizio Giulimondi
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